La teoria gender arriva nelle scuole e spaventa gli ultracattolici

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teoria genderCi risiamo. Jorge Mario Bergoglio, in arte Papa Francesco, è tornato a paragonare la teoria gender all’indottrinamento propinato ai giovani studenti dagli autoritarismi dello scorso secolo. Rispondendo alla domanda di un giornalista tedesco, che gli chiedeva a cosa si riferisse quando ha parlato di “colonizzazione ideologica”, Bergoglio ha risposto: “Colonizzano il popolo con un’idea che cambia o vuol cambiare una mentalità o una struttura”. Secondo il Papa, attraverso le scuole si usano i bambini per attaccare culturalmente la società: “Lo stesso hanno fatto le dittature del secolo scorso. Sono entrate con la loro dottrina. Pensate ai Balilla, pensate alla Gioventù Hitleriana. Hanno colonizzato il popolo”. Parole simili a quelle usate ad aprile dello scorso anno durante il suo discorso alla delegazione dell’Ufficio Internazionale Cattolico dell’Infanzia.

Il fascismo ha fatto della purezza della razza una bandiera, è cresciuto alimentando la paura del diverso, ha reso la violenza un orgoglio. Ecco perché tanti italiani hanno lottato per liberarsi da questa dittatura ed ecco perché ancora oggi difendere il rispetto per gli altri e l’accettazione delle diversità altrui è un dovere costituzionale.

Alla luce di questa considerazione, risulta ancora più incomprensibile come possa Bergoglio paragonare la teoria gender, che mette al centro il rispetto degli altri, all’indottrinamento propinato ai giovani balilla. Per inciso, nel Libro della V Classe elementare, adottato nelle scuole italiane nel 1939, si leggeva: “Il Creatore, sapienza infinita, ha fatto in modo che ogni uomo, giunto a una certa età, senta venirgli dal cuore una voce che dice: Scegli la tua sposa e vivi sempre con lei amandola e proteggendola. Insieme avrete figli che vivranno dopo di voi e così l’umanità continuerà nei Secoli. Nasce così il bisogno di formarsi una famiglia. Chi, a suo tempo, non prova questo bisogno, è un infelice ed è un ribelle alla legge di Dio il quale vuole che la specie non si estingua. “Guai ai soli!” ha detto Gesù. Perfino nella jungla selvaggia, gli elefanti che non hanno saputo scegliersi una compagna si appartano, si intristiscono e muoiono assai prima degli altri”.

Argomentazioni non molto distanti da quelle che alcuni ultracattolici vorrebbero, a distanza di oltre 75 anni, fossero ancora inseriti nei programmi didattici delle scuole.

Ma per quanto il parallelismo tra teoria gender e fascismo a me sfugga, su alcuni ambienti cattolici ha avuto una grande presa e ha seminato il panico in migliaia di genitori. Una lotta senza esclusione di colpi (che non ha tenuto fuori dalla mischia nemmeno la disinformazione più bieca) condotta, tra gli altri, dal sito NotizieProVita. Quello che il sito diretto da Antonio Brandi vorrebbe far credere ai suoi lettori (e che purtroppo in tanti credono) è che nelle scuole italiane, attraverso la cultura del genere, si stia cercando di deviare un’intera generazione, spingendo i bambini verso l’omosessualità.

Cerchiamo, dunque, di fare un po’ di chiarezza visto che in questi mesi della teoria del genere s’è fatto un gran parlare ma s’è capito ben poco.

L’attuale impegno dell’Italia nel contrasto alle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere nasce dall’adesione ad un programma europeo del 2010. Ma cosa prevede il famoso programma CM/REC 5? Alla sezione Istruzione sono riservati solo pochissimi passaggi, in cui, tra le altre cose, si chiede agli Stati membri: di adottare misure destinate al personale insegnante e agli allievi, al fine di garantire l’effettivo godimento del diritto all’istruzione; di promuovere la tolleranza e il mutuo rispetto a scuola; di predisporre e attuare politiche scolastiche e piani d’azione per promuovere l’uguaglianza e la sicurezza, garantendo agli studenti la tolleranza e il mutuo rispetto a scuola, a prescindere dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere.

