Not my president: proteste contro Trump
Continuano le manifestazioni dei cittadini statunitensi contro i valori rappresentati dal neoletto presidente
Non si placano le proteste per l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti d’America. Da martedì 8 novembre, la notte elettorale, manifestazioni spontanee stanno avendo luogo in tutto il Paese.
New York, Los Angeles, San Francisco, Chicago, Rhode Island, Oregon: in maniera diffusa folle eterogenee si raccolgono e protestano da ormai 4 giorni. I cartelli più ripetuti sono quelli con su scritto: “Trump non è il mio presidente”.
“Not my president”: perché?
È sotto accusa, infatti, anche il sistema elettorale degli stati uniti, che prevede un collegio di grandi elettori per ciascuno stato. Quindi anche se la Clinton aveva raccolto meno voti nel collegio elettorale, in realtà la scelta popolare era stata lei.
È anche la paura a spingere la gente in strada: latinos, appartenenti alla co unità LGBQT, musulmani e donne sono solo alcuni dei gruppi colpiti dalle parole del neo eletto presidente deli stati Uniti. A rafforzare la convinzione dei partecipanti, anche l’impennata di episodi razzisti e misogini a partire dal giorno dopo le elezioni. Episodi davanti ai quali l’America liberal, l’America che vuole comprendere e accettare il diverso, non starà e non sta ferma a guardare. I manifestanti sono contro i valori che Trump rappresenta e incorpora.
Le manifestazioni sono ovunque pacifiche, tranne che a Portland in Oregon. Qui alcuni dei manifestanti si sono dati ad atti vandalici, causando prontamente una risposta dalla polizia, che ha iniziato a usare i fumogeni. Un uomo è anche stato ferito la notte di venerdì 11, in quello che sembra essere stato uno scontro tra gang e manifestanti. Neanche questo ultimo evento è riuscito a dissuadere la folla.
Piccoli tafferugli anche a Indianapolis, dove dopo ore di manifestazione pacifica, alcuni soggetti hanno iniziato a tirare delle pietre agli agenti, ferendone lievemente due. La polizia ha arrestato sette manifestanti.
Le reazioni di Trump alle proteste non sono state positive in un primo momento. Aveva subito scagliato un’accusa contro i media, dichiarando: “Abbiamo appena avuto un’elezione presidenziale molto trasparente e di successo. Ora manifestanti di professione, incitati da mesi, stanno protestando. Questo è ingiusto”. Una reazione non molto presidenziale, alla quale ha cerato di riparare in seguito con un tweet: “Amo il fatto che piccoli gruppi di manifestanti abbia mostrato passione per il nostro grande Paese. Ci uniremo tutti e ne saremo orgogliosi”.
I protestanti non si fermano e iniziato ad organizzare manifestazioni anche sul lungo periodo. È già work in progress una manifestazione per il giorno dopo il giuramento di Trump, il 22 gennaio. Si tratta di una marcia femminista, la “Women’s March on Washington”. Una delle organizzatrici, Fontaine Pearson ha dichiarato: “è più grande di Donald Trump. Noi non mettiamo in discussione che sia stato eletto legalmente, ma lui rappresenta quello con cui le donne devono convivere loro malgrado ogni giorno.”.
Le proteste ancora non si fermano e anzi si organizzano per andare avanti ancora a lungo, anche se cominciano a esserci barlumi di apertura per il neoeletto Trump, a cui qualcuno vuole dare una possibilità.
(di Francesca Parlati)