Euroscettici al palo. Salta l’intesa a Bruxelles

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farageFarage è un’infantile”. Si chiude con questa accusa dell’eurodeputato democratico Giorgio Pittella l’esperienza del gruppo degli euroscettici che sembrava a primavera dover scuotere le coscienze dell’UE. Messa a dura prova dai conflitti tra Nigel Farage e Marie Le Pen, rispettivamente bandiera del nazionalismo britannico e francese, questa frangia che prometteva scintille è in realtà crollata di fronte alle difficoltà numeriche e alla mancanza di una reale condivisione d’intenti.

Il gruppo è partito diviso sin dall’inizio della legislatura a causa soprattutto del latente conflitto franco-britannico. Costituito un primo gruppo tra l’Ukip di Farage e il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, si è subito delineata la possibilità di crearne un secondo per riunire altre frange nazionaliste europee. Tentativo arenatosi già a giugno per l’intransigenza del Front National confinando nel buco nero dei non iscritti i 23 eurodeputati del Fronte stesso, i 5 della Lega Nord, compreso il segretario Matteo Salvini, ma anche i 4 del Party for Freedom di Geert Wilders seconda forza in Olanda, i 5 austriaci del Partito per la Libertà di Strache, primo in Austria, e i belgi del Vlaams Belang. Senza dimenticare i neonazisti greci di Alba Dorata e quelli tedeschi del Partito Nazionaldemocratico, nonché gli antisemiti ungheresi di Jobbik. Buco nero poiché i non iscritti sono considerati dei paria nell’emiciclo di Bruxelles che non gli consente di usufruire della distribuzione proporzionale delle cariche e dei dossier, tanto meno dei contributi per l’attività politica di gruppo. Il tempo di parola è limitatissimo mentre la semplice presentazione di un emendamento si carica di controfirme e barriere numeriche poco superabili.

L’uscita di scena della lettone Iveta Grigule ha posto la parola anche all’Efdd – Europa della Libertà e della Democrazia del poco plausibile asse Londra-Roma. Venuta a mancare la condizione di rappresentanza di almeno sette diversi paesi nell’ambito del gruppo – peraltro raggiunta con una defezione poco patriottica da parte di un deputato del Front Nationale – il portavoce del Parlamento europeo, Jaume Duch, ha dovuto dichiarare sciolto l’Efdd. Un cinguettio su Twitter che ha suscitato non poche polemiche. È stato lo stesso Efdd a rilasciare una nota in cui sostiene che la Grigule “è stata ricattata da Ppe e S&D”. Nel comunicato si dice che la Grigule ha riferito al segretario del gruppo di essere stata costretta alle dimissioni per essere eletta presidente della delegazione parlamentare per l’Asia centrale. Velenoso Farage: “Schulz sarebbe più adatto a fare il presidente del Parlamento in una Repubblica delle banane. [..]è chiaro che il Parlamento europeo non segue la pratica di lungo termine di dividere le presidenze e le partecipazioni alle delegazioni secondo il metodo proporzionale. Credo che questo episodio sia un esempio di faziosità politica su scala straordinaria”. Scomparendo l’Efdd inoltre, scompare il posto in prima linea dello stesso Farage che non avrà più molto tempo a disposizione per i suoi sermoni anti unionisti.

Ma cosa si cela davvero dietro la celere scomparsa del gruppo? Nell’Europa della Commissione, che ha scelto dopo le elezioni primaverili di rinvigorire l’aspetto nazionalistico con il conferimento di importanti poteri all’organo più intergovernativo dell’Unione, potrebbe sembrare quasi un paradosso. È evidente che la voce euroscettica si è alimentata del forte risentimento degli Stati nei confronti di Bruxelles per non aver saputo affrontare a dovere la crisi economica e per non aver preso chiare posizioni rispetto alle rivendicazioni rigoriste della Germania. Si tratta tuttavia di una tendenza d’opinione suscettibile di gonfiarsi e sgonfiarsi repentinamente se non alimentata da un vero programma. Il brand anti euro ha funzionato in campagna elettorale poiché è riuscito a raccogliere una sacca di grosso risentimento, di smarrimento e timore ma non è stato seguito da proposte che non fossero quella – peraltro ormai chiaramente infattibile – di abolire l’euro e tornare alle monete nazionali, senza peraltro indicare un piano chiaro e delle tappe di esecuzione. Un colpo duro, che stride con il risultato trionfale della scorsa primavera e che mostra come i meccanismi della politica di facciata siano piuttosto labili ove sussistono invece barriere di incomprensione – non hanno aiutato gli aspri scontri verbali tra Farage e Le Pen – e come, al netto dei proclami elettorali, la realtà a Bruxelles sia molto più complessa di quanto appaia e di quanto i media raccontino. Ne faranno presto le spese i grillini che, a differenza del navigato Farage, dovranno provare a confluire altrove per poter contare così come ne hanno fatto le spese gli eurodeputati della Lega Nord, associatisi senza successo alla vittoriosa ma euro inconcludente bandiera del Front Nationale.

(di Emiliana De Santis)

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