Chernobyl trent’anni dopo: una tragedia senza fine

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A trent’anni dal più grave incidente nucleare della storia dell’umanità, il mondo ricorda la tragedia di Chernobyl mentre continua a interrogarsi sull’uso della tecnologia atomica

Era il 26 aprile del 1986 quando il mondo scoprì i rischi legati all’utilizzo dell’energia atomica. Chernobyl, una tranquilla cittadina dell’Ucraina del nord ai confini con la Bielorussia, divenne quel giorno la città simbolo di una catastrofe che cambiò il pianeta e la percezione di larga parte dell’umanità nei confronti della tecnologia nucleare. Dopo 41 anni dalle stragi di Hiroshima e Nagasaki, la paura nei confronti dell’atomo tornò prepotentemente a monopolizzare i mezzi di informazione, che annunciarono al mondo la catastrofe che stava colpendo Chernobyl, ma che rischiava di coinvolgere l’intero pianeta.

La centrale dopo il disastro
La centrale dopo il disastro

All’1.23 del mattino del 26 aprile di trent’anni fa, la centrale nucleare V. I. Lenin di Pripjat’, a pochi chilometri da Chernobyl, fu scossa da una terribile esplosione, causata dal surriscaldamento dell’impianto di raffreddamento del reattore numero quattro. Le immediate conseguenze dello scoppio furono lo scoperchiamento della copertura del reattore e il divampare di un grosso incendio che aggravò i danni causati dall’esplosione. Inizialmente furono in molti quelli che non compresero, o forse sarebbe meglio dire che non volevano riconoscere, la reale gravità dell’incidente.

A causa dell’esplosione, morirono immediatamente una trentina di addetti della centrale. Per oltre trentasei ore le autorità continuarono a minimizzare l’accaduto, da un lato per non ammettere le gravi lacune progettuali e di costruzione compiute al momento in cui la centrale era stata realizzata, dall’altro per non far trapelare i numerosi errori commessi dai dipendenti dell’impianto. Nei giorni successivi, furono sacrificate migliaia di vite, tra pompieri, liquidatori, minatori e militari, tutti impiegati per arginare il disastro e per salvare il salvabile. Solo grazie all’eroico operato di un gruppo di minatori fu evitata un’esplosione termonucleare che, in pochi secondi, avrebbe distrutto ogni forma di vita nel raggio di decine di chilometri. Nonostante i tentativi di mettere a tacere la cosa, ben presto l’intera Europa si rese conto che quello che di Chernobyl era il più grave disastro atomico della storia. Dalla centrale ucraina, si era sollevata una nube di polveri radioattive composta perlopiù da uranio, plutonio e cesio. Le polveri, trasportate dai venti, raggiunsero rapidamente i Paesi vicini e quasi tutti gli stati europei. Fu grazie alle rilevazioni di un laboratorio svedese, che la le autorità ucraine e sovietiche furono costrette ad ammettere la reale gravità dell’incidente.

Dopo giorni di silenzi e inerzia, migliaia di persone che vivevano nelle cittadine attorno alla centrale furono fatte sgomberare con la promessa di poter tornare presto alle loro case. Tuttavia molte di loro non vi fecero mai più ritorno. Nei mesi e negli anni a seguire, nonostante i tentativi di mettere in sicurezza l’impianto, il disastro di Chernobyl ha continuato a mietere migliaia di vittime fra i soccorritori e fra gli abitanti delle aree vicine e a causare immensi danni alle persone e all’ambiente. Numerosi sono stati i casi di bambini nati con serie malformazioni o affetti da gravi malattie a causa delle radiazioni, che hanno avuto enormi ripercussioni anche sulla flora e la fauna di tutta la zona. Si stima che le città e le aree nelle immediate vicinanze della centrale non potranno essere abitate per i prossimi 24.000 anni.

Un disastro, una catastrofe, una tragedia, sono queste le parole più adatte a descrivere ciò che è accaduto trent’anni fa a Chernobyl. Dopo tre decenni di accuse e rimpalli che mai hanno realmente chiarito tutte le responsabilità, ciò che resta sono un rudere fatiscente che per molti anni ancora sarà portatore di morte, quella fascia di “sicurezza” che circonda la centrale e il dramma di quella povera gente che è stata colpita da quell’immane catastrofe. Come dimostrato da un secondo incidente avvenuto nel 1991, per fortuna senza conseguenze, l’impianto permane in uno stato di pericolo che continuerà per molti anni ancora. Attualmente si sta lavorando a un nuovo sarcofago che dovrebbe sostituire quello costruito nel 1986, ormai danneggiato dalle radiazioni.

Quello avvenuto a Chernobyl è stato per anni il più grave episodio della storia umana dall’inizio dell’era atomica. Solo nel 2011, il disastro di Fukushima in Giappone è riuscito nella ben poco invidiabile impresa di eguagliare l’incidente del 1986. Ciononostante, esiste una larga parte di esperti che continua a considerare la tecnologia nucleare la migliore soluzione per sostituire il petrolio e i suoi derivati nella produzione di energia. In realtà le enormi spese di realizzazione degli impianti atomici, gli eccessivi costi di smaltimento delle scorie radioattive e il ciclo relativamente breve di vita di questa tipologia di centrali, dovrebbero sconsigliarne la costruzione e spingere i lori sostenitori a più miti consigli. E se le motivazioni addotte non dovessero essere sufficienti, basterebbe vedere la terribile aurea di morte che avvolge l’area di Chernobyl, pensare a quei campi contaminati e radioattivi che circondano l’impianto, osservare i disastri genetici causati da quella catastrofe e guardare negli occhi quei bambini, nati e cresciuti in quella zona di confine fra Ucraina e Bielorussia, che ancora non sanno se dovranno pagare sulla loro pelle gli errori commessi trent’anni fa.

(di Christopher Rovetti)

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