L'”inchino” al boss durante la processione a Oppido Mamertina. Un omaggio molto diffuso nel Sud Italia
di Marta Silvestre
Lo scorso 2 luglio, a Oppido Mamertina, l’inchino della Madonna delle Grazie davanti alla casa del boss ottanduenne Peppe Mazzagatti aveva provocato molto sdegno. E non solo.
Infatti, la Dda di Reggio Calabria ha subito avviato un’indagine e i Carabinieri – che si erano prontamente allontanati dalla processione – qualche giorno fa, hanno identificato tutti i venticinque portatori della statua, grazie a un video che avevano fatto registrare durante la processione.
Adesso, sono in corso le verifiche per accertare se qualcuno dei portatori fosse legato alla famiglia Mazzagatti.
La processione era partita, come d’abitudine, dalla piccola chiesa di Tresilico e all’inizio del corteo c’erano molti amministratori comunali, alcuni sacerdoti e i carabinieri.
Giunti vicino all’abitazione del boss condannato all’ergastolo per omicidio e associazione a delinquere di stampo mafioso – ai domiciliari per motivi di salute – i portatori si sono fermati per far sostare lì davanti l’effige della Madonna per trenta secondi e le hanno anche fatto fare un inchino, facilmente interpretabile come segno di saluto e di omaggio nei confronti del boss.
Resosi conto di ciò che stava accadendo, il comandante della stazione dei carabinieri – il maresciallo Andrea Marino – insieme ad altri due militari, ha clamorosamente abbandonato la processione, sotto lo sguardo ammutolito di tutti, come atto pubblico di distanza rispetto al grave gesto a cui aveva assistito.
Don Benedetto Rustico, il parroco di Oppido Mamertina – città nota anche per una cruenta faida che non ha mai risparmiato nemmeno donne e bambini e che, nel tempo, ha ammazzato circa un centinaio di persone, una delle quali venne addirittura data in pasto ai maiali – si è detto “rammaricato dell’interpretazione e dell’eco sproporzionata che la stampa ha dato dell’evento, pur sapendo che questo non è un fatto così catastrofico” e ha aggiunto di non essere a conoscenza di “rapporti fra ‘ndrangheta e chiesa”.
Eppure di ‘religiosi omaggi’ ai boss e di riti di ‘sacro e devoto rispetto’ fatti di inchini e di percorsi e fermate strategiche è disseminato il Sud Italia, dove la criminalità organizzata gestisce molte delle feste patronali.
A Sant’Onofrio – in provincia di Vibo Valentia – quest’anno la processione pasquale ‘dell’Affruntata’ è stata annullata a causa di infiltrazioni mafiose.
In Aspromonte, alla festa della Madonna di Polsi, addirittura, la Vergine è detta ‘dell’ndrangheta’ perché nel santuario, la notte prima della processione, si riunivano gli affiliati per decidere alleanze, discutere di piani illeciti e decretare le successive vittime.
A Castellammare di Stabia, nel 2012 l’effige di San Catello si era fermata sotto la casa del boss Battifredo.
A Pareti – in provincia di Caserta – il percorso della processione della Madonna della Rotonda era stato appositamente deviato affinché passasse davanti all’abitazione di un ammalato parente di uno dei boss locali.
A Nola, durante la ‘Festa dei Gigli’ i boss vennero acclamati in piazza sulle note del Padrino e i soldi donati dai fedeli devoti per San Paolino finirono nelle casse della camorra.
E, ancora, a Campobello di Mazara, nel 2006, la processione del Crocifisso fece una sosta proprio davanti alla casa di Franco Luppino, braccio destro di Matteo Messina Denaro.
Adesso, il vescovo di Oppino-Palmi, monsignor Francesco Melito ha sospeso lo svolgimento di tutte le processioni della diocesi, a tempo indeterminato.
‘Tolto il dente, tolto il dolore’; ma, davvero, è questa la soluzione per contrastare la pratica di sudditanza collettiva e di riconoscimento sociale inaccettabile dei mafiosi di cui si rendono complici anche alcuni sacerdoti?