Il sacco di Roma del 846 d.c. e San Pietro annessa alla città eterna
Quella che un tempo fu la gloriosa città di Roma fu più volte saccheggiata, a partire dalla prima incursione dei Goti di Alarico nell’urbe nel 410 d.c., da svariate popolazioni di etnia sassone e musulmana. Ognuno di questi eventi provocò dei mutamenti altamente significativi a livello sociale , culturale e topografico dei quali siamo ancora oggi inconsapevoli spettatori.
Sin dall’VIII sec d.c. i saraceni (musulmani) avevano imperversato tra l’Africa settentrionale, Spagna orientale ed il medio oriente, espandendosi dalla penisola arabica in maniera non unitaria, forti dell’affermazione del loro credo avvenuta nel secolo precedente grazie al profeta Maometto. Nel IX sec., più precisamente nel 831 d.c., con la conquista di Palermo ha inizio il loro addentrarsi nello stivale italico.
Il 10 Agosto dell’846 d.c. il governatore della Toscana Adalberto avvertì Roma dell’arrivo di 63 vascelli saraceni verso la foce del Tevere e chiese affinché i sepolcri dei padri della chiesa, Pietro e Paolo, e tutte le ricchezze delle due omonime basiliche, le quali si trovavano fuori le mura della città, fossero portati al loro interno. I romani non diedero molto seguito a queste avvertenze. Confidarono infatti nella pseudo-fortezza di Gregoriopolis, costruita da papa Gregorio IV dopo l’831 su due o tre isolati presso la strada principale delle rovine di Ostia antica barricando porte e finestre con argilla battuta, e sulle forze di contadini e agricoltori a difesa della costa, i quali a loro volta non diedero gran peso alla faccenda.
Il 23 agosto dello stesso anno i saraceni avevano occupato Gregoriopolis senza problemi facendone il loro quartier generale e si dirigevano verso il porto. Qui incontrarono una flebile ed inutile resistenza da parte dei coloni stranieri che abitavano il borgo formatosi tra Castel Santangelo e San Pietro, i quali, in vece dei romani, si presero l’onore di difendere l’ultima roccaforte costiera, non riuscendo però ad evitarne la conquista.
Il 26 di Agosto, non riuscendo ad insediare le mura di Roma, i saraceni saccheggiarono, ancora senza alcun tipo di problema, le basiliche di San Pietro e San Paolo fuori le mura, suscitando enorme scalpore e colpendo dritto in petto l’intero orbe cristiano. Secondo le stime dell’illustre archeologo di fine 800” Rodolfo Lanciani, che si prese la briga di calcolare il peso dell’oro e dell’argento impiegati nelle decorazioni delle due basiliche dal tempo di Costantino ( IV sec. d.c.) fino all’846 , i saraceni ricavarono un
bottino di all’incirca tre tonnellate d’oro e trenta d’argento, mentre rimane dubbio il destino che patirono i sarcofaghi dei due santi. Dopo di che, forse in seguito ad una sconfitta nei pressi di San Paolo o perché si ritennero soddisfatti del bottino iniziarono la ritirata, che li condusse verso una devastante tempesta, in acque siciliane, in cui perirono la quasi totalità degli uomini ed il tesoro fu completamente smarrito.
Il brutale saccheggio delle due basiliche, mai verificatosi prima di quel momento vista la profonda cristianità delle popolazioni di etnia gota, che durante i saccheggi del V-VI sec. d.c. mai avrebbero osato un atto di tale empietà, e la bruciante lezione che se ne era ricavata spinsero il neo-eletto papa Leone IV ad intraprendere importanti opere difensive. Nell’849 d.c. infatti una nuova flotta saracena si affacciò nei pressi di Ostia. Questa volta però la voce di un possibile attaccò raggiunse anche Napoli, che coadiuvata dalla Lega Campana prestò aiuto alle difese organizzate dal pontefice, che si trovava alla testa delle milizie. Iniziò quindi la celeberrima Battaglia di Ostia, rappresentata da Raffaello nelle stanze vaticane, durante la quale fu più che altro il maltempo a decidere le sorti dello scontro in favore dello schieramento cristiano spazzando via l’intera flotta saracena.
