Il nuovo Governo affidato a Renzi. A lui anche il compito di assegnare 600 poltrone

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di Pierfrancesco Demilito

Ci risiamo. Riecco la telecamera fissa sulla porta della loggia d’onore del Quirinale (rigorosamente chiusa), i corazzieri immobili nell’alta uniforme e “il red carpet” dei partiti. Immagini ormai familiari, al punto che questa volta persino l’instancabile Enrico Mentana ha deciso di non trasmetterle in diretta sulla “sua” La7. Il Governo Letta è caduto (il terzo esecutivo a cadere negli ultimi tre anni) e al Colle sono ricominciate le consultazioni. Questa volta il “merito” è di Matteo Renzi che, cambiando idea numerose volte in breve tempo, alla fine ha dato il ben servito ad Enrico Letta.

Il sindaco di Firenze (ormai ex), in realtà, più che di un merito personale, parla di colpe di un Governo che ha tenuto il Paese in una palude, ma quello che il segretario del Pd ancora non ha detto è come tirerà fuori tutti noi dalla fanga e, soprattutto, con chi si farà carico di questa impresa. L’unico modo per dare davvero uno scossone a questa legislatura sarebbe quello di cambiare maggioranza, ma il no giunto da Sel non consente grandi manovre. Il rottamatore – esattamente come il suo predecessore – non potrà fare a meno di Alfano e del suo Nuovo Centro Destra e nemmeno dei Popolari di Mario Mauro e Casini.

Il neo segretario del Pd, dunque, lascia intendere che il problema dell’ultimo Governo fosse solo ed esclusivamente il presidente Letta. Poco conta se nel corso di questi ultimi dieci mesi l’esecutivo abbia dovuto fare i conti con un Parlamento spaccato e con numeri risicati. Poco conta se ogni provvedimento varato dal Governo ha dovuto fare i conti con i diktat i posti dall’uno e dall’altro partito. Per “cambiare verso” basta sostituire Letta. E così quei cronisti che in passato hanno descritto Renzi come un politico con un ego smisurato possono gongolare beatamente.

Noi di Mediapolitika già qualche settimana fa avevamo espresso alcune perplessità riguardo ai repentini cambi d’idea di Matteo Renzi, ma onestamente neanche noi ci saremmo aspettati una tale sterzata sul tema del Governo. Qualche mese fa, infatti, mentre il sindaco era ospite di Daria Bignardi alle Invasioni Barbariche, aveva detto: “A palazzo Chigi voglio andarci solo passando per le elezioni, non attraverso manovre di Palazzo”. A gennaio, sempre alle Invasioni, lanciò in diretta l’hashtag #enricostaisereno. E solo qualche giorno fa ad Agorà (Rai Tre) ha detto: “Sono tantissimi i nostri che dicono: ma perché dobbiamo andare (al governo senza elezioni)? Ma chi ce lo fa fare? Ci sono anch’io tra questi, nel senso che nessuno di noi ha mai chiesto di andare a prendere il governo”.

Ma cosa ha portato, dunque, a questa accelerazione, a questo radicale cambiamento d’idea. Secondo alcuni, ben informati, un ruolo importante in questa partita è stato giocato da Confindustria, e più precisamente da Giorgio Squinzi, che già da un po’ non lesina bordate su Letta. Secondo altri, invece, è stato determinante l’approssimarsi del semestre europeo, che potrebbe rappresentare un’importante vetrina per il Paese.

Secondo noi, magari ci sbaglieremo, c’è una cosa che ha fatto davvero gola a Matteo Renzi, un fattore che ha accelerato il passaggio da sindaco di Firenze a Presidente del Consiglio: ci riferiamo alle 600 poltrone nelle società controllate dallo Stato da assegnare tra la metà di aprile e la fine di giugno. Cambiano i vertici di Eni, Enel, Finmeccanica, Terna e Poste. Ma non solo, scadono i consigli di amministrazione di 14 società controllate dal ministero dell’Economia, più altri 35 consigli di società controllate indirettamente (Enav, Poligrafico, Fintecna, Mistral Air, Italia Turismo, Fondo Strategico e 13 società del gruppo Fs). Non vi basta? Bene, perché non sono mica finite. Scadono anche i collegi sindacali di 10 controllate dirette e di 50 controllate indirette, tra cui Coni Servizi, Rai World e Stretto di Messina. In tutto sono 49 CdA e 60 collegi sindacali.

I prossimi mesi, dunque, saranno decisivi. Matteo Renzi, la politica italiana e il Paese in generale si giocano molto e la cosa non sembra preoccupare particolarmente il giovane rottamatore che in questa avventura si è lanciato senza particolari remore. A lui chiediamo semplicemente di non ripetere più: “Non avevo alternative” o frasi del tipo “me l’ha chiesto il Paese”. Nessuno più di lui ha voluto quella poltrona a Palazzo Chigi, per arrivarci s’è più volte rimangiato la sua stessa parola, adesso se ne assuma la piena responsabilità.

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