Cani sciolti. Pistole e corruzione tra Messico e Stati Uniti
di Emiliana De Santis
Inseguimenti, sparatorie, armi e suspance non mancano in questo action movie a metà strada tra le atmosfere pulp di Quentin Tarantino e la violenza irrealista di Martin Scorsese. Cani Sciolti, titolo originale 2 Guns, sorprende lo spettatore e non manca di suscitare scomodi interrogativi.
I Cani sciolti dell’islandese Baltasar Kormákur sono Bobby Trench, interpretato da un sempre verde Denzel Washington e Marcus Stigman, un ironico Mark Wahlberg in perfetto stile Contraband, infiltrati a loro rispettiva insaputa presso un cartello messicano della droga gestito da Papi Greco, il leggendario Edward J. Olmos di Blade Runner e Miami Vice. Trench è un agente della Dea, la squadra antidroga, Stigman è arruolato nei servizi segreti della marina militare. Nei dieci mesi da infiltrati i due imparano a rispettarsi e ad apprezzarsi tanto che, nel momento in cui le coperture vengono allo scoperto, decidono di combattere da soli per una presunta giustizia che loro stessi faticano a riconoscere. Il tentativo, messo in atto in coppia, di svaligiare una banca che gestisce un ingente capitale proveniente dal narcotraffico, ha infatti esiti imprevisti. La trama subisce un netto capovolgimento e il film, da semplice pellicola d’azione, diventa un modo per smascherare la corruzione delle più potenti agenzie governative statunitensi mettendo a nudo una società depravata e molto lontana dallo stereotipo di perfezione che cerca di trasmettere. Da quel momento Bobby e Stig intraprendono una corsa contro il tempo e contro i loro superiori ma, soprattutto, contro quello in cui hanno sempre creduto.
Il film è uno scatenato susseguirsi di battute e sparatorie, con due star hollywoodiane di grosso calibro sapientemente dirette da un cineasta islandese totalmente a suo agio con il gigantismo d’oltreoceano. Kormàkur avverte sin da subito lo spettatore – con il treno che taglia la strada all’auto obbligandola ad attendere – che si tratta di un film made in Usa ma con quel tanto di atmosfera nordica europea che fortunatamente lo salva dal solito sfoggio di muscoli, sesso e pistole. Washington e Wahlberg mantengono sulla scena piena libertà, improvvisando non poco su un copione ben costruito, a tratti perspicacemente immaginabile, ma con dialoghi mai banali né scontati. Il navigato Bobby è deluso nell’apprendere che il tradimento arriva non già da un lavoro che conosce bene ma dall’unico “effetto collaterale” che la sua emozione di uomo non ha saputo gestire mentre Stig non riconosce nei marines la famiglia in cui ha ciecamente creduto per 12 anni.
Tutto crolla e tutto si rigenera in un ritmo vorticoso e coinvolgente che tiene lo spettatore incollato allo schermo e al torrido confine tra Messico e Stati Uniti per oltre 100 minuti. Merito anche dei protagonisti, su cui il regista ha scelto senza indugi, e di Deb, un’affascinante e procace Paula Patton che ben si destreggia tra le due opposte e forti figure maschili. Denzel Washington, capace su ogni ruolo, il duro senza amici e senza cuore, lascia il passo all’ormai affermato Mark Wahlberg che smentisce l’aria di ragazzone tutto muscoli con convincenti ed eclettiche interpretazioni che molto hanno del personale e poco del ruolo di cervello vuoto che Hollywood pretende di cucirgli addosso.
Un’accoppiata vincente, un film che fa riflettere, un regista attento. Due ore di divertimento.