Ultimi della classe anche tra gli indipendentisti: a noi tocca Bitonci
È un momento d’oro per l’indipendentismo in Europa. Londra e Madrid tremano per le forti pulsioni separatiste scozzesi e catalane. Se i primi viaggiano col vento in poppa verso il voto sull’indipendenza dal Regno Unito del prossimo 18 settembre, a Barcellona centinaia di migliaia di persone sono scese in piazza per festeggiare la “Diada” e per chiedere un referendum che il governo centrale ha già annunciato osteggerà con decisione, proprio mentre al Camp Nou Barcellona e Athletic Bilbao scendevano in campo con le maglie “indipendentiste”.
E in Italia? Più che tremare a Roma continuano a sbellicarsi dalle risate. Perché da noi, complice la discutibile autorevolezza del partito che se ne fa portatore, le istanze indipendentiste non superano le chiacchiere da bar e non fanno altro che alimentare l’ironia del web. Matteo Salvini – di ritorno dal viaggio in compagnia di Antonio Razzi in Corea del Nord, paragonata dal segretario leghista alla Svizzera per la pulizia e la cultura dello sport – ha arringato i pochi sostenitori accorsi alla festa dei popoli padani sul Monviso. «Se Renzi metterà una sola mezza tassa in più – ha tuonato – andremo a Roma con i bastoni». Panico a Palazzo Chigi.
L’indipendenza può attendere, almeno fino a quando la Lega non potrà contare su esponenti di prestigio. Perché è davvero difficile condurre una battaglia se tra i propri uomini c’è uno come Massimo Bitonci, a meno che non si voglia istituire la Repubblica di Salò. Il neo sindaco di Padova leghista ha ravvivato le pagine di colore, più che di politica, dei giornali italiani con il nuovo regolamento di polizia urbana che il consiglio comunale della città veneta dovrà discutere il prossimo 29 settembre.
Una sfilza di divieti, 32 per la precisione, per difendere il decoro della città: è vietato soddisfare esigenze fisiologiche fuori dai luoghi destinati allo scopo, bagnarsi o nuotare fuori dai luoghi destinati allo scopo, fissare o appoggiare bici o motorini agli arredi urbani, agli alberi, ai pali, ai monumenti e a altri manufatti pubblici non destinati allo scopo. È inoltre vietato il trasporto, senza giustificato motivo, di mercanzia in grandi sacchi di plastica, borsoni o con altri analoghi contenitori (ai cosiddetti “accattoni” arriveranno le multe a casa, nel Paese di residenza!), mostrarsi in pubblico in abiti che offendono il comune senso del pudore e i proprietari di fabbricati o di costruzioni disabitate devono porre in atto le misure necessarie ad impedire ogni forma di invasioni o di occupazione.
Ma le regole che rendono Padova la “città dei divieti” non finiscono qui. È vietato dare alloggio nei locali ad uso abitazione a un numero superiore rispetto ai parametri indicati dalla delibera della giunta, stendere la biancheria fuori dai balconi, sedersi per terra e sdraiarsi sulle panchine o utilizzarle in modo improprio, consumare alcolici fuori dai bar o dai plateatici. Il nuovo regolamento arriva a vietare le feste di laurea in piazza «condite» con uova e farina e i papiri di laurea che vengono affissi sui muri della città, una tradizione secolare. Il tutto per «assicurare la serena e civile convivenza», e «tutelare la tranquillità sociale, il decoro ambientale, la fruibilità e il corretto uso del luogo pubblico e dei beni comuni».
Il regolamento che dichiara guerra a venditori ambulanti, prostitute, nomadi, senzatetto e writers ha provocato l’ironica protesta di qualche centinaio di giovani radunatisi in Piazza delle Erbe per dare vita alla “sagra del degrado”. «Quattro gatti», ha commentato il sindaco, probabilmente qualche gatto in più di quelli visti al Monviso. Se questa è la Padania libera voluta dagli indipendentisti “italiani” che sognano il referendum, tiferemo tutti per il sì.
(di Fabio Grandinetti)