“Comizi d’amore”. Dall’inchiesta di Pasolini al libro presentato a Roma.
“La gente risponde. Un turbinio, un caos, una babilonia di opinioni diverse. Le più ridicole, inconcepibili e contraddittorie. E ingenue, infantili, scandalizzate, apparentemente sensate, in realtà prive di ogni senso logico. La gente risponde…”. Con queste parole si apre il libro “Comizi d’amore”, dall’omonimo film-documentario di Pier Paolo Paolini girato sulle spiagge italiane nel 1963 e prodotto da Alfredo Bini. “La gente”, questo è il soggetto cui il cronista Pasolini rivolge le sue azzardate quanto sconcertanti domande.
Il libro è stato pubblicato per i tipi dell’editore Contrasto e presentato in anteprima sabato 3 ottobre nella libreria Nuova Europa da Mario Desiati, nell’ambito della rassegna «conPasolini» diretta da Roberto Ippolito, dieci giorni di appuntamenti su vita e opera di Pier Paolo Pasolini. Il volume, a cura di Graziella Chiarcossi e Maria D’Agostini, presenta al lettore la trascrizione del film arricchita dal materiale preparatorio e da una serie di documenti, tra cui un testo di Vincenzo Cerami e le bellissime foto di scena realizzate da Mario Dondero e Angelo Novi, i due maestri dello scatto che accompagnarono Pasolini in questa sua inchiesta in giro per l’Italia e che vide la luce quattro anni dopo un altro reportage “La lunga strada di sabbia” (1959).
Spesso definito autore scomodo e poi, come spesso succede a chi ha lo sguardo più lungo di altri, tanto ammirato nei posteri, in particolare dalle nuove generazioni. Pasolini è stato giornalista, regista, scrittore, ma prima ancora poeta. Una poesia che incontra e si scontra con la società che egli osserva, descrive, critica. Una poesia che da intima si fa sempre più civile e drammaticamente ancorata a un bisogno di realtà. La politica, l’anticonformismo, il ruolo dell’artista nella società, l’omosessualità sono alcuni dei temi che lo scrittore friulano denuncia attraverso la sua arte.
E “Comizi d’amore” è uno dei prodotti più riusciti, o forse meno riusciti in tal senso. Ma la bellezza di questa inchiesta giornalistica a tratti sociologica risiede proprio nel suo incompleto ritratto dell’Italia dei primi anni 60. Una di quelle grandi inchieste veraci e profonde che tanto mancano oggi al giornalismo italiano sebbene il panorama nostrano siamo colmo di firme illustri. L’originalità e il coraggio nonché la dignità con le quali Pasolini “porta fuori”, come fosse un demiurgo, i diversi volti di cui l’Italia era composta è prerogativa del suo stile. Irriverente, audace, profondamente e tristemente vero. Due facce dell’Italia, ieri come oggi, figlie del contrasto che da sempre divide il Paese: il conformismo imposto dalla società, dalla morale borghese e cattolica, e la tensione verso il superamento di essi, un superamento che Pasolini chiama “sessualità” ma che in realtà è qualcosa di molto più radicato e che tende a un senso di libertà dell’uomo. Libertà intellettuale, libertà morale, dunque libertà di amare. Oltre ogni tempo, oltre ogni nazione o regione.
“Pasolini fa capire quanta ignoranza c’è sul tema della sessualità. E lo sottolineava non per stigmatizzarla, ma per portare gli intellettuali a individuare e a colmare un vuoto”, così si è espresso il saggista, Vincenzo Imperatore, durante la presentazione del libro. L’ignoranza e lo scandalo, gli avamposti di un’ideologia vecchia contro i quali Pier Paolo Pasolini si è speso a lungo la sua carriera con articoli, libri, apparizioni in tv. Controverse le sue posizioni, spesso strumentalizzate. Vero conoscitore dell’animo umano, un cronista che con pochi mezzi- un piccolo microfono e una telecamera- intervista gli italiani, dai ragazzi della Calabria, agli uomini e le donne liguri di diverse età e diverse estrazioni sociali.
Lui, uomo dagli zigomi duri e dalla voce femminea, che si arrabbiava più che scandalizzava. Poiché lo scandalo nasce dalla minaccia di qualcosa di diverso. E la minaccia è conseguenza della non conoscenza, cioè dell’ignoranza. Quando s’ignora qualcosa, non si riesce a inquadrarla in uno schema, in una convenzione. La convenzione placa il senso di inquietudine, rende “schiavi sicuri”, rende simili ai propri simili. Per il conformismo non bisogna lottare, perché è lì da secoli, anche se spesso non si sa il perché e non si oppongono “ma”. È lì e basta.
Alla sterile denuncia Pasolini opponeva l’umile desiderio di conoscere, oltre sé stesso. Sente che c’è un vuoto intellettuale che reclama e desidera essere colmato. Infatti alle sue domande sulle questioni della libertà sessuale, dell’omosessualità, del matrimonio, sono chiamati anche a rispondere intellettuali del calibro di Ungaretti, Moravia, Fallaci. Il ritratto che ne deriva è quello di un’Italia spaccata. Da una parte la cultura, l’ideologia stagnante che tuttavia manca della consapevolezza del suo stesso essere, e dall’altra una sottocultura che pulsa lucida e coraggiosa, non ancora chiara e non ancora pronta a diffondersi nello stesso modo su l’intera Penisola. Sono gli anni della legge Merlin, non lontani dai referendum dell’aborto e sul divorzio, sono anche gli anni del boom economico. Ma questo progresso industriale e economico non corrispondono a una modernizzazione dell’individuo, assai più lenta e difficile da affermare. Pertanto il film-inchiesta di Pasolini si concludeva, anzi non si concludeva, rimaneva aperta. Forse aspettava di essere proseguita dalla storia dell’uomo, dalla sua crescita e dalla sua consapevolezza che Pasolini credeva sarebbero state raggiunte col tempo dagli italiani.
(Anna Piscopo)