Amarcord: Marco Ferrante, il simbolo più grande del Torino più piccolo
C’è poco da fare: tutto ciò che riguarda il Torino, senza che le altre tifoserie si offendano, risulta un po’ più speciale del normale. Inutile ricordare la storia granata, i trionfi e le tragedie, le cadute e le risalite, perchè, a conti fatti, la leggenda torinista la conoscono tutti. La fine degli anni novanta\inizio duemila è stato forse il periodo peggiore dell’intera vita del Torino, fra retrocessioni e rischio fallimento, ed un idolo incontrastato che ha mantenuto altissima la fede granata: Marco Ferrante.
Marco Ferrante è un centravanti, nato a Velletri (Roma) il 4 febbraio 1971, cresciuto nelle giovanili del Napoli, squadra con cui esordisce in serie A il 25 giugno 1989 nella gara contro il Como. Ferrante finirà poi in prestito in serie B, prima alla Reggiana e poi al Pisa, prima di ritornare a Napoli per 4 fugaci apparizioni nell’autunno del 1992 ed essere ceduto al Parma, quindi al Piacenza e poi alla Salernitana: 13 gol in tre stagioni, non un bottino da bomber per quell’attaccante dalla buona tecnica, dalla grinta invidiabile ma con poca confidenza col gol; gli esperti dicono che Ferrante sia l’ideale spalla per un centravanti “vero”, per un goleador da 20-25 reti stagionali. Dall’estate del 1996, però, in molti cambieranno idea, perchè le strada di Marco Ferrante incrocierà quella del Torino, un’unione dalla quale nascerà un amore indissolubile.
Il campionato 1995-96 è stato disastroso per il Torino, retrocesso in serie B, contestato dai tifosi e guidato da una società in evidente confusione. La proprietà granata promette l’immediato ritorno in serie A, organizza una campagna acquisti senza badare a spese, chiama in panchina Mauro Sandreani che ha appena chiuso a Padova un ciclo che ha portato i veneti prima al ritorno in serie A dopo tempo immemore e poi alla salvezza dei biancoscudati. In attacco arrivano il camerunense Ipoua (di proprietà dell’Inter) e proprio Ferrante, giunto dal Parma a titolo definitivo; i tifosi non sono entusiasti di quel centravanti che fa tanto lavoro ma segna pochino e anche perchè l’inizio di campionato per il Torino è tutt’altro che incoraggiante con troppi pareggi e sole 3 vittorie nelle prime 8 giornate. La tifoseriea granata contesta Sandreani e la società, rea di aver comprato giocatori inutili e poco funzionali alla serie B, compreso Ferrante che dopo 14 giornate non ha ancora segnato neanche uno straccio di gol; il pubblico rumoreggia, l’attaccante romano è in difficoltà, lui e il collega di reparto Ipoua (già relegato in panchina da Sandreani) sono il bersaglio preferito della curva torinista, fino al 22 dicembre 1996: allo stadio Delle Alpi arriva la matricola Castel di Sangro, la squadra del paesino abruzzese di 5000 abitanti che sta facendo parlare l’Italia intera. La gara è difficile, quelli del Castello si difendono bene, al Torino invece il pallone scotta sotto i piedi; al 23′, finalmente, Marco Ferrante riesce a buttarla dentro, non solo, il suo sarà pure il gol partita. Da lì in avanti, anche se nessuno ancora lo sa, Ferrante non si fermerà più per otto anni.
Alla ripresa del campionato, infatti, il 5 gennaio 1997, il Torino ospita la Reggina, vince 4-2 e Ferrante realizza tutte e 4 le reti dei granata. Scatta così un idillio enorme con la tifoseria torinista, anche perchè il bomber di Velletri, dopo essersi sbloccato con 5 reti in 2 partite dopo il digiuno iniziale, dimostra quella confidenza col gol che gli era sempre mancata e soprattutto un attaccamento alla maglia e ai tifosi che raramente il Torino aveva vissuto negli ultimi anni. Ferrante corre, lotta e soprattutto segna, esultando ogni volta sotto la curva come se fosse il gol della vita. E poi, una volta iniziato a buttarla dentro, il centravanti laziale non si ferma più: segna infatti per 6 partite di fila, accusando poi una flessione come tutto il Torino che chiude il campionato al nono posto e con l’umiliante 0-4 casalingo contro il Ravenna all’ultima giornata quando i tifosi granata (i pochi presenti sugli spalti) contestano e fischiano a più non posso, risparmiando forse il solo Ferrante dalla gazzarra verbale: per lui a parlare sono 13 gol ed un impegno mai mancato, oltre alla riconferma per l’anno successivo: sarà lui, infatti, il punto da cui ripartire nella stagione 1997-98 e ritentare la scalata alla serie A.
