Cina: speriamo non sia femmina. Rapporto “Women’s rights without frontier”
di Daniela Silva
Quella demografica in Cina è una questione che torna spesso a far parlare di sé. In questo caso, l’occasione per farlo è il report di “Women’s right without frontier”, un’associazione che si oppone all’aborto forzato e alla schiavitù sessuale nel Paese rosso. L’obiettivo dell’associazione è quello di sensibilizzare l’opinione pubblica per quanto riguarda l’applicazione coercitiva del figlio unico e altri abusi dei diritti umani che sono conseguenza di questo obbligo. Già, perché tra le tante leggi assurde in vigore nel mondo, nella Cina di Mao c’è anche la “politica del figlio unico”, introdotta negli anni Settanta per contrastare il fortissimo incremento demografico del Paese. La prima fase fu attuata con una legge che vietava alle donne di avere più di un figlio. È stata poi modificata negli anni Novanta con l’introduzione di sole sanzioni pecuniarie. Posto che in un Paese così popoloso come la Cina sia necessario applicare politiche che consentano una vita dignitosa ad ogni individuo, la politica del figlio unico risulta piuttosto controversa, nonché combattuta, dal momento che prevede l’applicazione di misure coercitive, tra cui l’aborto e la sterilizzazione forzata. Altra bizzarria è riscontrabile in un’eccezione, ossia sembrerebbe che, nelle campagne, alle coppie il cui primo figlio sia una bambina, spesso è permesso avere un secondo genito, nel tentativo di avere un maschio.
A questo proposito, il 22 aprile 2009 nel corso della Commissione affari esteri della Camera, il segretario di Stato americano Hillary Clinton ha condannato l’aborto forzato e la sterilizzazione in Cina. Avrebbe dichiarato che queste pratiche sono “assolutamente inaccettabili”, ma soprattutto “un’interferenza nei diritti delle donne”. Il deputato americano Chris Smith, repubblicano del New Jersey e presidente della Commissione parlamentare per i diritti umani, invece nel settembre scorso avrebbe affermato che non vi è cosa più pericolosa in Cina che pronunciare la frase “È una bambina”, parlando della politica del figlio unico come di un “crimine di massa del Governo contro donne e bambini non nati”.
Il rapporto di Women’s right oggi porta alla ribalta tredici nuovi casi di interruzione di gravidanza oltre l’ottavo mese. Reggie Littlejohn, a capo dell’associazione, all’audizione ha portato un faldone con la documentazione di nuovi casi di abusi. L’uomo che ha raccolto testimonianze e foto è un 33enne che rischia il carcere e la tortura per renderle pubbliche. Nel suo rapporto, fra le altre, si legge la storia di una donna presa per strada nella provincia di Henan e trascinata via da un responsabile locale della pianificazione familiare e da un’ufficiale “del settore femminile”, una polizia per sole donne sguinzagliata alla caccia di chi non rispetta le regole. In molte province cinesi le donne devono presentarsi una volta ogni due o tre mesi al controllo che accerta che non siano rimaste incinte illegalmente, ovvero senza permesso dello Stato e se l’appuntamento medico salta, le autorità hanno diritto di picchiare, minacciare o arrestare la malcapitata e tutta la sua famiglia. La situazione, inevitabilmente, precipita qualora la ragazza venga trovata incinta. Il report, infatti, racconta di due donne costrette ad abortire in modo orribile a un paio di settimane dalla data prevista per il parto. In Cina il corpo di una donna è di proprietà dello Stato. È bene far notare che, con la sua “polizia dell’utero”, il Partito comunista cinese perpetra un crimine contro l’umanità.
A causa di aborti selettivi e uccisioni delle bambine si stima che ci siano 37 milioni di maschi cinesi che non troveranno mai moglie, e questo favorisce la tratta sessuale delle femmine dai paesi confinanti. Altro problema da poco in un Paese già sufficientemente afflitto da gravissime problematiche. Come ampiamente denunciato dal network Asia News le donne vengono vendute agli scapoli delle campagne affinché possano procreare. Nonostante sui giornali del Paese vengano riportati i casi a “lieto fine”, su dieci donne che vengono liberate, cento sono costrette in condizioni barbariche nelle campagne, unicamente per assicurare una progenie a scapoli disposti a pagare ingenti somme di denaro. Vengono rapite per le strade o attirare con false promesse di lavoro. I Paesi da cui sono sottratte sono principalmente Vietnam, Mongolia, Birmania e Corea del Sud.
La cosa più agghiacciante di tutto questo è che attualmente gli Stati Uniti d’America, il Paese considerato democratico e all’avanguardia per eccellenza, finanzia indirettamente, ma essendone ufficialmente a conoscenza, contraccezione di stato, sterilizzazioni e aborti forzati attraverso i milioni di dollari che ogni anno danno all’Unfpa, l’agenzia dell’Onu per la popolazione che considera le misure demografiche adottate dalla Cina talmente esemplari da suggerirle a tutti i Paesi.