Insomma, niente di trascendentale, niente di rivoluzionario, ammesso che si parta tutti dalla convinzione che i diritti umani sono universali e devono essere riconosciuti a ogni individuo.

Nell’ambito del progetto CM/REC 5 l’Italia ha deciso di dar vita, ad una serie di protocolli d’intesa tra il Dipartimento della Presidenza del Consiglio per le Pari Opportunità , il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (Miur) e l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (Unar). Per quanto riguarda l’istruzione gli obiettivi di questi protocolli sono: ampliare le conoscenze e le competenze di tutti gli attori della comunità scolastica sulle tematiche LGBT; prevenire e contrastare il fenomeno dell’intolleranza e della violenza legate all’orientamento sessuale o all’identità di genere; contrastare e prevenire l’isolamento, il disagio sociale, l’insuccesso e la dispersione scolastica dei giovani LGBT; contribuire alla conoscenza delle nuove realtà familiari, superare il pregiudizio legato all’orientamento affettivo dei genitori per evitare discriminazioni nei confronti dei figli di genitori omosessuali.

Infine, nell’ottobre del 2014, una circolare del Miur, nel quadro della Settimana nazionale contro la violenza e la discriminazione, ha invitato le istituzioni scolastiche ad attivare percorsi pluriennali di sensibilizzazione, informazione, prevenzione e di contrasto a tutte le forme di violenza e di razzismo. “In considerazione del fatto – si legge nella circolare – che è compito delle Istituzioni scolastiche diffondere la massima conoscenza possibile dei diritti della persona e del rispetto verso gli altri. Contrastando fenomeni di violenza e di discriminazione, sulla base del genere, della religione, del sesso, della razza e dell’origine etnica”.

Tutto qui, obiettivi che dovrebbero essere fondamento di una scuola e di una educazione moderna e laica. E invece no, non in Italia. Nel nostro Paese, insegnare ad un bambino a rispettare un omosessuale per alcuni vuol dire far precipitare quel bambino nella perdizione. Preparare gli insegnanti delle nostre scuole, affinché non mostrino stupore se ad una bambina piace più giocare a calcio che con le bambole, è in Italia ancora un’idea rivoluzionaria.

Cosa si dovrebbe, dunque, insegnare nelle scuole italiane? A respingere le violenze razziali e non le discriminazioni su base sessuale? Potremmo condannare la violenza sulle donne, senza denunciare con la stessa determinazione quelle perpetrate ai danni delle persone LGBT? Vogliamo davvero insegnanti formati semplicemente per insegnare le addizioni e non per riconoscere gli eventuali disagi dei propri allievi?

Nel nostro Paese, in nome di un dogma, in nome di una morale ostentata, è ancora consentita la mistificazione e la disinformazione. Ne prendiamo atto ma ci sentiamo in diritto di pretendere che la morale e la religione restino fuori da una scuola libera e laica.

Qualche mese fa Cristina Zaccanti, rappresentante del movimento delle Sentinelle in Piedi (nato con il dichiarato obiettivo di “difendere la libertà di espressione messa in discussione dal ddl Scalfarotto” contro l’omofobia), su un giornale parrocchiale di un paese in provincia di Ivrea ha scritto (senza citare alcun documento o fonte) che l’Organizzazione Mondiale della Sanità prevede di favorire “la masturbazione a partire dai tre anni per far sperimentare al bambino nelle scuole materne le proprie pulsioni, così da alimentare l’esperienza omosessuale”. E superando ogni limite ha aggiunto: “In nome del diritto del bambino alla propria autodeterminazione, in Inghilterra, ma anche in alcune scuole italiane, si somministrano ormoni affinché venendone ritardata la crescita, abbiano più tempo per decidere. All’insaputa delle famiglie il bambino viene orientato verso l’omosessualità”.