Nell’estate del 1997 a Torino sbarca come allenatore lo scozzese Graeme Souness, ex campione del Liverpool. Il Torino è tra le favorite per la promozione, è tornato in granata anche Gianluigi Lentini dopo 5 anni, il pubblico crede fortemente alla possibilità di vivere una stagione ad altissimi livelli e riconquistare quella serie A persa quasi due anni prima. Ferrante guida l’attacco granata, ma le cose partono malissimo per la squadra piemontese che nelle prime 7 giornate perde 4 volte, due consecutivamente contro Verona in trasferta e Venezia in casa, un doppio tracollo per 0-4 che determina l’esonero di Souness, sostituito in panchina dal più esperto Reja; Ferrante ha finora segnato solo una rete, nel 2-1 del Torino sul Genoa, ed è stato poco aiutato da una squadra incapace di produrre gioco. Reja aggiusta i granata e li fa diventare una formazione solida e rocciosa, i risultati iniziano a vedersi quasi subito: il Torino da ottobre a dicembre non perde mai, Ferrante riprende a segnare con regolarità e la classifica migliora. Il rapporto tra Ferrante e i granata è ormai un amore fortissimo, il centravanti è l’idolo della tifoseria assieme a Lentini che pure è prodotto del vivaio torinista, oltre che beniamino della tifoseria già negli anni precedenti al suo miliardario passaggio al Milan. Il Torino lotta per la promozione, Ferrante è il riferimento dell’attacco e tutto sembra procedere per il meglio fino a quella dannata settimana che va dal 31 maggio al 7 giugno 1998: i granata pareggiano prima in casa col demotivato Chievo (1-1), quindi perdono a Perugia 2-1 uno scontro diretto che permette agli umbri di agganciare la squadra di Reja al quarto posto, prenotando lo spareggio che, puntuale, arriva.
Perugia e Torino si giocano la serie A a Reggio Emilia il 21 giugno 1998. Fa caldo, si gioca alle 17 perchè ci sono i mondiali e la serie B non può occupare le ore serali; la gara è tiratissima e si sblocca solo al 76′ quando Tovalieri porta in vantaggio il Perugia: il Torino è gelato, bloccato, imbambolato di fronte a quello 0-1 inaspettato. L’unico a reagire è Ferrante che con caparbietà, grinta e volontà si inventa immediatamente il pareggio: 1-1 al 79′, il Torino è ancora vivo grazie al suo bomber, arrivato al gol numero 19 in campionato. La sfida si decide ai calci di rigore, Ferrante segna di potenza il suo, l’inglese Dorigo sbaglia per i granata, mentre il Perugia è infallibile, vince 5-4, vola in serie A e lascia ancora un Torino disperato in B. La delusione è enorme, soprattutto perchè sui giornali iniziano a scriversi articoli che vorrebbero Ferrante verso la serie A dopo oltre 30 gol in due anni in B; una delle poche decisioni azzeccate dalla dirigenza torinista in questo periodo, però, è quella di puntare ancora sul proprio bomber per il terzo assalto alla serie A, oltre alla volontà dello stesso calciatore di rimanere ancora in granata. Ferrante ed il Torino sono pronti a prendersi la promozione nella stagione 1998-99 che sarà trionfale per entrambi; fin da subito, infatti, si capisce che il nuovo Torino guidato da Emiliano Mondonico fa sul serio: al di là delle sconfitte di Cremona e Terni ad inizio campionato, i granata occupano stabilmente le prime posizioni della classifica, Ferrante dopo 10 giornate ha già segnato 8 gol. Le tre vittorie consecutive contro Cosenza, Lecce e Chievo all’inizio del girone di ritorno, danno fiducia al Torino che il 1 maggio 1999 conquista virtualmente la promozione dopo il rocambolesco 3-2 al Napoli, deciso da un guizzo di Ferrante al 93′. E’ lui l’eroe del ritorno in serie A, certificato matematicamente il 6 giugno dopo il 4-1 ottenuto in casa della Fidelis Andria sul neutro di Benevento; va in rete anche Ferrante che si laurea capocannoniere del campionato con 27 reti, record per il campionato cadetto, battuto poi dai 30 centri di Luca Toni col Palermo nel 2004.
