Libera, 20 anni di impegno contro le mafie
“É il Noi che vince”. Si presenta così don Luigi Ciotti agli studenti che affollano la Palazzina dell’Auditorio dell’Accademia Nazionale dei Lincei per assistere alla conferenza I cittadini e le mafie. L’esperienza dei venti anni dell’«Associazione Libera» , svoltasi il 30 ottobre a pochi giorni dalla conclusione la terza edizione di Contromafie, gli Stati Generali dell’Antimafia. Il fondatore di Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie racconta, con forza e umiltà, il cammino di un’associazione nata dall’idea di Pio La Torre, sindacalista ucciso dalla mafia, che oggi aggrega 1600 associazioni, gruppi, scuole, realtà di base, impegnate in Italia e all’estero a diffondere la cultura della legalità.
“Un esempio per i giovani” è l’azione di don Ciotti che il presidente dell’Accademia, Lamberto Maffei, paragona al pensiero di Camus “rivoluzionario perché accompagnato dai fatti”. C’è ancora tanto da fare e da capire sulla lotta alla mafia, ammette il sacerdote, ma l’Italia ha innanzitutto bisogno di una “riforma delle coscienze” perché “non è possibile che da 400 anni ci sia la camorra, da 150 anni la mafia e da oltre un secolo si parli della ‘ndrangheta”. “Abbiamo permesso alle mafie di esserci, ancora più forti”, prosegue don Ciotti e “sono tornate forti in tempo di crisi perché hanno tanto denaro da investire e riciclare”.
È un percorso di impegno civile e determinazione la vita di don Ciotti dedicata a contrastare con i fatti il potere delle mafie. “Lo so che non cambia il mondo, ma i segni sono importanti”, sottolinea più volte, con tono modesto, ripercorrendo la storia del Gruppo Abele, nato nel 1965, la nascita delle Comunità negli anni Ottanta e il contrasto alle tossicodipendenze fin dall’inizio del suo sacerdozio. L’accoglienza di chi vive “ai margini” della società, dopo gli attentati ai giudici Falcone e Borsellino, quando “un segno del destino” lo volle proprio in Sicilia il 23 maggio 1992, giorno della strage di Capaci, si traduce “nel desiderio di non lasciare sole le realtà che stavano in quei territori”. L’anno dopo esce la rivista Narcomafie per dare una continuità nel segno della cultura e dell’educazione, “l’investimento più prezioso” e nella primavera del 1995 nasce Libera.
La vicinanza ai famigliari delle vittime innocenti delle mafie si esprime soprattutto nella Giornata della memoria e dell’impegno, “non una celebrazione della retorica, ma un impegno quotidiano” dice don Ciotti ricordando le parole di Papa Francesco: «Il senso di responsabilità vinca sulla corruzione» e lodando l’operato di don Puglisi e don Diana, testimoni di una “Chiesa che deve interferire”. C’è tempo per ricordare le ultime campagne di mobilitazione “Riparte il futuro” e “Miseria Ladra”, contro la corruzione e la povertà, le esperienze di “Libera Informazione” osservatorio sull’informazione per la legalità e contro le mafie e di “Libera Terra”, iniziativa per un’economia sana dai beni confiscati alle mafie, i quali – ci tiene a precisare don Ciotti – “non appartengono a Libera, che promuove le cooperative, aperte con bandi pubblici”, ma vengono restituiti alle comunità.
Parole “rubate” – Nel suo discorso appassionato, fatto di nomi, cifre e aneddoti, don Ciotti mette l’accento su parole troppo spesso svuotate di significato. Una di queste è “legalità”. La risposta a “mafie che si globalizzano” è la globalizzazione della società civile, chiamata a essere responsabile ogni giorno: bisogna “smettere di essere cittadini ‘a intermittenza’, che scelgono la legalità ‘malleabile e disponibile’ e quando succedono le tragedie si commuovono ma poi non si muovono”. Ricordando i ragazzi calabresi incontrati alcuni giorni fa, desiderosi di sentire “parole di carne”, il sacerdote invita i presenti a considerare l’antimafia “un problema di coscienza e non un’etichetta, una carta d’identità”. La stessa coscienza, aggiunge, spinge a ricercare la “verità”, una parola che manca nella Costituzione italiana, riferimento della sua vita assieme al Vangelo. “Il 75% delle vittime di mafia non conosce la verità”, è il dato che don Ciotti cita per parlare della guerra di mafia, che ha fatto fino ad oggi 3500 morti, ma continua a fare “morti vivi”, vittime di racket, usura o di infiltrazioni mafiose nelle aziende.
L’invito a tenere alta l’attenzione, intervenendo in prima persona per la legalità, don Ciotti lo ribadisce prendendo in prestito le parole del giudice Rosario Livatino: «Alla fine non ci sarà chiesto se siamo stati credenti ma se siamo stati credibili» e citando alcuni stralci della lettera ai giovani di don Tonino Bello, un appello rivolto ai ragazzi presenti: «Diventate voi la coscienza critica del mondo. Diventate sovversivi. Non fidatevi dei cristiani “autentici” che non incidono la crosta della civiltà. Il cristiano autentico è sempre un sovversivo».
(di Elena Angiargiu)