Interstellar – L’odissea spazio temporale di Nolan.
In un futuro imprecisato, e non troppo lontano, tutte le risorse alimentari della terra si sono consumate, l’unica coltura sopravvissuta è il mais e interminabili tempeste di sabbia si abbattono sempre più frequentemente sul terreno con esiti disastrosi.
L’unica speranza per la sopravvivenza della specie umana è trovare un pianeta che presenti le stesse caratteristiche della terra.
Questa missione viene affidata, suo malgrado, a un ex astronauta ora riciclatosi agricoltore.
Fin qua niente di strano, Interstellar si presenta come l’ennesimo film di fantascienza sull’estinzione della razza umana e sulla possibilità di colonizzare un nuovo pianeta.
A prima vista viene naturale il collegamento con le reminiscenze Kubrikiane di 2001: Odissea nello spazio e il recente Gravity di Alfonso Cuaron; tuttavia (a parte gli incidenti spaziali e la corrispondenza Clooney/ Bullock-McConaughey/Hathaway), il maggior debito che Nolan ha con il regista messicano è costituito proprio dalla particolare e innovativa modalità di riprendere il moto roteante degli astronauti e della navicella spaziale che fluttua nello spazio accompagnato dal solo respiro dei protagonisti.
Se per Kubrick l’aspetto principale di 2001 è stato il rapporto uomo-intelligenza artificiale, il perno attorno cui ruota Interstellar è il problema del tempo.
La nozione di disordine, la frattura tra tempo e spazio è una costante sempre presente nella produzione di Nolan e, tra tutti i suoi lavori, Memento e Inception sono quelli che estremizzano meglio i concetti di dilatazione e distorsione spazio-temporale.
Se per la prima metà del film, la trama è abbastanza lineare: il “cowboy” stellare Cooper (McConaughey), spinto da un visionario scienziato della NASA (Michael Caine), decide insieme a un piccolo gruppo, composto dalla biologa Amelia Brand (Hathaway), gli scienziati Doyle e Romilly e il robot TARS, di partire per il recupero di dati raccolti da precedenti astronauti al fine di testare il tasso di vivibilità di pianeti; nella seconda parte, Nolan si addentra in speculazioni abbastanza incomprensibili.
Senza la pretesa di spiegare le complesse nozioni di fisica, le varie teorie spaziali e leggi gravitazionali, si capisce che l’unica alternativa che ha Cooper per far ritorno sulla terra è l’attraversamento del wormhole, una sorta di ponte-varco temporale che consente il passaggio da un universo all’altro superando la velocità della luce.
Il tempo dei viaggi interstellari e il tempo terreste non coincidono e «l’amore è l’unica cosa che trascende il tempo e lo spazio».
L’aspetto che fa da sfondo al film e che porta inesorabilmente al finale -tipicamente americano/perbenista/positivo, è proprio la forza dei legami familiari che superano le barriere del tempo.
Come in un loop infinito, Cooper, dopo aver attraversato il wormhole, si ritrova (inspiegabilmente) catapultato in una penta-dimensione che altro non è la cameretta di sua figlia nel suo stesso passato.
Cooper, attraverso il linguaggio morse, comunica alla figlia (Jessica Chastain) ora cresciuta e diventata scienziata della NASA, informazioni relative alla singolarità del wormhole, in modo da farle risolvere un’ equazione che permetterà all’umanità di lasciare la terra.
In fin dei conti, possiamo definire Interstellar un bagno di sensazioni -visive e sonore; un’esperienza senza eguali, assimilabile a quella che hanno dovuto provare i critici nel 1977 quando hanno definito Guerre stellari di Lucas il primo prodotto del post-modernismo per l’utilizzo inedito del sistema sonoro Dolby surround, dalla quale si esce come frastornati e storditi.
Da ricordare che il film di Nolan ha ben 66 minuti girati in formato IMAX , in 70mm -anche se il primato, in minutaggio, lo detiene l’ultimo episodio della saga di Batman, Il ritorno del cavaliere oscuro diretto sempre da Nolan.
Benché il film sia eccessivamente lungo, e che Nolan ha voluto esagerare nel voler mostrare il suo virtuosismo registico, Interstellar fa restare lo spettatore incollato allo schermo e tra dubbi esistenziali e teorie gravitazionali, la principale preoccupazione che si prova è quella di non voler uscire dal cinema, per paura che siano passati di colpo trenta anni!
(di Annalisa Gambino)