Il Torino 1999-2000 si mantiene con la stessa ossatura dell’anno precedente: in panchina c’è Mondonico, a guidare la squadra in campo Lentini e Ferrante. Ma il campionato di serie A è duro, la formazione granata segna e vince poco nonostante un buon avvio: Ferrante ha fatto gol nel 2-1 al Venezia alla seconda giornata, mentre alla quarta i granata ospitano l’Inter al Delle Alpi: l’occasione è ghiotta per agganciare le prime posizioni dopo anni di stenti e dopo tanta serie B, e la possibilità di passare in vantaggio contro lo squadrone di Lippi arriva pure quando l’arbitro concede al Torino un calcio di rigore; sul dischetto va Marco Ferrante che calcia forte ed angolato, ma trova sulla sua strada uno straordinario Angelo Peruzzi che para da fenomeno e lascia il risultato sullo 0-0. La partita la decide un ex, Christian Vieri, l’Inter vince e per il Torino iniziano i guai, anche se Ferrante (che la domenica successiva a Cagliari mostra personalità calciando un nuovo rigore, stavolta trasformato per l’1-1 finale) segna con regolarità ed è il punto di riferimento della squadra. Fra novembre e dicembre il Torino perde 6 partite consecutive e si presenta alla trasferta di Piacenza con l’incubo della retrocessione: gli emiliani sono ultimi, insomma entrambe le squadre si presentano disperate all’appuntamento dello stadio della Galleana. La responsabilità in casa torinista se la piglia Ferrante che sblocca al minuto 83 una gara tesissima, poi chiusa dal raddoppio di Pecchia; i granata sono ancora vivi, anche e soprattutto grazie al proprio centravanti che si sta confermando goleador anche in serie A. Ferrante si ripete anche in Torino-Bologna della settimana successiva, finita 2-1 e decisa dalla doppietta della punta romana, nonchè a Venezia la giornata dopo, il 30 gennaio 2000 in una gara epica per i granata: il Venezia è avanti 2-0 grazie alle reti di Ganz e Berg e al 90′ la partita sembra finita. Il Torino, però, tira fuori cuore, orgoglio e disperazione, trovando al 92′ il 2-1 con Grandoni e al 94′ il 2-2 con Ferrante per un pareggio clamoroso che certifica due dati: il primo è che i granata sono ancora in lotta per la salvezza, il secondo è che la permanenza in massima serie passerà inevitabilmente per i piedi e per i gol di un Ferrante ormai simbolo assoluto del popolo torinista. L’attaccante segna sempre, è lui a permettere al Torino di pareggiare a Bari e di battere la Fiorentina, è lui a segnare la doppietta nel derby contro la Juve, perso sì dai granata per 3-2, ma combattuto fino alla fine da un Torino grintoso e da un Ferrante che quel giorno inaugura un’esultanza che lo renderà celebre: le corna da toro mimate con le dita sulla fronte, ennesima dimostrazione di appartenenza alla causa torinista.
Ma il Torino è disperato in classifica, Ferrante è infatti l’unica nota lieta di una stagione tutto sommato mediocre e di una squadra piatta a cui non basta neanche la grinta e l’esperienza di Emiliano Mondonico. Il 2-1 alla Reggina con punizione decisiva nel finale di Ferrante, riaccende qualche timida speranza di salvezza, puntualmente spazzata via dalla sconfitta di Lecce della penultima giornata in cui non basta il rigore del centravanti di Velletri per salvare un Torino che torna in serie B dopo una sola stagione e si prepara all’ennesima rivoluzione, all’ennesimo tentativo di risalita. Ferrante giura amore ai granata e resta ancora in Piemonte: vuole tornare in A col Torino, pazienza se i suoi 18 gol non sono bastati a togliere la squadra dai bassifondi della classifica, lui è ormai il simbolo torinista della nuova era, un’era difficile e tutta in salita per la gloriosa società della città della Mole Antonelliana. La stagione 2000-2001 vede arrivare in panchina al Torino Luigi Simoni, il cui rapporto con Ferrante scricchiola dopo un avvio di stagione fallimentare e la mancata convivenza del centravanti romano con Stefan Schwoch, pezzo pregiato della campagna acquisti granata; il Torino si ritrova in zona retrocessione, Simoni viene esonerato e sostituito da Giancarlo Camolese, mentre Ferrante a gennaio sceglie di non rifiutare la proposta dell’Inter, lasciando Torino seppur solo in prestito. A Milano le cose non andranno bene, l’Inter incappa in una stagione disastrosa, Ferrante si ritaglia pochissimo spazio e segna solo una rete, decisiva ed in pieno recupero, nel 2-1 a San Siro con l’Udinese. Il Torino nel frattempo vince il campionato di serie B e torna in A: Ferrante, nonostante il suo passaggio all’Inter, resta capocannoniere della squadra con 8 reti alla pari di Schwoch, e torna in granata per giocare da protagonista la stagione 2001-2002.
