Comunicazione sociale, Intervista a Enzo Quarto
Il 12 settembre dello scorso anno è nato a Bari il Circolo delle Comunicazioni Sociali “Vito Maurogiovanni”, promosso dall’Unione Cattolica Stampa Italiana (UCSI) di Puglia, di concerto con l’Ufficio delle Comunicazioni Sociali dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto, la Comunità Società San Paolo di Bari e la famiglia dello scrittore, poeta e commediografo pugliese, Vito Maurogiovanni. Ne abbiamo parlato con il Presidente del Circolo, il giornalista RAI Enzo Quarto.
Qual è il fine del Circolo delle Comunicazioni Sociali?
Il Circolo delle Comunicazioni Sociali “Vito Maurogiovanni” è un’associazione di promozione sociale che intende aggregare non soltanto i giornalisti, ma tutta una serie di persone con ruoli diversi quali educatori, formatori, insegnanti. Vuole coinvolgere, cioè, il mondo degli operatori della comunicazione sociale a 360° per gestire delle iniziative comuni.
Quali sono queste iniziative?
Principalmente il Laboratorio della Buona Notizia e il Forum Bambini e Mass Media. Il primo è costituito da una rete di laboratori che nascono presso scuole, oratori, comunità diffuse sul territorio e i cui elaborati, pubblicati dopo la supervisione dei giornalisti dell’UCSI, affluiscono sul sito www.buonanotizialab.it. Dal Forum Bambini e Mass Media nasce il documento chiamato “La lettera di Bari”, che si batte per una comunicazione a misura di bambino nella convinzione che questa sia una comunicazione utile a tutti. Speriamo che la Lettera possa diffondersi anche altrove.
Allo stato attuale esiste una comunicazione adatta ai bambini sui mass media?
Assolutamente no. Continuiamo a pensare alla presenza dei bambini sui mass media in termini di programmi dedicati ai bambini, ma il problema non è solo dedicare programmi a questa fascia d’età. Il punto è che bisogna fare un’informazione e una comunicazione permanenti, pensando che i bambini ci ascoltano sempre. Dobbiamo stare attenti ai toni, alle parole, alla comunicazione di per sé. Tanto per fare un esempio, non possiamo parlare di omicidio e sostituire la parola “omicidio” con la parola “massacro” anche quando questa non è opportuna, oppure esasperare i toni o ancora riportare un’informazione in modo spettacolare piuttosto che riportarla in maniera più confacente. Fino alla metà del Novecento la società si preoccupava di tenere lontani i bambini dalla morte fino all’età di sei-sette anni, quando c’era la svolta evolutiva. Oggi viviamo in una società che “sputa” la morte in faccia ai bambini da subito, soprattutto la morte virtuale, e lo fa senza considerare che i bambini non sono in grado di distinguere la virtualità almeno fino ai nove anni. Occorre, quindi, un’informazione che nella forma e nei contenuti tenga conto che in ogni momento viene letta e ascoltata dai bambini, anche quando sono distratti. Anzi, è proprio quando sono distratti che sono delle spugne che stanno recependo tutto.
Che riscontri state ricevendo dal Laboratorio della Buona Notizia?
Siamo partiti dalle scuole medie, ora ci stiamo spostando anche nei licei. Il Liceo Orazio Flacco di Bari sta portando a termine proprio quest’anno il Laboratorio. È un approccio nuovo. Anche qui, il problema non è ghettizzare la buona notizia, fare del buonismo, bensì interpretare in senso positivo, e quindi buono, le notizie che ci sono. La vita ha tutti gli elementi, non esiste solo il negativo, ma anche la maniera con cui ci approcciamo positivamente al negativo è importante, perché ci permette di riscoprire il senso e il valore della speranza che, forse, nell’esasperazione dei toni forti, soprattutto della cronaca nera, dimentichiamo.
Ci parla di CarcereLab?
A dicembre abbiamo intrapreso questa bellissima iniziativa: il Laboratorio della Buona Notizia nel carcere di Bari con i detenuti e con gli allievi della scuola carceraria. Gli scritti dei detenuti vengono pubblicati nella pagina dedicata sul sito del Laboratorio della Buona Notizia. È un’esperienza eccezionale sul piano umano e può veramente contribuire a ridare speranza non soltanto ai carcerati, ma anche a chi è fuori dal carcere. Scrivere è un atto di catarsi, quindi avere il coraggio di scrivere della propria esperienza individuando i punti negativi è una presa di coscienza molto forte, un atto di liberazione. Ma questo diventa un messaggio di speranza anche per chi è fuori: dimostra che dalla sofferenza umana si può uscire, all’errore si può rimediare, si può creare una nuova condizione, in questo caso nelle relazioni tra persone.
(di Laura Guadalupi)