IL PERIMETRO – Obsolescenza programmata
di Il Perimetro
%%wppa%% %%slideonlyf=32%%
L’intreccio di diverse crisi che abbiamo di fronte – e che si risolvono in una colossale crisi strutturale e di prospettive senza precedenti – è determinato da fattori economici e ambientali, strettamente interconnessi tra loro. Da un lato viviamo nell paradigma-incubo della crescita infinita in un pianeta con le risorse finite, dall’altro abbiamo commesso l’idiozia (hanno) di ritenere l’economia di mercato e il modo di produzione capitalista come il più corretto dei sistemi economici, quello che doveva garantire la felicità al maggior numero di persone. Ormai è chiaro, invece, che si è trattato di una truffa e che per poter funzionare ha bisogno di enormi quantità di risorse e esseri umani da poter sfruttare a buon mercato. All’attuale stato delle cose possiamo dire che finiti gli schiavi e le risorse naturali finisce anche il capitalismo. Né più, né meno.
Uno degli aspetti più sinistri e folli dell’attuale sistema di produzione di beni (a sua volta sinistro e folle) è la cosiddetta “obsolescenza programmata”, un virus che infetta la maggior parte delle “cose” che abbiamo a casa e che è risultato fondamentale per poter mantenere in piedi gli attuali ritmi di consumo. In pratica buona parte degli oggetti che abbiamo sono progettati per rompersi entro un certo lasso di tempo. In questo modo i produttori si garantiscono, molto banalmente, un flusso continuo di acquirenti, o pù semplicemente di disgraziati costretti a sostituire il frigorifero acquistato pochi anni prima.
Quel frigorifero, insomma, potrebbe durare ancora decenni. La tecnologia per costruirlo “immortale” esiste ma non viene utilizzata perché quella fetta di economia si regge su un determinato livello di produzione (e quindi di consumo) annuo e, molto semplicemente, l’azienda che produce frigoriferi “deve” venderli a tutti i costi, anche se questo significa, di fatto, taroccarli e farli rompere prima. E’ come se un gommista mettesse dei chiodi sulla strada a 300 metri dalla sua bottega per “incoraggiare” l’afflusso di clienti. E magari finisce anche che chi fora pensa “che culo! c’è un gommista!”.
E’ così giunto per noi il momento di dire due parole sul mezzo di trasporto che abbiamo scelto per il nostro Perimetro dell’Italia: la Vespa. Si tratta, per l’esattezza, di una Vespa 150 Sprint Veloce del 1973. Quarant’anni suonati, da quando la prendemmo di quinta mano al ghetto di Roma ci ha portato due volte in giro per l’Italia, a Berlino, a Belfast, a Bilbao, in Corsica e a Sparta, oltre a girarci sempre in una città che è un grumo di traffico crivellato di buche. Praticamente non ha mai avuto problemi significativi e, soprattutto, mai e poi mai siamo arrivati a pensare “ormai è vecchia, la dobbiamo buttare”. Perché la vecchia Vespa, a differenza di buona parte degli oggetti che abbiamo e che vediamo attorno a noi, non solo si può sempre riparare ma lo si può fare ad un costo decisamente accessibile. Er Mariani, nostro meccanico di fiducia, dice sempre che se tutti andassero in giro con un mezzo del genere lui dovrebbe chiudere i battenti, perché non avrebbe più lavoro. Così, dopo quarant’anni e non sappiamo quante centinaia di chilometri sul groppone, una vecchia vespa fatta a Pontedera mentre Allende era presidente del Cile è ancora più affidabile di uno scooter “nuovo”, per la cui produzione è stato necessario consumare nuove risorse, inquinare, sfruttare e concepire il nuovo punto di obsolescenza programata, probabilmente fissato da qui a massimo 4 anni.
Un sistema che si riduce a fabbricare oggetti qualitativamente peggiori di quelli che produceva decenni prima è evidentemente giunto ad un punto di rottura insanabile. Chi paga il conto sono le persone, costrette ad indebitarsi per inseguire standard di vita obsoleti e fondanti sul possesso di oggetti che si rompono sempre più velocemente e una grande protagonista che non siede in nessun parlamento e in nessun consiglio di amministrazione: la natura.
E’ per questo che un concetto come quello di “green economy” ci suona strano e ci fa nascere dei dubbi: come potrà un modo di produzione che pratica sistematicamente l’obsolescenza programmata per restare in piedi garantire alla tecnologia necessaria a superare il picco petrolifero le necessarie basi per potersi sviluppare su larga scala prima che sia troppo tardi?
Una coincidenza interessante: contemporaneamente a questo articolo viene presentata la Nuova Vespa Primavera http://www.repubblica.it/motori/sezioni/moto/2013/11/03/foto/nuova_vespa_primavera_come_ai_vecchi_tempi-70136299/1/?ref=fbpr. Lo slogan “come ai vecchi tempi” mi genera un sorriso amaro. Sarebbe interessante un’autopsia/confronto dei due mezzi, il “vecchio” e il “nuovo”, a distanza di 45 anni, da parte di Er Mariani o di un suo collega; un’analisi scientifica e dettagliata delle folli strategie dell’obsolescenza programmata, pezzo per pezzo. Per mettere a nudo la truffa e il reato ambientale che si nasconde dietro a questo virus sconosciuto che riempie le nostre discariche e seppellisce il futuro dei nostro figli sotto montagne di rifiuti. E chissà, per elaborare una strategia alternativa, un piano B, un hackeraggio di questo sistema malato…