Giancarlo Camolese è tecnico semplice ma preparato, incarna alla perfezione lo spirito da cuore granata, il Torino 2001-2002 è una buona squadra anche se l’obiettivo non può che essere la semplice salvezza. Ferrante gioca in coppia con Cristiano Lucarelli e fa tanto lavoro per il centravanti livornese, tanto che dopo 5 giornate non ha ancora fatto gol. Il 14 ottobre 2001 si gioca il derby con la Juventus di Lippi, uno squadrone che ha sì venduto Zinedine Zidane al Real Madrid, ma ha acquistato Gianluigi Buffon, Lilian Thuram e Pavel Nedved, un organico sontuoso che punta a vincere scudetto e Coppa dei Campioni. Alla fine del primo tempo la situazione sembra ormai definita: la Juve vince 3-0, il Torino è completamente in balia degli avversari, pronto a tornarsene a casa con un cappotto epocale. Invece nel secondo tempo i granata appaiono trasformati, attaccano, lottano su ogni pallone, aggrediscono gli juventini che non si raccapezzano più nonostante il rassicurante 3-0; al 57′ Lucarelli sigla il 3-1, agguanta il pallone e torna grintoso verso il centro del campo, forse la partita non ha ancora detto tutto. E infatti al 70′ Asta si procura con rabbia e mestiere un calcio di rigore: Ferrante calcia con potenza e fa 3-2, esultando pure con il gesto delle corna. Passano poco più di dieci minuti e Maspero trova il guizzo giusto acciuffando un incredibile 3-3, un pareggio leggendario che viene reso mitico dal rigore sbagliato dalla Juve con Salas nel finale. Il Torino è una squadra arcigna, sembra davvero in grado di salvarsi con relativa facilità ed infatti la permanenza in serie A è raggiunta in fretta, anzi, i granata chiudono all’undicesimo posto e con la qualificazione all’Intertoto, l’anticamera della Coppa Uefa.
Il campionato 2002-2003 sembra poter ricalcare quello precedente per il Torino che invece incappa in una stagione orribile con 4 allenatori cambiati ed un rendimento disastroso: i granata perdono 6 delle prime 7 partite, in totale escono sconfitti per 10 volte nel girone d’andata, subendo le umiliazioni di un 6-0 patito a San Siro col Milan ed un 4-0 contro la Juventus. Le cose non migliorano nel girone di ritorno, anzi, nella gara col Milan al Delle Alpi i tifosi prendono d’assedio lo stadio, cercano di sfondare le barriere, il Torino che già soccombeva 3-0, perde la gara a tavolino e chiude la stagione giocando le partite casalinghe fra Parma e Reggio Emilia, finendo ultimo in campionato. Ferrante è, nonostante tutto, il capocannoniere della squadra con 6 reti, scegliendo di restare ancora in Piemonte per l’ennesima ripartenza dalla serie B in una stagione, la 2003-2004, che non sarà tanto migliore della precedente: il Torino chiuderà dodicesimo, Ferrante sarà ancora capocannoniere dei granata con 13 reti e lascerà la squadra a 33 anni dopo 235 partite e 114 gol, più di Valentino Mazzola e Ciccio Graziani, quinto nella classifica di tutti i tempi dei marcatori torinisti.
Marco Ferrante chiuderà la sua carriera nel 2007 dopo le ultime esperienze con Catania, Bologna, Ascoli (8 reti in serie A nella stagione 2005-2006), Pescara e Verona, ma legando il suo nome per sempre alla storia del Torino, stabilendo un primato difficilmente battibile: nelle sue 8 stagioni in granata è sempre stato il capocannoniere della squadra, oltre ad essere diventato simbolo, idolo e riferimento del popolo torinista, il più grande nel Torino più piccolo della storia. Forse un rammarico, forse un orgoglio, di certo il nome di Marco Ferrante e del Torino saranno legati per sempre da un filo indissolubile.
di Marco Milan