Le conseguenze dal punto di vista topografico furono importantissime. Come già detto, Leone IV intraprese alcune opere difensive, la più notevole delle quali è la costruzione della prima cinta muraria intorno alla basilica di San Pietro, che da questo momento sancisce praticamente la sua annessione alla città. Per approntare la costruzione delle mura non bastava né il tesoro pontificio, né quello della città e si ricorse quindi, oltre che ai lauti finanziamenti dell’imperatore Lotario I, a prestazioni di lavoro obbligatorie che gli abitanti delle campagne circostanti furono costretti ad accettare. La cinta originale era a ferro di cavallo e si appoggiava al mausoleo di Adriano ( Castel Sant’Angelo) risalendo il colle vaticano, per riscendere verso il Tevere da colle Gianicolo.
I bastioni leonini volevano imitare le Mura Aureliane, che circondavano e circondano tuttora l’urbe, con due gallerie di camminamento sovrapposte, quarantaquattro torri rettangolari e torri circolari agli angoli deboli della struttura. La parte esterna della barriera difensiva era composta di blocchi di tufo, spesso ricavati da strutture di epoca arcaica ( come era d’uso al tempo), mentre l’interno era in opera cementizia. Di questa costruzione oggi rimane più che altro il tratto che va da San Pietro a Castel Sant’Angelo, reso celeberrimo dalla funzione che ebbe da quando papa Niccolò III, che per primo trasferì la residenza pontificia dal Palazzo Lateranense, pensò di costruire un passaggio che portasse alla fortezza direttamente dai Palazzi Vaticani. Papa Alessandro VI Borgia, dopo aver fatto murare la galleria inferiore di camminamento sul lato esterno, lo istituì come collegamento d’emergenza dalla basilica alla fortezza, conosciuto oggi col nome di “Passetto di Borgo”.
La piccola cittadina che si venne formando all’interno delle mura, la “ Civitas Leonina” o “ Città di Borgo”, non fu mai avvertita veramente come parte della città finché papa Sisto V nel 1586 non la incorporò a tutti gli effetti nell’Urbe.
Circa trent’anni dopo, nell’ 880 d.c. , papa Giovanni VIII intraprese lo stesso tipo di lavoro per la basilica di San Paolo, che però, a differenza di San Pietro, non venne integrata nella città. Si venne cosi a creare una sorta di piccola città fortificata, che prese il nome dal papa : “ Johannipolis”. Trovandosi sotto l’attuale livello di calpestio, queste fortificazioni non risultano oggi visibili.
Anche la basilica di San Lorenzo fuori le mura subì delle fortificazioni, che non pervenuteci tramite le fonti ci sono testimoniate da un disegno del XVI sec. del celebre Maarten Van Heemskerck.
Infine come ultima conseguenza dalla dolce rilevanza socio-culturale, è molto interessante notare come, durante le incursioni del 846 d.c. , un gruppo di saraceni, fortuitamente ritrovatisi isolati dal resto della loro compagine militare, abbia deciso, dopo aver trovato rifugio in una grotta a 750 m sopra il livello del mare nei pressi di Roma, di abbandonare la mezzaluna per adottare la croce e li stabilirsi per fondare una comunità. Questo paese esiste tutt’oggi con il nome di Saracinesco e si trova poco a nord-est di Tivoli. Al momento è il comune meno popolato della provincia di Roma e conta la bellezza di 164 abitanti, i quali mantengono ancora gelosamente i loro nomi di origine musulmana ormai sempre più italianizzati. Nei pressi del paesino si trova una grotta di nome Elmansur, il cui appellativo di origine musulmana testimonia la forte impronta etnica che ha caratterizzato la zona.
L’episodio di questo gruppo di saraceni, che rinunciarono addirittura alla loro fede musulmana per abbracciare quella cattolica, ci fa comprendere quanto ora come allora all’uomo sia confortevole quel sentirsi cullato in una fortuita ed insperata occasione di prosperità e felicità lontano da guerre ideologiche, di conquista e fratricide anche lontano migliaia di kilometri da casa. E se è vero che l’occasione fa l’uomo ladro, gli abitanti di Saracinesco ne sono la prova vivente.
(di Andrea Checchi)