Trash – Il degrado delle favelas brasiliane filtrato dagli occhi di tre piccoli ragazzi selvaggi
Trash di Stephen Daldry, vincitore del premio del pubblico all’ultimo Festival del Cinema di Roma, è l’adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo per ragazzi di Andy Mulligan, e la sceneggiatura è firmata da Richard Curtis (Quattro matrimoni e un funerale e Love Actually).
Il film si snoda tra l’andamento favolistico, che ne stempera la crudezza, e il ritmo incalzante della scrittura anglosassone di Curtis per raccontare le avventure di Raphael, Gardo e Rato.
Un giorno, dalla valanga di rifiuti maleodoranti dove lavorano emerge un borsello che cambierà la vita dei protagonisti per sempre. Il portafoglio, appartenente all’avvocato Josè Angelo che vediamo morire in apertura al film, contiene scottanti documenti che testimoniano gli sporchi movimenti di connivenze e mazzette tra Santos, potente sindaco di Rio, e varie organizzazioni pubbliche e private.
I bambini osservano il mondo dalla loro prospettiva, scevra da ideologismi e pragmatismi del mondo adulti, e decidono di portare avanti la battaglia di Angelo «perché è giusto»; ad aiutarli una volontaria insegnante di inglese (Rooney Mara) e un prete (Martin Sheen).
La narrazione si sviluppa in tre tempi: il presente di Raphael, Gardo e Rato è alternato da flash back che ricostruiscono la vicenda di Josè Angelo e da inserti intradiegetici filmati dall’insegnate che documentano, come un diario di viaggio/confessione, le vicende e le impressioni raccontate dai bambini stessi.
Stephen Daldry avvalendosi dei meccanismi spettacolari del thriller di azione imbastito da inseguimenti, colpi di scena e indizi da scoprire, rappresenta con commozione la miseria e le condizioni di vita nelle discariche della favelas intorno a una non precisata megalopoli brasiliana.
L’estetica di riferimento è quella di City of God (2002) di Fernando Meirelles -ambientato nella favela di Rio de Janeiro – e Tropa de elite (2007) di José Padilha sul dominio delle bande di narcotrafficanti nelle bidonville brasiliane. Mentre lo sguardo d’insieme ricorda più quello del suo corrispettivo indiano The Millionaire (2008) di Danny Boyle, per l’utilizzo della tematica sociale e il ricorso alla morale finale.
Lo sguardo dei registi anglo-americani, quando scelgono come soggetto la povertà e la miseria, si carica, purtroppo, di un eccessivo buonismo e il finale, nella maggior parte dei casi, risulta stucchevole perché davvero troppo artificioso e lontano dalla drammaticità reale che presenta il caso.
Ciò nonostante, Trash emoziona, colpisce lo spettatore e va oltre il semplice affresco di una società divisa tra estrema povertà ed eccessiva ricchezza, grazie soprattutto alla particolare ottica che adotta il regista, ossia quella dell’ingenua innocenza dei ragazzini.
Stephen Daldry ha, infatti, maturato nei lavori precedenti (come Billy Elliot, la storia del giovanissimo aspirante ballerino nell’Inghilterra delle proteste operaie e Molto forte, incredibilmente vicino, che ha per protagonista Oskar Shell, divenuto orfano di padre a seguito degli attentati alle Twin Towers), una straordinaria sensibilità nel rappresentare lo sguardo fanciullesco nella sua essenza più pura, che ricorda con un tocco nostalgico il Ragazzo Selvaggio di Truffaut.