Puglia. A San Severo la mafia “esce allo scoperto”. Intervista a Maurizio Fiasco
Intere generazioni di cittadini messe a tacere dal pizzo, dal ricatto, piegate all’insano brivido dell’estorsione. Esponenti di certe istituzioni complici dell’omertà. Tutto questo non solo deve far riflettere: deve fare incazzare
Puglia, San Severo. Nella notte tra sabato 4 e domenica 5 marzo un’utilitaria con a bordo una persona percorre piazza della Costituzione, costeggia la stazione ferroviaria; poi, con il motore acceso si ferma: un uomo scende dall’auto ed esplode alcuni colpi di pistola contro un veicolo del Reparto prevenzione crimine di Lecce e uno del Reparto mobile della polizia, e riprende la corsa.
Non stiamo descrivendo la scena di un film, né siamo davanti a un racconto di mala degli anni ’80. Quella scellerata e senza scrupoli che ammazza di notte come di giorno, che colpisce senza soluzione di continuità chi osa opporsi alle sue folli “leggi”.
Siamo in provincia di Foggia, nel cuore della Capitanata, sul Gargano – il “promontorio della paura” – e quella descritta è la scena ripresa da una telecamera a circuito chiuso dell’albergo dove alloggiavano i poliziotti del reparto giunti a Bari qualche giorno prima per un controllo particolare del territorio in seguito all’allarme sulle rapine e gli agguati della criminalità organizzata.
Un segnale forte che ha tutti i tratti di una minaccia da parte della criminalità che, infastidita dall’incremento dei controlli in città anche in seguito allo sgombero del Gran Ghetto, ha voluto rimarcare con forza che “questo pezzo di territorio è nostro e non si tocca!”.
Sull’accaduto sono in corso le indagini della polizia, coordinate dal questore Piernicola Silvis, il quale non esclude che vi sia un nesso tra l’episodio degli spari e lo sgombero del Gran Ghetto, entrambi a San Severo. In ogni caso l’ipotesi è che si sia trattato di una reazione della mala locale al rafforzamento dei controlli. Infatti, i mezzi colpiti dal malvivente nella notta tra il 4 e il 5 erano del personale della polizia che ha operato proprio per i servizi di ordine pubblico durante lo sgombero del ghetto e che ha partecipato ai servizi di controllo delle residenze in cui sono stati trasferiti i migranti.
Quello che è successo a San Severo ha dei precedenti. In un terra dove la mafia è nata “dall’impunità” delle istituzioni che per anni hanno voluto tenere gli occhi bendati preferendo minimizzare gli omicidi efferatissimi dei clan, o meglio delle “batterie” che per più di un ventennio hanno versato fiumi di sangue per contendersi un fazzoletto di terra. Ma oggi la città è stremata, non ce la fa più ad assistere inerme alla prepotenza di chi vuole dettare legge. Per questo il sindaco di San Severo, Francesco Miglio, al fine di richiamare l’attenzione del governo sulla criminalità aveva deciso di iniziare uno sciopero della fame. Gesto estremo e paradossale in un Paese che si dice “democratico”.
“San Severo ha paura, si sente gravemente minacciata e colpita, San Severo ed i suoi cittadini percepiscono che è in atto una vera e propria guerra nei confronti della città, dei suoi abitanti, per la stragrande maggioranza laboriosi ed ossequiosi delle regole del vivere civile, ma soprattutto, dopo questo vile gesto, è in atto una azione pericolosa e strategica contro lo Stato Italiano. Ancora una volta e con forza chiediamo aiuto, chiediamo di non essere lasciati soli, chiediamo che con ogni urgenza vengano avviate azioni incisive ed immediate”, è l’appello del primo cittadino. Immediata la risposta del Viminale che ha inviato 90 unità delle forze di polizia e 5 equipaggi dei reparti prevenzione crimine della polizia di stato e delle compagnie di intervento operativo dell’Arma di Carabinieri. Un’azione congiunta tra Questura, Prefettura e Ministero dell’Interno: “Non daremo tregua fino a quando non saranno individuati e assicurati alla giustizia gli autori degli spari indirizzati agli automezzi delle Forze dell’ordine inviati sul posto su disposizione del ministro dell’Interno” conclude il Viminale.
