Trump vicino all’insediamento. Ultime mosse di Obama a colpi di politica estera
Prima di lasciare la presidenza, Obama decide di sanzionare la Russia per l’ingerenza nella campagna presidenziale Usa. Trump reagisce via Twitter e riscalda i motori su altri temi “caldi”
Prima di Capodanno, Barack Obama ha deciso di imporre sanzioni contro la Russia di Vladimir Putin e decretato l‘espulsione di diplomatici russi per il cyberattacco contro il Democratic National Committee e la campagna di Hillary Clinton che avrebbe portato – secondo il presidente statunitense e l’intelligence Usa – al furto, alla diffusione di email e dati presi dal server del DNC e quindi a influenzare il voto americano e screditare la candidata Dem, decretando di fatto la vittoria di Donald Trump.
Si tratta dell’ultima decisione presa dal presidente Obama prima di lasciare lo Studio Ovale al suo successore. Tuttavia per molti, quella di Obama è stata una “vendetta” per mettere in difficoltà il presidente eletto Trump e porlo dinanzi a un caso politico estremamente delicato ancor prima di assumere la guida degli Stati Uniti. Infatti, le sanzioni e le espulsioni potrebbero rendere più difficili e rischiose le prime scelte di governo di Donald Trump che si troverà di fronte all’alternativa di cancellare le sanzioni, rischiando di apparire troppo amico di Putin, o confermarle e mettere così a rischio i futuri rapporti con Mosca (“Soltanto gli stupidi o gli sciocchi possono pensare che avere buone relazioni con la Russia è una brutta cosa” ha cinguettato l’ex tycoon).
Trump tuttavia non appare turbato da queste mosse che lui stesso ritiene orientate ad accerchiarlo e indebolirlo, ma giudica queste azioni pericolose e irresponsabili verso l’uomo forte di Mosca. E consapevole di ciò, prosegue la sua strada pro-Russia nominando Rex Tillerson Segretario di stato. Una scelta non banale visto che Tillerson, Ceo di ExxonMobil, è stato insignito dell’Ordine dell’amicizia da Vladimir Putin e che nel 2011 ExxonMobil annunciò un accordo con Rosneft – la compagnia petrolifera di Stato russa – per attività congiunte di esplorazione e produzione nell’Artico.
La Russia rischia dunque di essere per Trump una grana difficile da affrontare e risolvere. Obama ne è consapevole e cerca di far esplodere dissidi e contraddizioni.
L’accusa alla base della decisione di sanzioni ed espulsioni, tesi confermata dai rapporti di Cia e Fbi, indicherebbe Mosca come mente degli attacchi informatici che avrebbero violato i server dei democratici al fine di nuocere alla campagna presidenziale di Hillary Clinton e favorire quella di Trump.
Se all’annuncio delle sanzioni alla Russia, democratici (Ben Cardin) e repubblicani (John McCain, Lindsay Graham e lo speaker della Camera, Paul Ryan) si sono uniti alla decisione dell’amministrazione Obama spiegando, in una dichiarazione congiunta, che “le sanzioni sono per la Russia un piccolo prezzo da pagare per i suoi sfrontati attacchi alla democrazia americana”, Vladimir Putin ha deciso di non reagire, dicendosi in attesa di vedere l’orientamento della politica dell’amministrazione Trump. Il presidente eletto, dal canto suo aveva twittato una lode nei confronti del leader russo: “Grande mossa il rinvio di Putin. Ho sempre saputo che era molto intelligente!“.
Si potrebbe riscontrare nelle ultime decisioni di Obama, la volontà di difendere la sua eredità e i risultati raggiunti durante il suo doppio mandato e mettere i bastoni tra le ruote di Trump con l’obiettivo, forse mal celato, di indebolire e delegittimare un presidente eletto considerato inadatto, sia istituzionalmente sia eticamente.
Oltre alle sanzioni, altre decisioni prese nelle ultime settimane dal presidente uscente potrebbero far pensare a questa intenzione.
Lo smantellamento dei “National Security Entry-Exit Registration Systems”, il programma creato dopo l’11 settembre per seguire le tracce di chi entra negli Stati Uniti dai Paesi musulmani – e che Trump avrebbe potuto utilizzare per il suo registro di visitatori musulmani.