Sapete che lavoro fa Cristina Zaccanti? Insegna italiano e storia al Liceo Botta di Ivrea.

(di Pierfrancesco Demilito)

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One thought on “La teoria gender arriva nelle scuole e spaventa gli ultracattolici

  1. Caro Demilito,
    se il suo articolo venisse studiato in una vecchia scuola di retorica, si sottolineerebbe l’efficacia della conclusione: citare una posizione estrema, per di più di un’insegnante, per dimostrare non solo l’invalidità di quella posizione, ma anche la validità della propria. Ma è un sofisma. E lei lo sa bene.
    E sa anche bene che l’indottrinamento è lo stesso processo, a prescindere dalla dottrina che si vuole inculcare. Ecco risolto il paragone del Papa: non ha detto che la teoria di genere è uguale al fascismo, ma che il processo di indottrinamento è simile.
    Per quanto riguarda, poi, l’innocuità della teoria di genere, ci sarebbe molto da dire. Nel nostro Paese, in cui quasi nessuno si prende la briga né di approfondire, né di ascoltare, detta come la dice lei, la questione è effettivamente innocua. Bisogna insegnare ai bambini a non discriminare nessuno, nemmeno gli omosessuali. E fin qui siamo tutti d’accordo. Ma il programma CM/REC 5 dice un’altra cosa: “garantendo agli studenti la tolleranza e il mutuo rispetto a scuola, a prescindere dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere”. Tanto è poco chiara la cosa, che lo stesso MIUR fa confusione (forse deliberatamente?) e dice: “contrastando fenomeni di violenza e di discriminazione, sulla base del genere, della religione, del sesso, della razza e dell’origine etnica”.
    Gli specialisti della materia – non parlo di me, che ho una conoscenza molto superficiale del tema – direbbero che altro è l’orientamento sessuale (chi mi piace?), altro è l’identità di genere (chi sono io, rispetto al mio sesso biologico?). Il MIUR fa un minestrone e usa due sinonimi (genere e sesso), che fanno riferimento all’antica classificazione che dice che io e lei, avendo un pene, siamo di genere (o sesso) maschile, mentre le nostre madri, avendo una vagina, sono di genere (o sesso) femminile. Le Gender Theories, perché mi pare di leggere che sono più d’una, dicono che questa classificazione non ha senso, perché non c’è legame tra la biologia (l’avere un carattere sessuale) e l’identità sessuale che la società ci attribuisce. Dicono, cioè, che il fatto che noi due indossiamo pantaloni è culturale (e fin qui possiamo anche essere d’accordo), ma anche che non c’è differenza tra padre e madre, perché le loro funzioni rispetto al figlio sono solo determinate dalla società. Oppure, notizia recente, ammettono che un ragazzino di 15 anni, che si sente donna, inizi la trafila per il cambio di sesso, col benestare di genitori e medici.
    Permetterà che queste teorie, che sono ancora solo teorie, possano infastidire, proprio perché non hanno nessun fondamento, se non il ragionamento di qualcuno. Se io ragiono diversamente, nel rispetto della Dichiarazione ONU dei diritti dell’uomo, fermo restando che essere contro le teorie di genere non significa discriminare un omosessuale o un transgender, protesto per la loro diffusione nelle scuole. L’identità di genere è un cavallo di troia per far entrare nelle scuole non il sano principio della non discriminazione, ma la negazione della legge naturale. Per molti la legge naturale non esiste. Ma sono certo meno di quelli per cui non esiste l’identità di genere. Non che la maggioranza faccia la verità, ma non la fa nemmeno la minoranza. Riflettiamo meglio su questi temi, prima di infilarli, un po’ di nascosto, nei programmi scolastici e nella legislazione.
    Cordialissimamente,
    Gianni Petiti

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