Teatri di cintura: riapre il Quarticciolo a Roma
Dopo un lungo periodo di chiusura, i Teatri in Comune riprendono progressivamente la programmazione e tornano ad animare la vita culturale della periferia romana
Era la fine degli anni ’50 quando Pier Paolo Pasolini esprimeva il proprio punto di vista sulle neonate periferie romane. Campi di concentramento, in cui la popolazione povera era destinata a vivere secondo il piano urbanistico progettato dal governo democristiano del secondo dopoguerra. Con questa definizione, il poeta triestino identificava quelle zone lontane dalla ricchezza della “Roma bene”, il cui scopo era semplicemente “contenere” il sottoproletariato urbano in complessi di palazzoni tutti uguali. Non era previsto, in questo processo, un disegno in grado di assicurare la crescita sociale, morale e culturale di una fetta di popolazione sempre più emergente nel panorama demografico italiano. Un disegno che prevedesse luoghi di aggregazione, musei, cinema e teatri.
Sono questi i luoghi che hanno contribuito a formare, fin dall’antichità, lo spirito critico e lo sviluppo culturale delle popolazioni delineando uno stato di benessere sociale e culturale anche, anzi soprattutto, nelle zone più difficili, ostili per storia e conformazione demografica ed architettonica. Questi spazi assolvono pienamente la loro funzione educativa proprio nelle aree più problematiche.
Per queste ragioni, la graduale riapertura dei teatri della periferia romana, aldilà delle questioni burocratiche, è una vittoria per la Capitale e l’intero Paese. Dopo un periodo di chiusura apparentemente incomprensibile, la rete dei “Teatri di cintura”, o “Teatri in Comune” secondo la definizione più recente, sta progressivamente riprendendo la sua attività. Di questo network, nato nel 2012 con l’obiettivo di condividere esperienze legate soprattutto alla drammaturgia contemporanea, fanno parte il teatro di Tor Bella Monaca, il teatro del Lido di Ostia, il teatro Villa Pamphilj e il teatro Biblioteca Quarticciolo. La notizia dell’ultima riapertura riguarda proprio quest’ultimo spazio rimasto chiuso, come gli altri, per oltre un anno.
«Finalmente ci siamo», così Veronica Cruciani, direttrice artistica del Quarticciolo ha commentato la riapertura del teatro che (guarda caso) ha ripreso la programmazione proprio con un omaggio a Pasolini e a Elsa Morante, andato in scena lo scorso 18 agosto per opera di Ascanio Celestini e la stessa Cruciani. Uno spettacolo che annuncia un periodo di pre- apertura, in attesa dell’inaugurazione ufficiale del 23 settembre, affidato alle associazioni del quinto municipio, alle giovani compagnie romane e a nomi «che hanno collaborato con noi in questi anni, per ricostruire un filo interrotto e riprendere il rapporto con gli artisti e i cittadini», come afferma la direttrice artistica.
Centrale, nella nuova stagione, sarà la figura di Ascanio Celestini che sarà una sorta di trade union tra il teatro e il tessuto cittadino: «Per il Quarticciolo mi occuperò del lavoro di ricerca, la raccolta di storie sul territorio attraverso l’incontro con gli abitanti, con scrittori, musicisti, lavoratori. Il teatro popolare dev’essere un imbuto rovesciato, dove trovare il racconto della vita di persone che altrimenti non si conoscerebbero».
Dopo questa fase anticipatoria della programmazione ufficiale, si delineerà lo stile del nuovo corso del Quarticciolo. L’obiettivo, secondo Veronica Cruciani, è quello di inserire uno slancio internazionale in una realtà di quartiere, arricchendo il palcoscenico di nuovi linguaggi artistici come il cinema, l’arte visiva, la letteratura, la danza e la musica. Il tutto nello scenario della contemporaneità che resta, senza alcun dubbio, la materia prima di questo polo artistico- culturale.
La riapertura di un teatro, qualsiasi esso sia, è sempre un’ottima notizia. Ma, nel caso dei teatri di periferia, la ripresa delle attività racchiude significati più profondi: non si tratta della semplice riapertura del sipario o della vendita di nuovi biglietti e neppure della promozione di nuove forme artistiche. La riapertura di un teatro di periferia è il simbolo di un meccanismo difficile che trova la forza di ripartire per trasformare quei “campi di concentramento” in uno spazio di crescita, sviluppo e benessere. E’ una linfa di cambiamento, in luoghi troppo spesso abbandonati e dimenticati.
(di Giulia Cara)
Fonte immagine: socialroma.it