Champions League. Carlo Ancelotti e la Coppa dei Campioni: questione di Dna
di Marco Milan
Lui e Bob Paisley. Gli unici allenatori a conquistare per tre volte la Coppa dei Campioni. Eh si, Carlo Ancelotti raggiunge in questa speciale classifica il leggendario tecnico del Liverpool, campione d’Europa coi Reds nel 1977, 1978 e 1981, ma se possibile fa anche meglio, avendo trionfato alla guida di due squadre diverse (Milan e Real Madrid) ed aggiungendo questi tre successi ai due ottenuti da giocatore, anche quelli con la maglia del Milan, nel 1989 e nel 1990.
Ancelotti e la Coppa Campioni vanno di pari passo, come la panna sul gelato, come i grissini col tonno. Del resto anche il titolo della sua prima autobiografia lo diceva, con quel Preferisco la Coppa, inteso come oggetto metallico con grandi manici, più che come salume che comunque il buon Carletto non ha mai disdegnato. Nel 2003 col suo Milan piegò dopo i calci di rigore la resistenza della Juve, quella stessa Juve che lo aveva insultato e maltrattato quando ne era tecnico, per poi esonerarlo e far posto all’allenator prodigo Marcello Lippi; quella sera a Manchester Ancelotti si staccò di dosso definitivamente l’etichetta di perdente, nel 2007 si cucì quella di leggenda conquistando coi rossoneri il secondo trofeo continentale, ad Atene contro il Liverpool. Ed oggi la festa col Real Madrid, al termine di una stagione controversa, partita con l’obbligo di vincere tutto per i bianchi di Madrid e che ha invece rischiato di finire nel peggiore dei modi dopo sì la vittoria in Coppa del Re sul Barcellona, ma anche dopo la resa nella Liga a favore dei cugini dell’Atletico e il rischio di perdere, sempre contro i biancorossi di Simeone, anche la finale di Coppa dei Campioni, acciuffata per i capelli, quelli di Sergio Ramos che al minuto 4 di recupero hanno spinto dentro la palla dell’1-1 salvando capra, cavoli e stagione del Real. Quella decima Coppa dei Campioni che per il Real Madrid era passata da sogno a ossessione, inseguita, bramata per 12 anni, diventata quasi una maledizione, non proprio ai livelli di quella abbattutasi una cinquantina di anni fa sul Benfica, ma col rischio di avvicinarvisi molto. Ma Carlo Ancelotti la voleva quella coppa, voleva essere lui, il re di coppe, appunto, a riportare il Real sul trono d’Europa; ce l’ha fatta, più con la strategia che con il gioco, più col dna di vincente che con i dettami tattici. Un dna che ha portato i madrileni a sbancare Monaco di Baviera con un irriverente 4-0 inflitto ai campioni d’Europa in carica, partiti come superfavoriti e strapazzati senza pietà ai limiti dell’ultimo atto. La Coppa dei Campioni è casa sua e lui ci si muove bene, ci si destreggia senza lasciar trasparire emozioni.
Il Real Madrid di Ancelotti ha vinto in Europa perchè è stato più squadra di quello di Pellegrini e di quello di Mourinho, perchè ha fatto rendere al meglio un certo Cristiano Ronaldo (a proposito, 17 reti in 11 partite), ha limitato i raptus schizofrenici di Pepe, ha affidato a Luka Modric le chiavi del centrocampo, come fece con Andrea Pirlo 11 anni fa nel Milan, ha stabilito regole che tutti hanno seguito, a partire dai pali, difesi da Diego Lopez in campionato e da Iker Casillas in Europa. Polemiche? Zero. Tutti uniti con Carlo per l’obiettivo. E l’obiettivo è stato centrato, sofferto ma centrato. E Ancelotti porta a casa la terza personale, alzata quasi al livello del suo sopracciglio. Lui, con quello sguardo mite, quell’aspetto da buono, iscrive il suo nome fra i più vincenti della storia del calcio.