Italicum: no della Consulta al doppio turno
La Corte Costituzionale boccia alcune parti dell’Italicum, ma dice sì al premio di maggioranza e alle candidature plurime. Dopo la decisione della Consulta molte forze politiche scalpitano per tornare alle urne
La Consulta ha detto no. L’Italicum, la riforma elettorale varata dal Governo Renzi, non s’ha da fare. Probabilmente sono stati in molti quelli che hanno tirato un sospiro di sollievo per il pronunciamento della Corte Costituzionale, forse anche l’ex Presidente del Consiglio che tanto aveva reduto in questa riforma. Eh già, perché dopo la stroncatura del referendum costituzionale il 4 dicembre scorso, veder approvata una legge elettorale direttamente collegata a quella riforma poteva risultare un po’ paradossale nonché un grosso problema. Tutto è bene quello che finisce bene? Bocciatura della Consulta e amici come prima? Non proprio. In realtà la Corte ha dichiarato incostituzionali solo alcune parti della legge, mentre ha ritenuto ammissibili altre modifiche apportate dalla riforma.
Ma andiamo con ordine. Cosa ha deciso esattamente la Consulta?
Con la decisione del 25 gennaio scorso, la Corte ha stabilito l’inammissibilità del doppio turno, eliminando dunque il ballottaggio fra i due partiti che avessero ottenuto il maggior numero di voti al primo turno, e l’impossibilità da parte di candidati eletti i più collegi di scegliere in modo autonomo il proprio collegio di elezione. Per contro i giudici costituzionali hanno ammesso la possibilità di introdurre una soglia di sbarramento al 3% per le formazioni partitiche, che sale al 20% per le minoranze linguistiche.
Altro punto su cui la Consulta si è espressa in modo favorevole è il premio di maggioranza per il primo partito, nel caso in cui questo riesca a conseguire almeno il 40% dei voti. Ciò permetterà al partito di maggioranza di ottenere alla Camera 340 seggi su 617. Via libera anche alle candidature plurime, fermo restando quello che abbiamo detto prima in materia di scelta da parte degli eletti.
Altri punti che rimangono invariati rispetto al testo originario sono i capilista bloccati e l’introduzione del sistema delle preferenze a partire dal secondo eletto all’interno di una lista elettorale. Sempre in merito alle liste elettorali, i partiti dovranno garantire la perfetta parità di genere, in modo da favorire un maggiore ingresso di quote rose all’interno del Parlamento italiano. Da ultimo, grazie alla nuova legge elettorale verrà aumentato il numero delle circoscrizioni, che passeranno da ventisette a cento.
Dunque, la bocciatura della Consulta è di fatto poco più che una revisione del testo varato dal Governo, una revisione di non poco conto, ma che certo non può definirsi una stroncatura completa. Quel che resta dopo il pronunciamento della Corte è comunque un vero e proprio caos.
Alcuni istituti di ricerca hanno evidenziato che se si votasse oggi, probabilmente, non ci sarebbero le condizioni per assegnare il premio di maggioranza alla Camera, mentre al Senato, dove vige il Consultellum (ovvero il Porcellum geneticamente modificato dall’intervento della Consulta) si riproporrebbe il solito vecchio problema dell’ingovernabilità. Quello che molti analisti auspicano è dunque l’introduzione di un correttivo maggioritario che scongiuri, almeno in parte, l’ipotesi di uno stallo istituzionale.
E i partiti? Dopo il pronunciamento della Consulta si è aperto il tormentone elezioni. I primi a dichiararsi pronti al voto già in primavera sono stati i Cinque Stelle seguiti a ruota da Salvini e Fratelli d’Italia. Fra i sostenitori di un rapido ritorno alle urne ci sono anche l’ex premier Matteo Renzi e il PD tutto, che auspicano immediate consultazioni in modo da eleggere un nuovo Parlamento legittimato a pieno da un voto popolare.
Peraltro, tutta questa voglia di elezioni anticipate è stata ancor più rafforzata da una nota della Corte, nella quale si legge che la riforma elettorale così modificata sarebbe applicabile fin da subito. Unico partito un po’ scettico sull’ipotesi di un ricorso tanto celere a nuove consultazioni è Forza Italia, che ritiene necessario armonizzare i sistemi di elezione delle due camere prima di sciogliere il Parlamento.
Chi la spunterà non è facile dirlo. Certo è che, dopo il pronunciamento della Corte, il consenso venutosi a creare intorno all’ipotesi di elezioni anticipate sembra far presagire che il Governo Gentiloni non avrà una vita molto lunga. Detto ciò bisognerà capire se i partiti decideranno di mettere la parola fine a questa legislatura sprezzanti del pericolo di stallo istituzionale, che già pende sul futuro Parlamento, o se, al contrario, si accorderanno su una modifica del testo dell’Italicum, in modo da dare alle prossime camere una qualche possibilità di sopravvivenza.
(di Christopher Rovetti)