Monti ha deciso: “Sulla Tav si va avanti”. E ricomincia la protesta

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di Pierfrancesco Demilito

Vent’anni di discussioni, tavoli di studio, accuse, perizie, occupazioni, cortei e assemblee, questo è stata in Italia la linea ad alta velocità che collegherà Torino con Lione. Pochi lavori, quasi nessuno, e tante polemiche. Nello scorso giugno, quando i cantieri stavano per partire davvero, insieme alle ruspe sono tornati, in tanti, anche i manifestanti e la grande opera è tornata a infiammare gli animi, e non solo quelli. Nei giorni scorsi, poi, le proteste si sono inasprite dopo che uno dei manifestanti, Luca Abbà, è caduto da un traliccio sul quale era salito per opporsi ad un esproprio.

Contestazioni che, però, non hanno fatto cambiare idea al Governo. Al termine di un vertice, il Presidente del consiglio ha confermato, in una nota, l’intenzione “di proseguire nella realizzazione dell’opera infrastrutturale, parte del corridoio mediterraneo e, in quanto tale, inserita nella rete strategica dell’Unione Europea”, ritenendo che porterà vantaggi “dal punto di vista infrastrutturale, ambientale e occupazionale”.

Si va avanti, dunque, costi quel che costi, economicamente e in termini di consenso. Monti, d’altronde, è forte anche del sostegno dei principali partiti presenti in parlamento. Ma il professore sa bene che nel fronte dei contrari non ci sono solo i militanti dei centri sociali, ma anche tanti amministratori locali della valle. E forse proprio per rasserenare gli animi di questi ultimi, ha deciso di accelerare lo stanziamento dei fondi di compensazione. Venti milioni di euro che saranno sbloccati nella prossima riunione del CIPE e che per ora fanno gongolare il presidente Cota. Il leghista, infatti, dal sito della Regione accoglie “positivamente la conferma della richiesta di stanziamento immediato di 20 milioni di euro di fondi per le compensazioni”, considerando la decisione “il modo migliore per far capire che l’opera deve essere un’opportunità per la stessa Valsusa”.

Ma contrari alla linea ad velocità sono anche numerosi esperti. Il 9 febbraio scorso ben 360 specialisti del settore e docenti universitari hanno scritto una lettera aperta al presidente Monti per cercare di convincerlo a cambiare idea. Nella missiva, che tra i primi firmatari vede Sergio Ulgiati e Luca Mercalli, gli esperti sostengono che “nel decennio tra il 2000 e il 2009, prima della crisi economica, il traffico complessivo di merci dei tunnel autostradali del Fréjus e del Monte Bianco è crollato del 31%”, smentendo le aspettative di crescita prospettate dodici anni fa.

E poi, oltre agli amministratori e agli esperti, ci sono gli attivisti del movimento No Tav, formato da non valusisini ma soprattutto da moltissimi abitanti della valle. Insieme si sono resi protagonisti di iniziative in Valsusa e nel resto dello stivale, tante volte hanno dato vita a manifestazioni determinate a sfidare divieti e si sono resi protagonisti di azioni plateali e provocatorie, ma il tutto, in fondo, rientrava nel gioco delle parti.

Il livello dello scontro si è alzato sensibilmente nello scorso giugno, fino ad arrivare alle aggressioni alle troupe e ai cronisti di questi giorni. La simbolica occupazione della sede romana di Repubblica, condotta sabato scorso da alcuni attivisti, è stata pacifica e si è conclusa con la consegna di un appello. Ma le aggressioni ai giornalisti avvenute in Val di Susa e nella Capitale restano inaccettabili e incompressibili. Ancor di più se si pensa che gli operatori dell’informazione risultano essere spesso una cassa di risonanza importante per i movimenti di protesta, al punto che gli stessi attivisti, quando i media non assolvono a questo compito, non mancano di richiederne l’intervento, e quanto avvenuto nella sede di Repubblica ne è un esempio. Chissà se gli aggressori di Stefano Rogliatti, operatore del Tg3 rimasto ferito ad un polso mentre cercava di difendere la telecamera da alcuni manifestanti che volevano sottrargliela, sapevano che quell’operatore lì è lo stesso che nello scorso luglio aveva ripreso alcuni poliziotti sparare lacrimogeni ad altezza uomo, contribuendo all’apertura del dibattito sui metodi utilizzati dalle forze dell’ordine. A Rogliatti, il giorno seguente, sono arrivate le scuse del movimento, ma purtroppo pochi giorni dopo le stesse scene si sono riviste a Roma.

Foto: http: bandini’s on fire on Flickr

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