Cade il tabù svizzero. Nuovo accordo sul segreto bancario
Lo storico accordo raggiunto lo scorso 23 febbraio tra Italia e Svizzera sancisce la fine del segreto bancario e obbliga i contraenti allo scambio delle informazioni fiscali. Si tratta di un traguardo atteso da molti anni ma ormai quasi dovuto vista l’adesione della Svizzera al Common Reporting Standard (CRS) dell’OCSE e alle nuove normative europee in base alle quali Berna si è impegnata nella voluntary disclosure a partire dal 1 gennaio 2018.
L’accordo dovrà essere ora ratificato dai rispettivi Parlamenti e corredato dai decreti attuativi ma le adesioni sono già moltissime. Quando l’intesa sarà entrata in vigore, la nostra Agenzia delle Entrate potrà richiedere alla Svizzera le informazioni sui conti in essere a partire dal giorno della firma dell’accordo stesso poiché non esisterà più per i dipendenti e i titolari di istituti di credito la possibilità di appellarsi alle norme di riservatezza conseguenti il segreto bancario. Plauso giunge sia dall’OCSE sia dalla UE. “Questo è un passo in avanti molto importante nel rapporto tra i due Paesi”, sottolinea il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan nonostante i tre anni di negoziati non proprio semplici dovuti all’intenso dibattito su una serie di imposte controverse e questioni finanziarie.
La Banca d’Italia stima che circa il 70% del denaro che gli italiani hanno nascosto all’estero sia in Svizzera, tradizionale rifugio dei maggiori evasori fiscali, mentre fonti interne al governo dichiarano che l’accordo potrebbe produrre fino a 6,5 miliardi di euro in entrate fiscali supplementari. L’Italia ha firmato il 26 febbraio un accordo analogo con il Liechtenstein mentre sono in stato di forte avanzamento le trattative con il Principato di Monaco.
Rispetto ai tentativi d’intesa naufragati nel passato ed anche ai precedenti condoni variamente concessi dai governi italiani, ad oggi l’unico modo per evitare le pesanti sanzioni civili e penali previste, sarà quello di riportare i propri capitali nella Penisola approfittando della nuova stringente normativa sulla voluntary disclosure che consente agli evasori di regolarizzare la propria posizione col fisco – ma solo relativamente al denaro detenuto all’estero e per tutte le violazioni di legge avvenute entro il 30 settembre 2014 – fino all’autunno 2015. Non più quindi scudi fiscali premiali e forfettari ma un provvedimento di legge impositivo ed analitico in linea con le normative internazionali che colpisce, sebbene in misura minore, i patrimoni a tutti i livelli.
Nato negli Stati Uniti agli inizi degli anni ’90, il volutary disclosure è tornato d’attualità in Europa solo dal 2010. In Italia è stato recepito prima nel decreto legge n.4 del 2014 quindi regolato lo stesso anno dalla legge n. 186 in vigore dal 1 gennaio 2015. Il contribuente non in regola ha tempo fino al 30 settembre 2015 per autodenunciarsi all’Agenzia delle Entrate indicando sua sponte tutti gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenute all’estero, con onere della prova a suo totale carico. Deve poi pagare quanto evaso al fisco italiano in un’unica soluzione o al limite in tre rate regolarizzando totalmente e non in maniera parziale, come altresì avvenuto in passato, la sua posizione contributiva e sanando allo stesso tempo le conseguenti responsabilità penali. Sono previste deroghe per i patrimoni light o conti pocket ossia le attività finanziarie non eccedenti il valore di 2 milioni di euro per esercizio fiscale. Per tutti gli altri, oltre al versamento totale delle imposte sottratte al Fisco, vale inoltre l’obbligo di versare le relative sanzioni – per omessa dichiarazione e per violazione degli obblighi di monitoraggio fiscale – e gli interessi maturati. L’accordo ha un ampio raggio d’applicazione dando all’agenzia delle Entrate italiana la possibilità di richiedere informazioni alla controparte elvetica non limitate ai redditi di natura finanziaria, già coperti dallo scambio automatico, ma a tutti i tipi di reddito.
Per Roma si tratta di un passo cruciale nella lotta alla fuga ai capitali che si accompagna all’adesione sempre maggiore dei contribuenti alla voluntary disclosure. La procedura sta entrando infatti nel vivo e le richieste crescono giorno dopo giorno facendo sì che il Governo stia accumulando risorse straordinarie superiori alle stime iniziali. Non dimentichiamo però che, chiuso il passo per la fuga in Svizzera, nel Lichtenstein e a Monaco, restano aperti i trasferimenti d’Oltreoceano. Singapore ed Emirati Arabi hanno aderito e si stanno progressivamente adeguando al CRS dell’OCSE e potrebbero quindi essere un rifugio solo a breve termine, come le Filippine he hanno siglato il FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act) statunitense. L’unico paese rifugio finora appetibile per gli evasori resta l’Oman, quasi assente al momento da grandi rischi politichi e finanziari, sempre che non decida di uscire dalla black list per aderire a breve al CRS. A questo punto i soldi dovrebbero essere migrati in paesi come il Portorico o l’Ecuador o addirittura in Libano, fuori da qualsiasi accordo ma contraddistinti da un elevato rischio-paese. Vita dure per gli evasori del nuovo Millennio.
(di Emiliana De Santis)
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