No Ombrina: il grido abruzzese contro il petrolio
Sono 60mila le persone che, lo scorso 23 maggio, hanno inondato le strade di Lanciano (Chieti) per dire un secco “no” alla realizzazione della piattaforma “Ombrina Mare”. Dalla zona industriale di Marcianese fino a piazza Plebiscito, organizzazioni, movimenti ed enti, liberi cittadini e politici appartenenti a tutti gli schieramenti hanno sfilato insieme per urlare il totale dissenso nei confronti di un progetto che vuole tentare, per l’ennesima volta, di trasformare l’Abruzzo da regione verde d’Europa in un distretto petrolifero.
Già bloccato in passato, “Ombrina Mare” è un progetto che è stato appena rimesso in moto dallo Sblocca Italia. Così, dopo la manifestazione pescarese del 2013, in cui 40mila persone erano scese in piazza per dire il primo “no” all’impianto, la storia si ripete ma con risvolti ancor più sorprendenti: questa volta, infatti, sono stati oltre 60mila a dare il segnale forte e chiaro che la popolazione non si arrenderà alle logiche delle lobby petrolifere.
Non solo l’Abruzzo ed i territori che affacciano sul mare Adriatico ma, a gridare “No Ombrina, salviamo l’Adriatico”, sono arrivati da tutta Italia ed anche dall’estero. Dai Notriv della Basilicata ai comitati ambientalisti contro lo stoccaggio gas della Lombardia, dal Forum Acque Molise ai centri sociali milanesi, marchigiani, trentini, e i comitati napoletani per Bagnoli e le associazioni dei terremotati aquilani, passando da una delegazione di un paese svizzero. Sentita anche oltre oceano, come dimostra la presenza della ricercatrice Maria Rita D’Orsogna, da sempre in prima linea nella lotta alle trivelle nell’Adriatico, con oltre 21mila visualizzazioni al sito dedicato, la manifestazione ha raccolto le adesioni di oltre 50 Paesi, con flash mob spontanei nella Capitale e a Bologna. Un fiume interminabile di popolo, di ogni età ed estrazione sociale, una moltitudine che non si è arresa alla pioggia ed ha trasformato una giornata uggiosa in una pietra miliare nella lotta alle trivellazioni nell’Adriatico. “Mare e costa è tutta roba nostra”, “Pane e olio senza petrolio”: sono solo alcuni degli slogan gridati dal corteo levatosi contro la realizzazione dell’impianto “Ombrina Mare”, un programma di sviluppo di idrocarburi, liquidi e gassosi, della Medoilgas Italia S.p.A., società del Gruppo Mediterranean Oil & Gas Plc, oggi Rockhopper. A sostenere la lotta anche un remake della canzone di Lucio Dalla “Com’è profondo il mare”, realizzato da 35 artisti abruzzesi, che hanno aderito all’iniziativa.
Il progetto. Ombrina Mare è una piattaforma petrolifera, che dovrebbe sorgere a soli 6 km dalla Costa dei Trabocchi, patrimonio naturalistico abruzzese unico nel suo genere. Da decenni oggetto di attenzione delle compagnie petrolifere, in questo tratto di costa è stata istituita la “Riserva Naturale regionale Costa Teatina”. In quest’area, il progetto “Ombrina Mare” prevede la realizzazione di una piattaforma di produzione estesa 35 metri per 24 metri, alta 43,50 metri, sul livello medio marino, collegata a 4-6 pozzi. Questi pozzi dovrebbero essere perforati in un periodo di avvio del progetto della durata di 6-9 mesi, con una produzione di rifiuti che dovrebbe essere pari a 14.258,44 tonnellate di fanghi e la cui composizione è coperta da segreto industriale. 36-42 km di tubazioni sottomarine e una grande nave raffineria FPSO (unità galleggiante di produzione, stoccaggio e scarico di idrocarburi) di 320 metri di lunghezza ormeggiata a 10 km dalla costa per almeno 24 anni completeranno l’impianto.
“Oltre all’inquinamento e al grande rischio collegato a questo tipo di attività, “Ombrina” rappresenta il tentativo di avviare un sistema di sfruttamento che non ha precedenti nel territorio abruzzese, che non prende assolutamente in considerazione la vocazione agricolo-turistica della regione” – hanno dichiarato i manifestanti – “le trivelle in mare e in terra trasformeranno l’Abruzzo in una “regione mineraria” e l’inquinamento prodotto potrebbe non solo essere distruttivo per la filiera agro-alimentare e turistica, ma anche provocare danni nel sottosuolo, inquinamento delle falde acquifere, riemersione di idrocarburi e gas nelle campagne nonché l’aumento del rischio sismico”. Come sottolineato da Legambiente infatti: “Ancora una volta si fa un regalo alla lobby del petrolio mettendo in campo l’ennesimo ed insensato attacco al mare italiano. Dagli studi presentati, si evince, infatti, l’assurdità del progetto: greggio di pessima qualità e di quantità trascurabili, sufficiente a coprire a fatica lo 0,2% del consumo annuale nazionale; gas in quantità insignificante e sufficiente a coprire appena lo 0,001% del consumo annuale nazionale, con una ricaduta locale (in termini di royalties) equivalente all’importo di mezza tazzina di caffè all’anno per ogni abruzzese. A guadagnare dall’operazione Ombrina Mare saranno pochi petrolieri, a discapito del territorio e delle comunità locali, sicuramente non il Paese”.