Foggia: l’origine della mafia pugliese
Della “Società foggiana” ci siamo già occupati e, in quel caso l’articolo si concludeva la descrizione di una terra, la Capitanata, dove “il senso della religiosità e della tradizione convivevano con l’omertà e l’abitudine a chinare la testa”. Fermo restando che la storia e i fatti non si cambiano, quello che fa riflettere è il comportamento delle persone. Pensare a intere generazioni di cittadini messe a tacere dal pizzo, dal ricatto, piegate all’insano brivido dell’estorsione. Pensare a esponenti di certe istituzioni complici dell’omertà – il male più grande di una società – e della “strategia dell’inabissamento” della quale la mafia si è servita per anni per operare indisturbata. Tutto questo non solo deve far riflettere: deve fare incazzare.
Ma non incazzarsi facendo uno sciopero della fame per due o tre giorni, attirare i media, “accontentare” una parte della popolazione e poi tornare alla normalità (dove per normalità si intende lasciare che la legge del più forte prevali); incazzarsi perché si è stanchi di essere tacciati come quelli che chinano la testa, come quelli che per un misero posto di lavoro scambiano ancora favori con il politico di turno.
Intervista a Maurizio Fiasco
Abbiamo parlato di criminalità organizzata in Puglia con chi conosce bene il territorio, in particolare, la Capitanata: Maurizio Fiasco. Sociologo specializzato in ricerca e formazione in tema di sicurezza pubblica (quadri, funzionari e dirigenti della Polizia di Stato e delle polizie locali) e di security aziendale, di amministrazione locale e di fenomeni socio-economici, Fiasco è stato con continuità tra il 1990 e il 2001 consulente della Commissione parlamentare antimafia.
Durante il periodo di consulenza della Commissione Antimafia, Fiasco ha effettuato una ricerca per la Camera di Commercio dalla quale è stato tratto il libro Puglia: il crimine. Scenari e strategie. Il libro edito da Sapere 2000 fu immediatamente sequestrato, in seguito a una denuncia da parte del “re del grano” Pasquale Casillo, ex presidente dell’associazione degli industriali di Foggia e presidente del Foggia calcio. Quello stesso Casillo verso il quale nell’aprile del 1994 è scattata un’ordinanza di custodia cautelare con l’accusa per concorso esterno in associazione mafiosa. Accusa dalla quale è stato prosciolto nel 2007.
Dott. Fiasco, quali sono le matrici della criminalità pugliese?
Una delle matrici della criminalità della Puglia è la cesura tra popolazione e territorio in seguito allo sviluppo urbanistico avvenuto intorno agli anni 70. Questo provoca una crisi del modello sociale della popolazione di tipo comunitario, una crisi dei ruoli che caratterizzavano le comunità. Paradossalmente, la modernizzazione in Puglia produce un crollo dell’identità sociale e una matrice d’identità che non c’era prima; pensiamo ai quartieri Japigia, San Paolo, Libertà, San Girolamo nei quali ancora oggi i tassi di devianza e criminalità sono molto alti.
Perché in Puglia la modernizzazione ha avuto un impatto diverso?
In Puglia la modernizzazione si è combinata con l’esistenza di una base produttiva autonoma. Era emancipata dall’assistenzialismo. La Puglia, dunque, è stata contaminata dalla camorra da una parte, dall’altra dalla ‘ndrangheta, soprattutto nel Salento.Tuttavia la parte strutturale della questione criminale pugliese era legata a una forte anticipazione dei settori imprenditoriali. Il grande monopolista del grano, Casillo, e l’investimento che giunge in Puglia confluendo dal nord nel settore della sanità, ne sono alla base. A cascata ne deriva un’occupazione del sistema creditizio che perde autonomia. Poi interviene una vicenda al di là dell’Adriatico: il contrabbando. Dal Montenegro arrivano gli stock di tabacchi, i quali non sono minacciati da alcuna azione legale. I contrabbandieri pugliesi provvedono al recupero della merce attraverso un sistema di occultamento. Ma questo sistema diventa il volano per un altro traffico illecito, quello delle armi.
Perché in Puglia è mancata una struttura verticistica delle organizzazioni criminali?
La ragione della mancanza di una struttura verticistica è riconducibile al fatto che l’approccio delinquenziale è puramente strumentale e c’è un profilo antropologico cui possiamo far riferimento. Questo ha dato anche origine a una forte frammentarietà che persiste ancora oggi: in molti tratti quella pugliese è una malavita feroce, arcaica, pensiamo alla faida di Monte Sant’Angelo; mentre con la crisi della siderurgia a Taranto si ha in gangsterismo, che viene irreggimentato dall’incontro con la camorra. In generale un quadro ancora difficile da definire.
(di Anna Piscopo)