Giappone, a dieci mesi dalla tragedia: intervista a Pio D’Emilia autore di “Tsunami nucleare”
di Sabrina Ferri
11 Marzo 2011. Gli occhi del mondo sostano inorriditi dinanzi alle tv, il cuore perde improvvisamente un colpo, lacrime cariche di rabbia ed incredulità si adagiano su di una realtà raccapricciante. Una potenza, un Paese, un’intera comunità non ci sono più. Il Giappone è stato devastato, denudato delle sue gioie e delle sue ricchezze, deprivato di ogni speranza. Già stretto nelle grinfie di un terrificante sisma, si ritrova, in pochi istanti, braccato da uno tsunami di violenza inaudita che, come un pugno di ferro, finisce con l’attanagliare in una morsa soffocante tutto ciò di quanto rimasto intatto.
Ecco, quel giorno il mondo si ferma, assiste inerme all’impeto distruttivo della Natura. Ma per il Giappone quel giorno è soltanto l’inizio di una lunga agonia. Alcune esplosioni alla centrale di Fukushima risvegliano l’incubo del nucleare e delle radiazioni, assestando i ricordi attorno al disastro di Chernobyl. Impossibile non ripensare, impossibile non rivedere.
Eppure, oggi, a quasi un anno di distanza, il governo nipponico non ha esitato a rassicurare: la situazione è sotto controllo, la centrale ha raggiunto il punto di spegnimento freddo. Ma cosa significa questo? Che, forse, non esiste più un’emergenza nucleare?
Ne abbiamo parlato con Pio D’Emilia, giornalista di Sky Tg24 e autore del libro Tsunami Nucleare, testimone diretto della sciagura, del terrore nucleare, capace di spingersi nei luoghi più pericolosi, arrivando persino quasi a sfiorare il “ventre” di Fukushima, laddove morte e desolazione finiscono con lo svelarsi nella loro forma più cruda.
Le autorità giapponesi hanno recentemente sostenuto che Fukushima è sotto controllo. È davvero così? L’emergenza nucleare è stata scongiurata?
Dire che la situazione è sotto controllo quando non si sa dove siano i “noccioli” dei reattori uno, due e tre e quando nessuno sa qual è il livello di erosione mi sembra un atto irresponsabile e inopportuno. Il governo mente e continua a mentire. Tutto questo dipende, ovviamente, da questioni economiche perché il Giappone, come l’Italia, è un Paese con un debito pubblico altissimo e non si potrebbe permettere ciò che, invece, dovrà sopportare, ovvero un enorme pioggia di costi aggiuntivi e risarcimenti che la società Tepco deve pagare attraverso le assicurazioni delle banche, cosa che tra l’altro fa pensare addirittura ad una possibile nazionalizzazione della Tepco nel prossimo futuro.
Quindi, probabilmente, il governo ha fatto questa dichiarazione perché vuole abbassare i costi, vuole poter stanziare meno soldi per la ricostruzione e per la gestione dell’emergenza dichiarando che la questione è risolta. Ma questi sono fenomeni di “finanza creativa” e che anche in Italia hanno dimostrato di lasciare il tempo che trovano.
Nel suo libro Tsunami nucleare racconta i trenta giorni che sconvolsero il Giappone. Perché questo titolo?
Anzitutto, tengo a precisare, che tsunami nucleare è una metafora. Lo tsunami è una parola giapponese che significa “grande ondata”. Ho intitolato il mio libro tsunami nucleare perché, in realtà, lo tsunami, quindi l’ondata, la devastazione, la catastrofe nucleare già c’è, c’è dal primo giorno. Le ondate di Fukushima hanno cominciato ad emanare le prime radiazioni e quello che io chiamo tsunami non è altro che l’inizio di uno dei più grandi incidenti nucleari, dopo Chernobyl, della storia moderna. Non è il primo, non sarà l’ultimo, sicuramente è uno dei più gravi.
Purtroppo, oggi, è ancora troppo presto per poterne calcolare le conseguenze visto che dopo quindici/venti anni da Chernobyl scopriamo che i nostri figli hanno preso il cancro o la leucemia. A maggior ragione questo dovrebbe essere il segnale, un avvertimento, l’ennesimo monito affinché il nucleare venga abbandonato. Basti pensare che, fino ad oggi, il Giappone aveva 54 reattori che producevano meno del 20% dell’energia elettrica. In questo momento, per vari morivi, su 54 reattori solo 6 sono in funzione. Eppure il Giappone non sembra vivere al buio.
Ecco, allora, l’ennesima dimostrazione che con un’alta politica di risparmio e investimenti a pioggia nelle energie rinnovabili è possibile puntare su di un “cavallo” più ambientalmente e socialmente sostenibile. Uno dei punti fondamentali del nucleare è proprio il suo costo sociale. Vedere gli occhi delle mamme tra gli scaffali e comprare qualche cosa, ma non sanno che quel qualcosa sarà stato tra quindici anni la causa del cancro dei figli, è sinceramente uno degli incubi, tra tanti, che possiamo evitare.
Come stanno agendo le istituzioni per cercare di riportare la situazione, se così si può dire, alla normalità?
Il governo giapponese è un governo democratico, dopo anni di dittatura “liberal-democratica”. Ci si aspettava un atteggiamento un tantino diverso. Per certi versi, rispetto al passato c’è stato. C’è stata maggiore trasparenza, maggiore volontà di condividere con la popolazione i vari passaggi della crisi. Ma il problema drammatico è che in Giappone, come in altri paesi, non governa il governo ma le lobby, in particolare le lobby nucleari, e quindi quello che falsamente riferisce il governo è perché al governo è stato falsamente riferito dalla lobby nucleare. Il governo giapponese, a quasi un anno di distanza dall’incidente nucleare, non ha avuto la possibilità di mandare esperti nucleari all’interno della centrale di Fukushima e si basa esclusivamente sulle informazioni dei “padroni”.
I riflettori mediatici sembrano essersi spenti sul caso Giappone. Per quale motivo?
Intanto invito tutti i lettori a sintonizzarsi su Sky Tg24. Noi, fra tanti, ne parliamo e ogni volta che c’è una notizia cerchiamo di darla. Tuttavia il primo problema è che non ci sono media italiani in Giappone, a parte Ansa e Sky Tg24, e questo è un problema tecnico di chi fornisce la notizia. E poi c’è il solito discorso dei mass media, un discorso globale che punta sulla notizia, su ciò che fa notizia. Anche di Fukushima se ne è parlato la prima settimana tutti i giorni, poi è scoppiato il caso Libia e il 90% dell’attenzione si è spostato sulla Libia. E’ un vizio abbastanza condiviso da chi non è capace di controllare tutti i fuochi in cucina. Insomma, alla fine, è un po’ come se guardi solo il sugo e te ne freghi della carne!