L’Italia brutta si rispecchia nella classe politica ma non lo ammette
di Pierfrancesco Demilito
Il 2013 è agli sgoccioli, fiduciosi e pieni di buoni propositi siamo pronti a tuffarci nel 2014, che tutti speriamo sarà migliore dell’anno appena passato. In tanti, forse in troppi, negli ultimi dodici mesi hanno avuto conati al solo pensare alla classe politica italiana. In realtà l’antipolitica serpeggia nel Paese già da un po’, ma oramai sembrerebbe aver preso il sopravvento. Non si può fare una fila alla cassa di un supermercato senza sentire qualcuno che lamentandosi della politica ripete per l’ennesima volta: “devono andare tutti a casa”. Inutile nasconderselo, gli italiani sono convinti di essere migliori dei propri governanti. Ma è davvero così?
Per rispondere a questa domanda basterebbe ricordare che, nel 2013, oltre il 60% degli studenti dei tre atenei della Capitale si è finto bisognoso. L’obiettivo è scroccare borse di studio, affitti calmierati, sconti sui trasporti e assegni. Con il risultato di toglierli a chi ne avrebbe davvero diritto, danneggiando le finanze dello Stato. Ma snoccioliamo qualche altro dato utile a capire davvero in che Paese viviamo. Nell’anno che sta per chiudersi, il 55% della popolazione non ha letto neanche un libro (in Germania i non lettori sono solo 18% della popolazione). Non va meglio ai quotidiani: ogni 1000 abitanti, in Italia, se ne vendono solo 161 (in Svezia ne vendono 468).
I cittadini che davvero fanno un sforzo per mantenersi informati e analizzare la realtà che ci circonda sono pochissimi. E così ogni giorno dobbiamo fare i conti con un’opinione pubblica superficiale e forcaiola. Un elettorato che troppo spesso è stato accontentato e assecondato dalla classe politica italiana con provvedimenti sbagliati e spesso controproducenti. Nell’ultimo anno, ad esempio, è stata rimossa l’Imu (che gravava sui proprietari di immobili), rendendo però necessario l’inserimento di una tassa sui servizi (che graverà sui proprietari di casa ma anche sui semplici inquilini) e l’aumento di un punto percentuale di Iva. Più recente è invece la decisione di cancellare i finanziamenti pubblici ai partiti, decisione quest’ultima che ci allontana ancora una volta dalle grandi democrazie europee e mondiali. In Europa non prevedono un finanziamento ai partiti solo Malta, Andorra, Svizzera, Bielorussia e Ucraina. E così dal prossimo 2017 entreremo in un esclusivo club e potremmo “vantare” la compagnia di Senegal, Mauritania, Sierra Leone, Bolivia e Venezuela.
Va bene (mica tanto), gli italiani non sono fatti per la lettura e l’approfondimento politico ma in fondo il nostro è il Paese dell’arte, della cultura, dei musei. I nostri vicini di casa non leggono il quotidiano ma andranno certamente a visitare una bella mostra. No. Su 10 italiani, solo due hanno visitato un museo nell’ultimo anno (nel Regno Unito sono 5 su 10). E non possiamo certo meravigliarci per questo dato, considerato che un trash-reality come il Grande Fratello mantiene una media ascolto che oscilla tra il 30% e il 60% di share mentre nell’ultimo anno il record di ascolti di un programma di approfondimento come Report non ha superato il 9% di share.
Alcuni diranno: “certo, i biglietti dei musei italiani possono permetterseli solo i facoltosi tedeschi”. Ma la verità è un’altra: gli italiani nel corso degli anni si sono allontanati sempre di più dalla tradizione culturale del nostro Paese. I soldi sono senz’altro pochi ma quei pochi che ci sono si spendono in modo discutibile (proprio come nella pubblica amministrazione). E così l’82% della popolazione italiana, chi più chi meno, è amante del gioco d’azzardo, del bingo, del lotto, del superenalotto e dei gratta e vinci. Tra questi il 66,3% spende meno di 10 euro la settimana, il 14,9% da 10 a 29 euro, il 7,9% da 30 a 49 euro, il 6,5% da 50 a 149 euro e ben il 4,4% dichiara di spendere per il gioco oltre 150 euro la settimana.
Insomma, a recitare le malefatte degli italiani (quelle degli uomini qualunque, mica dei politici) ci vorrebbe troppo tempo. La conclusione è che noi non siamo meglio dei nostri politici, nei quali possiamo semplicemente e tristemente specchiarci. E in più siamo diventati un popolo di lagnosi frignoni, buoni a vedere le pagliuzze negli occhi altrui ma che passano sopra (con troppa facilità) alle travi che si trovano nei propri.
Dunque, considerato questo panorama culturale e queste cattive abitudini nostrane, considerato che solo qualche mese fa più di 10 milioni di italiani hanno votato per un settantasettenne con svariati problemi giudiziari, che per un ventennio ha paralizzato il Paese ponendo, sempre e comunque, al centro del dibattito politico i suoi interessi privati e le sue passioni personali e che altri 8 milioni hanno scelto un ex comico e fiero populista, verrebbe da chiedersi come siamo riusciti a mantenere in piedi una democrazia in questo Paese e come mai non ci siamo ritrovati nel bel mezzo di una guerra civile. La risposta, però, è semplice: ci siamo riusciti perché in fondo la nostra è una democrazia imperfetta. I nostri padri costituenti, per fortuna, conoscevano bene le facili fascinazioni degli italiani e hanno previsto nel nostro ordinamento alcune garanzie (ad esempio il Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale).
E così Napolitano, il primo Presidente della Repubblica a cui è stato affidato un secondo settennato, si è guadagnato il soprannome di “Re Giorgio”. Effettivamente Napolitano, pur nel rispetto della Costituzione, si è preso qualche libertà in più rispetto ai suoi predecessori, ma probabilmente, senza di lui al Colle, il nostro Paese oggi sarebbe in mano a ignoranti, populisti o come avrebbero preferito i recenti “forconi” ad una giunta militare. Chissà, magari gli italiani sarebbero ben lieti di avere un maresciallo dei carabinieri come ministro dell’Istruzione.
Pessimismo leopardato
Vedi un po’ se c’ha ragione Berlusconi
quando dice la Sinistra è pessimista!
Pierfrancesco, lei è un vero disfattista
che non vede un palmo lungi dai coglioni.
‘Studio aperto’, per esempio, ha dei milioni
che lo seguono, e il cervello assai ne acquista.
TG4 è un poco meno fideista
ma una mano la dà sempre alle elezioni.
De Filippi è incubatrice di Nobèl
ed è noto quel che fa il Grande Fratello
ai lettori del Giornale insieme a ‘Chi’.
La Cultura qui da noi, mio saputel,
è il substrato dove svetta Masaniello.
L’ignoranza scalda i cuor, non l’abbiccì.