Ignorate inoltre le indicazioni della direttiva 2013/30/UE sul rafforzamento delle condizioni di sicurezza ambientale delle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi che prevede anche che, nel processo di autorizzazione di questa tipologia di progetti, sia tenuto in debito conto il parere dei cittadini, delle amministrazioni e degli enti dei territori interessati dalle richieste.
Secondo Giorgio Zampetti, responsabile scientifico di Legambiente: “Tutti questi passaggi, ad oggi, non sembra siano stati considerati dal Governo nell’iter autorizzativo di Ombrina Mare. Eppure i rischi derivanti dalla nuova piattaforma petrolifera potrebbero essere immensi, senza considerare il trattamento del greggio estratto a bordo della nave appoggio e il suo trasporto fino a riva. Eventuali incidenti o imprevisti danneggerebbero in maniera irreversibile il delicato ecosistema marino- costiero, il turismo e la pesca. Di certo il gioco non vale la candela”. Il WWF intanto tuona: “Evidentemente le ragioni ambientali ed economiche di tutto un territorio non valgono nulla rispetto alle richieste delle multinazionali del petrolio. È poi paradossale che un intervento del genere venga anche solo ipotizzato in un’area che è stata individuata come parco nazionale dal 2001. L’Abruzzo paga così i fortissimi ritardi nella perimetrazione del parco che solo ora, dopo 14 anni, sta arrivando a conclusione. Anche di questi ritardi qualcuno dovrà assumersi le responsabilità. In ogni caso la battaglia contro Ombrina Mare non può fermarsi ora e anzi dovrà andare avanti in maniera ancora più decisa in tutte le sedi possibili”.
Tra le organizzazioni scese in campo contro le trivellazioni, anche Greenpeace che ha ricordato che l’Italia ha vietato le trivelle nell’Adriatico nel 1991 a causa del rischio di abbassamento dei terreni costieri causato proprio dall’estrazione di petrolio o gas.
Alternative possibili. “L’immagine paradisiaca dell’Abruzzo “Regione Verde d’Europa” potrebbe essere cancellata da una logica perversa di sfruttamento del territorio e delle sue risorse, che negli anni sarebbe difficilmente sovvertibile, condannando vasti settori dell’economica locale al fallimento ed alla riconversione, senza conoscerne prospettive e programmi” così i sindaci, i cittadini e le associazioni ribadiscono il “no” incontrattabile ad Ombrina. “Il no alla petrolizzazione è necessario nel momento in cui è stata effettuata da parte della Regione e della Provincia la perimetrazione del Parco della Costa teatina che è già all’attenzione del Consiglio dei Ministri”, ha dichiarato il sindaco di Lanciano, Mario Pupillo. “L’unica possibilità giuridica per impedire ulteriori installazioni di ricerca ed estrazione petrolifere in mare è la trasformazione del Parco nazionale della Costa Teatina da terrestre a Parco marino”, proposta già formalizzata dal Governatore Luciano D’Alfonso e dai sindaci costieri di San Vito Chietino, Rocca San Giovanni, Torino di Sangro e Villalfonsina. “Così facendo – dicono i sindaci – il territorio costiero e le aree di pregio naturalistico conserveranno un inderogabile grado di protezione ambientale e paesaggistico senza incidere con ulteriori vincoli sui centri storici urbani”. “L’istituzione di un Parco marino – sottolineano – oltre a essere occasione per intervenire al risanamento dei fiumi e miglioramento della qualità delle acque, rappresenta l’unica concreta arma possibile contro l’installazione di piattaforme petrolifere in mare, in quanto la normativa prevede che infrastrutture di tal genere debbano essere collocate ad almeno 12 miglia dal perimetro di aree marine protette. Un limite di distanza che invece le piattaforme petrolifere non sono tenute a rispettare in caso di presenza sulla costa di aree protette ‘a qualsiasi titolo’, come il caso di Ombrina Mare, purtroppo, insegna”.
In alternativa al Parco Marino si sta valutando anche l’istituzione di un sito d’interesse comunitario marino: un’altra strada possibile, anche se non la più celere, per portare il tema dello sfruttamento petrolifero dell’Adriatico in sede Europea.
L’Abruzzo non è nuovo a questo genere di lotte: già in passato nel territorio l’attivismo della popolazione è stato essenziale per impedire la realizzazione di un Centro Oli ad Ortona ed è di qualche giorno fa la notizia che il Consiglio di Stato ha negato definitivamente la fattibilità del giacimento di gas naturale presso il lago di Bomba (CH).
Ora però, lo spettro della deriva petrolifera dell’Adriatico non è rappresentato solo da “Ombrina Mare” bensì anche dal progetto del governo croato di esplorazione, ricerca e produzione degli idrocarburi nell’Adriatico che sta assegnando licenze per le trivellazioni alle compagnie energetiche straniere.
Per tutelare il mare e la costa abruzzese, infatti, sarà necessario che le attività di ricerca ed estrazione degli idrocarburi nell’Adriatico siano vietate a livello comunitario ed è questa la via che la “moltitudine” dovrà prendere per difendere l’anima e la ragion d’essere del territorio abruzzese, da sempre polmone verde d’Europa.
(di Annalisa Spinelli)