Scuola. Rapporto Eurydice: lo studio delle lingue straniere in Europa

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Tra gli aspetti affrontanti nell’ultima indagine Eurydice le lingue straniere più studiate dagli alunni europei, l’integrazione degli studenti immigrati neo arrivati e la metodologia didattica CLIL

La varietà linguistica dell’Europa è una risorsa e al tempo stesso una sfida che vede in prima linea le istituzioni scolastiche con docenti e discenti. È proprio di insegnamento e studio delle lingue nelle scuole europee che si occupa ampiamente il rapporto Eurydice Key Data on Teaching Languages at School in Europe (consultabile qui), giunto quest’anno alla sua quarta edizione.
L’indagine combina dati statistici e informazioni qualitative sui vari sistemi scolastici e copre tutti i Paesi dell’Unione Europea oltre a Bosnia – Erzegovina, Svizzera, Islanda, Liechtenstein, Montenegro, ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, Norvegia, Serbia e Turchia. Si articola in cinque capitoli (“contesto”, “organizzazione”, “partecipazione”, “insegnanti” e “processi educativi”) che contengono sessanta indicatori spesso interconnessi.
Quali sono le lingue più studiate nelle scuole europee? Quanto è diffuso l’insegnamento con metodologia CLIL (Content and Language Integrated Learning)? Sono queste alcune delle domande a cui il rapporto Eurydice risponde. Dei molti aspetti messi in luce nel recente studio, cercheremo di selezionarne alcuni.

Innanzitutto guardiamo ai dati con segno positivo. Nel 2014 quasi l’84% degli alunni delle scuole primarie di tutta l’UE studiava almeno una lingua straniera, vale a dire il 16,5% in più rispetto al 2005, il che non dovrebbe sorprendere molto, considerate le riforme messe in atto da alcuni Paesi per introdurre la prima lingua straniera come materia obbligatoria nell’istruzione primaria. In Italia ad esempio l’inglese viene studiato obbligatoriamente già a sei anni, tra i 6 e gli 8 nella maggior parte del resto d’Europa.
C’è da dire comunque che il numero di ore dedicate alle lingue straniere nella scuola elementare rimane quasi ovunque piuttosto modesto, aggirandosi intorno al 5 – 10% dell’ammontare orario complessivo, con eccezioni dove è di poco superiore come in Spagna (10,8%), Croazia (11,1%) o Malta (14,9%), mentre il Lussemburgo si distingue con un notevole stacco (44%).

Altro dato in rialzo è la percentuale dei discenti di una seconda lingua straniera nella scuola secondaria inferiore. Sempre nel 2014 nell’UE erano circa il 60%, mentre nel 2005 si arrivava solo al 46,7%. Un trend incoraggiante, che però non esime dal considerare le differenze tra i vari Paesi, dove in alcuni casi imparare due lingue straniere non è un obbligo ma soltanto un’opportunità, sebbene garantita a tutti.

Per tornare alla domanda iniziale, qual è la lingua straniera più studiata nelle scuole europee? L’inglese. Nel 2014 hanno studiato l’idioma anglosassone il 79,4% degli alunni delle primarie, il 97,3% di quelli delle secondarie inferiori e l’85,2% dei ragazzi delle secondarie superiori. L’inglese al primo posto è un risultato abbastanza prevedibile. Francese e tedesco, rispettivamente seconda e terza lingua straniera più studiata, sono seguite dallo spagnolo, che a differenza delle precedenti non viene indicato come materia obbligatoria. È proprio qui, però, che troviamo l’inaspettato. In confronto a dieci anni fa lo studio dello spagnolo è divenuto più popolare nella scuola secondaria inferiore, tanto da essere in aumento. Sorte diversa per il francese, che nell’ultimo decennio è rimasto per lo più invariato o in leggera diminuzione, e per il tedesco, che dal 2005 al 2014 ha registrato nelle superiori un calo dell’11%.

Il rapporto Eurydice parla poi del supporto dato agli studenti immigrati neo arrivati. Molti Paesi, tra cui l’Italia, scelgono di integrare gli alunni immigrati direttamente nelle classi corrispondenti alla loro età, offrendo poi corsi supplementari di lingua di istruzione.

Quanto ai docenti, li attendono grandi sfide. Una di queste è l’approccio metodologico CLIL (Content and Language Integrated Learning), ovvero l’insegnamento di una disciplina non linguistica in lingua straniera, il che richiede specifiche competenze tra cui la padronanza dell’idioma veicolare al livello B2 o C1 del Quadro Comune Europeo di Riferimento per le lingue (QCER). Ebbene nonostante ci siano quasi dappertutto scuole che offrono questa tipologia di didattica integrata, si riscontrano ancora disomogeneità da un Paese all’altro. Ad esempio in Austria il CLIL è previsto nei primi anni delle primarie mentre in Italia alla fine delle superiori.

In definitiva, sono molte le sfide che si prospettano, altrettante le opportunità di un futuro scolastico europeo sempre più multilingue e multiculturale.

(di Laura Guadalupi)

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