Mediapolitika intervista l’attrice Lia Boysen al Nordic Film Fest 2014

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di Sabrina Innocenti 

Lya Boisen
Lya Boisen

A margine della presentazione, tenutasi a Roma domenica 13 novembre, del film The last sentence, Mediapolitika ha incontrato una delle attrici che ha partecipato alla realizzazione del film: Lia Boysen, che nella pellicola ha vestito i panni di Anita Levisson, una delle amiche dell’amante del famoso giornalista svedese Torgny Segerstedt. The last sentence ci racconta gli aspetti più intimi della vita del noto giornalista svedese impegnato da subito alla lotta al nazismo e a Hitler (per leggere la recensione di Mediapolitika clicca qui). Con Lia abbiamo avuto la possibilità di toccare anche altri temi, come ad esempio l’importante figura del regista Jan Troell. La Boyes, inoltre, in Italia è nota soprattutto per la partecipazione a Racconti da Stoccolma nel 2006.

Buonasera Lia. Per cominciare, cosa ricorderà con particolare piacere quando ripenserà alla lavorazione di The Last Sentence? 

Mi ricorderò per sempre il modo di lavorare di Jan Troell, che è un modo molto umile nel suo modo di vedere il mondo. Ovviamente è stato enorme il piacere di lavorare con Jesper Christensen, l’attore danese che ha interpretato il protagonista, che ammiro da tanto tempo. Poi non dimenticherò che i cani, che all’interno del film hanno una grande importanza, sono stati pagati tantissimo, più o meno quanto siamo stati pagati noi attori (ride, ndr).

Ci ha parlato dell’importanza di Jan Troell, quindi come è stato lavorare con un regista così importante? 

Ho sempre ammirato Jan, quindi sapere di lavorare con lui mi aveva messo un po’ di agitazione. E’ stato comunque molto particolare lavorarci, perché lui lavora più come un direttore della fotografia.Vuole sempre cercare di captare il momento giusto con gli attori, senza seguire per forza un copione come fanno molti altri registi. Ad esempio può capitare che ci sono scene in cui l’attore ha preparato la parte come da copione, ma che il regista non l’avesse ripreso impegnato a seguire magari un’altra cosa che in quel momento ha catturato la sua attenzione. Non a caso quando Troell e Gene Hackman hanno lavorato insieme hanno litigato spesso, perché l’attore americano non accettava questo modo di lavorare. Io fortunatamente conoscevo già il suo modo di lavorare e quindi ero preparata, anche se devo ammettere che in questo film ha lavorato in maniera più tradizionale.

Il pubblico ha riscoperto il personaggio di Torgny Segerstedt, oppure il giornalista era già conosciuto? Pensiamo soprattutto ai più giovani. 

Sicuramente il pubblico è venuto a vedere il film per la presenza di Troell, la trama forse è passata inizialmente in secondo piano perché quello che fa Troell fa sempre audience. Adesso però la figura di Segerstedt è stata sicuramente riscoperta anche grazie al film. Essendo passati poi tanti anni i giovani probabilmente hanno scoperto soltanto ora la figura di questo importante giornalista.

L’anno scorso, sempre al Nordic Film Fest, veniva presentato il documentario su Olof Palme, adesso un altro film politicamente impegnato. Quanto è importante far arrivare anche in Italia questi tipi di film? 

E’ importante riuscire a produrre questi film per far conoscere personaggi storici. Ho sentito quindi negli anni la mancanza di film in cui si parla di qualcuno che ha fatto veramente qualcosa d’importante. In generale, a prescindere dalla mia partecipazione, è importante che quest’onda venga cavalcata, piuttosto che tanti altri temi superficiali.

Per chiudere. Quali sono i suoi programmi futuri? Con la speranza magari di vederla ancora qui in Italia. 

Ho lavorato a un film che si chiama Miracolo di Viskan, in cui lavoro con Rolf Lassgård e che uscirà nelle sale in Svezia ad autunno, magari chissà l’anno prossimo anche in Italia. Poi sono appena tornata dall’India dove ho girato un film con un regista indiano che cercava in Svezia un’attrice per la sua opera. Il film è collegato con la Svezia perché parla di una donna costretta a venire in Svezia per aver scritto un libro non accettato politicamente.

 

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