Parigi, l’Isis attacca il cuore dell’Europa. Le parole dei francesi
Parigi. Quaranta minuti al telefono con Véronique, una donna francese che abita con la sua famiglia a Nanterre, periferia ovest della capitale che da venerdì 13 è tornata a essere teatro di nuovi attacchi da parte dell’Isis. 129 morti, 352 feriti di cui 99 sono gravi: è il resoconto dell’indicibile tragedia che ha colpito la Francia.
Con un nodo in gola Véronique, sposata con un italiano e madre di quattro figli, ci ha raccontato gli attimi in cui ha realizzato quello che stava accadendo appena fuori le mura della sua casa.
Le sue parole, come quelle di molti francesi, tremano di rabbia e paura. La stessa paura che la Francia ha provato dopo l’attentato al settimanale satirico Charlie Hebdo, lo scorso 7 gennaio.
“Ero a letto, quando alla fine della partita amichevole tra Francia e Germania, mio marito mi ha detto che stavano sparando allo stadio. All’inizio si pensava ai soliti petardi, ma a un certo punto il Presidente Hollande è stato allontanato dagli spalti e portato via. A quel punto ho pensato al peggio, e ancora assonnata ho acceso la tv. C’era confusione tra la moltitudine di gente che affollava lo stadio, ma quello non era l’unico luogo colpito dalle fucilate. Subito si è parlato di terroristi islamici e all’una di notte è arrivata la conferma proprio dall’Isis. Ho rabbrividito e ho pensato: cosa vogliono ancora da noi?” Queste le considerazioni a caldo che hanno travolto milioni di francesi in un vortice di sensazioni contrastanti. Prime fra tutte “la rabbia e l’orgoglio”, parafrasando il titolo di un celebre articolo di Oriana Fallaci apparso nel 2001 sul «Corriere della sera» all’indomani dell’attacco alle Torri Gemelle, poi diventato un libro.
Ma a Parigi si respira anche molta delusione nei confronti dei servizi segreti e delle istituzioni, nonché nei confronti del Presidente della Repubblica François Hollande. Le incertezze sul suo mandato si erano insediate già con l’attentato di gennaio, ma ora parte dei francesi sentenzia: “Alle prossime elezioni voteremo Marine Le Pen”.
“Siamo in guerra. Stiamo vivendo uno stato d’allarme mai vissuto prima”, continua Véronique. “Oggi ho provato a uscire di casa ma le strade erano deserte, i cinema chiusi come anche i musei e il Presidente Hollande ha dichiarato finalmente chiuse le frontiere. Inoltre Nanterre è un quartiere multietnico, come tanti qui a Parigi, e molti dei miei amici sono arabi musulmani. Sono integrati alla cultura e allo stile di vita francese. I miei figli già dalla scuola materna frequentano bambini figli di musulmani e ho sempre insegnato loro il rispetto. Se qualche francese oppone qualcosa viene tacciato di essere razzista. Oggi ho incontrato solo pochi musulmani in giro, e quando gli sguardi si incrociano, abbassano il capo. Una cosa è certa: non ci lasceremo sopraffare da questa situazione”.
Il giorno dopo gli attacchi terroristici, una Parigi vulnerabile; si leva un velo di silenzio su quella che è definita città simbolo della convivenza dei valori europei, capitale della bellezza e dell’arte tout court. Luogo intriso di memoria. I suoi vicoli cantano la storia e lo stile classico e maestoso delle sue opere si fonde con l’architettura moderna, più essenziale ma altrettanto imponente. La Francia, terra di rivendicazioni umane, delle intuizioni degli illuministi ma anche delle nefandezze messe in atto dai colonizzatori, è oggi una delle metropoli più sincretiste d’Europa. Qui dove “le bambine con il velo giocano, mangiano e frequentano le stesse scuole dei francesi. Qui, dove se fai la distinzione tra un francese e un musulmano offendi quest’ultimo”, afferma Véronique. Un odio covato nel tempo. Attacchi meditati e folli, tra i più feroci della storia del terrorismo degli ultimi anni. L’Isis rivendica la sua esistenza e mira a sovvertire l’equilibrio degli stati occidentali. A differenza di Al-Qaida, questo gruppo di terroristi che ha messo le sue radici in Iraq e in Siria, possiede armi, soldi e capacità di reclutamento di giovani leve e mira a un controllo del Medioriente usando come legittimazione la “vera religione”, quella musulmana, appunto. Giovani senza scrupoli, poco più che adolescenti, che in nome di “Allah” aprono il fuoco su masse di genti, vengono addestrati per un unico scopo: morire per la sopravvivenza e la diffusione dello stato islamico.
Sono le 21.20 di venerdì quando i primi colpi esplodono allo Stade de France, a Saint Denise a nord di Parigi. In pochi minuti gli attentati si diffondono a macchia d’olio nel centro della capitale. All’inizio si pensava che fossero stati colpiti dei luoghi a caso e che dietro le armi dei kamikaze ci fosse solo follia, ma nulla sembra essere lasciato al caso. La capitale è colpita a più riprese: i commandi dei kamikaze sparano in alcuni locali e ristoranti dell’ XI e XII arrondissement, poco distante dalla redazione di Charlie, nel cuore di Parigi. Ma il massacro più abominevole è stato compiuto nella sala da concerti Bataclan, di proprietà ebraica, che venerdì registrava il tutto esaurito per un concerto rock di un gruppo americano. È qui che è stata uccisa Valeria Solesin, una giovane italiana a Parigi per svolgere un dottorato di ricerca.
Con l’attentato alla sede del giornale Charlie Hebdo di gennaio, si colpiva la libertà di espressione e di stampa. Questa volta a essere colpiti sono i luoghi in cui la gente si diverte, ascolta musica, assapora del buon cibo in compagnia di amici. I luoghi del “sorriso”. Alcune delle abitudini occidentali tanto mal sopportate dagli estremisti islamici. Per questo ribattezzata dai jihadisti “la capitale dell’abominio e della perversione”.
Per finire, quando chiediamo a Véronique a chi va il suo primo pensiero e quali sono le sue preoccupazioni per il futuro, risponde: “Il primo pensiero va alle vittime di queste assurdità, alle loro famiglie, a chi ha perso tutto. Ma la mia preoccupazione riguarda le ripercussioni sulla Francia e sulla vita cittadini nelle prossime settimane. Sarà difficile tornare alla normalità questa volta. Tuttavia, credo che alla base ci sia un problema educativo e politico. Non ce la prendiamo con tutti i musulmani che vivono come noi in Francia; non è un problema di religione”.
E all’una dell’interminabile notte di venerdì, quando il bilancio delle vittime conta ormai più di cento persone, arriva un altro video di minaccia: “Non vivrete in pace finché continueranno i bombardamenti […] Dopo Parigi, ora tocca a Roma, Londra e Washington”. Tuonano le parole dei jihadisti che, esprimendosi in un francese perfetto, raggiungono le tv del mondo intero. Sono chiari i loro intenti: combattere contro gli “infedeli”. Dunque, non direttamente gli occidentali nel mirino, ma coloro i quali non si convertono e non combattono con e per la Umma. Si potrebbe parlare di una guerra “intra-islamica”. Tuttavia, questo “Allah” invocato dai giovanissimi kamikaze prima di farsi saltare in aria, non riusciamo ancora a capire chi sia.
(Anna Piscopo)