Gli ordini esecutivi che bloccano trivellazioni al largo dell’Alaska e lungo la East Coast; la cancellazione di una serie di contratti per lo sfruttamento di gas e petrolio in Colorado; la scelta di istituire due nuovi parchi “monumento nazionale” nello Utah e in Nevada, così da non poter essere sfruttati dall’industria energetica per l’estrazione di risorse minerarie e idrocarburi.
Dal canto suo Trump potrebbe, come più volte annunciato in campagna elettorale, “rivedere” alcuni rapporti bilaterali e multiltaerali tenuti dall’amministrazione Obama negli ultimi 8 anni di presidenza.
Dopo la risoluzione delle Nazioni Unite del 23 dicembre scorso contro gli insediamenti israeliani nei territori occupati, documento sul quale l’amministrazione Obama ha deciso di astenersi provocando l’ira di Tel Aviv, Trump ha espresso la propria vicinanza al premier Netanyahu e al suo popolo, incoraggiandolo a resistere e ad aspettare il 20 gennaio (data dell’insediamento alla Casa Bianca).
Su Guantanamo, Trump si è detto contrario al piano di Obama di liberazioni e di trasferimenti all’estero dei detenuti reclusi con l’accusa di terrorismo a Guantanamo: “Sono persone estremamente pericolose e non si deve consentire che tornino sul campo di battaglia“, ha scritto su Twitter.
E ancora via Twitter le provocazioni e l’affondo contro la Corea del Nord e le ambizioni nucleari di Kim Jong Un “La Corea del Nord ha appena affermato che la messa a punto di un’arma nucleare capace di raggiungere alcune aree degli Stati Uniti è nella sua fase finale. Questa cosa non accadrà!” e la politica commerciale della Cina “La Cina continua ad arraffare massicce quantità di soldi e benessere dagli Stati Uniti, nell’ambito di relazioni commerciali totalmente unilaterali, e non ci aiuta (nella gestione dei rapporti) con la Corea del Nord. Bene!”.
Sul piano del commercio internazionale Trump, anche prima di candidarsi alla presidenza, aveva dichiarato che gli Stati Uniti hanno negoziato degli accordi commerciali non favorevoli che vincolano troppo la loro economia. Per questo è sua intenzione rinegoziare i termini di questi accordi. Si tratta del NAFTA, l’accordo di libero scambio nordamericano tra Usa, Canada e Messico (1994) e dell’accordo trans-pacifico (TPP) tra Stati Uniti e i Paesi dell’Asia-Pacifico e quello transatlantico (TTIP) con i paesi dell’Unione Europea (questi ultimi due, negoziati dall’amministrazione Obama).
Sul piano più propriamente multilaterale, scrive Lucia Tajoli su Ispi, Trump potrebbe aprire presso il WTO (Organizzazione mondiale del Commercio) “una serie di controversie in settori in cui ritiene che gli USA non siano stati trattati correttamente dai propri partner. Oppure, il governo potrebbe invocare le clausole di emergenza del WTO per aumentare le tariffe su un’ampia base di merci importate da un determinato paese, come nel caso della tariffa del 45 percento sulle importazioni cinesi che Trump ha minacciato di introdurre durante la campagna elettorale, oppure una tariffa destinata a salire fino a quando il deficit commerciale USA non declina. Questi provvedimenti potrebbero essere dirompenti, perché potrebbero creare forti effetti a catena. In sede WTO ci sarebbero sicuramente battaglie legali da parte delle industrie del paese preso di mira, così come rappresaglie rapide e potenzialmente dure da parte dei partner commerciali. La Cina (o il Messico, o il Giappone) non subirebbero passivamente questo tipo di misure. Questo però potrebbe dar luogo a guerre commerciali che potrebbero essere economicamente travolgenti.”
D’altronde, l’ondata attuale di anti-globalizzazione e l’idea che i mali che affliggono le economie avanzate siano attribuibili al processo di integrazione con le economie emergenti è uno dei temi che ha favorito Trump durante la campagna elettorale.
A breve ci saranno tre appuntamenti importanti che coinvolgeranno Obama e Trump. In ordine: martedì 10 gennaio, il discorso di addio di Obama a Chicago (laddove tutto era partito per il senatore dell’Illinois); mercoledì 11 gennaio sarà il turno di Trump che ha annunciato una conferenza stampa (general news conference) a New York city.
Infine, l’insediamento di quest’ultimo come 45esimo Presidente degli Stati Uniti d’America, a Washington, il prossimo 20 gennaio.