Amarcord: il Parma e una lunga raccolta di rifiuti

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Il Parma degli anni novanta è stato certamente la provinciale più lussuosa del calcio italiano: miliardi spesi dalla famiglia Tanzi, un marchio prestigioso come la Parmalat ed una serie di vittorie (soprattutto in campo europeo) che hanno scritto la storia di una società affacciatasi per la prima volta in serie A solamente nel 1990. Eppure attorno al Parma, in quegli splendidi anni novanta, non tutto ha funzionato: ci sono stati dei no, tanti no, una città ed una squadra poco gradita ai campioni affermati, una tifoseria sedotta ed abbandonata da troppi divi del pallone che hanno preferito piazze più prestigiose e platee più metropolitane.

A metà degli anni novanta, il Parma è una realtà ormai affermata nel panorama nazionale italiano ed in quello internazionale: nel 1990 Nevio Scala, allenatore dei gialloblu emiliani, porta il Parma per la prima volta in serie A e alla prima stagione in massima serie ottiene una clamorosa qualificazione alla Coppa Uefa, stupendo l’Italia intera. L’anno dopo, la compagine ducale ha già vinto la Coppa Italia, quello dopo ancora alza al cielo di Wembley la Coppa delle Coppe, quindi ecco in serie una Supercoppa Europea, la Coppa Uefa e un’altra Coppa Italia, e nel mezzo pure una seconda finale di Coppa delle Coppe, persa a Copenaghen contro l’Arsenal. La famiglia Tanzi, proprietaria della società emiliana, spende e spande, portando un club sconosciuto ai vertici del calcio internazionale, anche se a Parma manca ancora la ciliegina sulla già gustosissima torta: manca lo scudetto, un traguardo che collocherebbe i gialloblu nell’olimpo del pallone italiano, iscrivendoli di diritto al riservatissimo club delle società capaci di fregiarsi del massimo titolo nazionale. La politica del Parma è stata semplice nei primi anni: lanciare giovani rampanti e qualche straniero ignoto, con qualità tecniche e voglia di affermarsi; i nomi di Alessandro Melli, Lorenzo Minotti, Marco Osio, Faustino Asprilla e Tomas Brolin, sono la dimostrazione di un progetto ad altissima percentuale di riuscita.

Ma a metà anni novanta, la dirigenza parmense vuole andare oltre, vuole salire di livello, vuole portare in Emilia campioni già affermati, esperti, elementi con una mentalità vincente che sappiano come gestire i momenti di una stagione lunga e di un campionato difficile e tortuoso come quello italiano dove a vincere sono sempre i più scafati: Milan e Juventus dominano la serie A, grazie ad introiti enormi dovuti anche al bacino d’utenza, e grazie a società affermate da decenni e a cui quasi nessun calciatore sa dire di no. Il ragionamento del Parma è elementare: “Abbiamo già vinto qualcosa, il calcio ci conosce, disponibilità economica ne abbiamo, proviamo ad alzare il livello qualitativo della nostra rosa”. Il discorso fila, anche troppo, ma quando la strada sembra in discesa per la società gialloblu, ecco i primi ostacoli. Nel 1994, Parma e Lazio si accordano per il trasferimento dell’anno: Giuseppe Signori passerà in Emilia, lasciando Roma dopo due anni e due titoli consecutivi di capocannoniere della serie A; l’attaccante bergamasco è attratto dal progetto del Parma, accetta di buon grado cessione ed uno stipendio più alto. Ma a questo punto scendono in campo i tifosi laziali che grazie ad una manifestazione di protesta senza precedenti, invadono le strade della capitale arrivando fin sotto la sede della società e invocando la permanenza di Signori al presidente Sergio Cragnotti. Il numero uno biancoceleste riflette, ragiona e alla fine decide che mettersi contro un’intera tifoseria non sarebbe una mossa saggia: l’affare salta e Signori resta alla Lazio. Un rifiuto anomalo che il Parma incassa con eleganza, senza sapere che, seppur in modalità diverse, sarà solo il primo di una lunga serie.

L’anno successivo, infatti, la dirigenza parmense riprova il colpaccio e si accorda con Luis Figo, giovane talento portoghese dello Sporting Lisbona. Ma la mossa scatena un putiferio perchè Figo ha prima detto sì alla Juventus e firmato un pre contratto coi bianconeri, poi, udite le sirene del Parma e soprattutto il tintinnio di 2 miliardi di lire offerti dai Tanzi, sembra scegliere la destinazione emiliana, infine, incurante di parole date e accordi siglati con tanto di firma, torna sui propri passi finendo col coinvolgere Uefa e Lega Calcio italiana che ritengono irregolari entrambi i contratti e proibiscono a Figo di accordarsi con altri club italiani per almeno due anni. L’asso lusitano finisce così al Barcellona e il Parma incassa un altro no, con la convinzione però di potersi avvicinare anche a calciatori di alta caratura. Il campionato 1995-96, partito con le solite ambizioni da primato, termina invece con un deludente sesto posto, l’eliminazione in Coppa Uefa ai quarti di finale per mano del Paris Saint Germain e l’uscita immediata dalla Coppa Italia già al secondo turno ad opera di una mediocre formazione di serie B come il Palermo. Già intorno al mese di febbraio del 1996 Nevio Scala annuncia che con tutta probabilità a fine stagione lascerà il Parma e, grosso modo nello stesso periodo, Fabio Capello dice la stessa cosa a proposito del Milan; 2+2 fa più o meno sempre 4 ed in molti iniziano a tramutare i due addii in uno scambio alla pari: Scala andrà al Milan e Capello al Parma. Il colpo sarebbe doppio per gli emiliani che troverebbero immediatamente il nuovo allenatore e preleverebbero sul mercato il tecnico migliore su piazza, vincitore di 4 degli ultimi 5 scudetti, proprio ciò che servirebbe ai gialloblu. Addirittura, al termine di Milan-Parma 3-0 del 24 marzo 1996, Scala afferma: “Capello troverà un Parma motivato e in cerca di riscatto, oltre ad una società seria ed affamata di vittorie”. Sembra tutto fatto, l’allenatore friulano va persino a visitare il centro di allenamento di Collecchio fermandosi un paio di giorni a Parma, salvo poi tirarsi indietro a firma del contratto solo da ultimare e coi dettagli economici già definiti. Capello sceglierà improvvisamente il Real Madrid, giustificandosi con un laconico: “Al Real non si può dire di no”, e non tornando mai più a parlare di una decisione clamorosa che spiazza l’Italia, l’Europa e, soprattutto, Parma.

Il no di Capello non preoccupa solo dal punto di vista tecnico, ma preoccupa molto più dal lato sociale: al Real Madrid non si può dire di no e al Parma sì? Perchè? Va bene il blasone, va bene che il Santiago Bernabeu non è il Tardini, va bene una nuova esperienza all’estero, ma perchè quando si parla di Parma si identifica ancora solo la provincia, la città piccola e poco metropolitana, il calcio pane e salame? Il Parma Calcio è gestito da un colosso come la Parmalat, economicamente è solido e in grado di garantire stipendi alti e competitivi col resto d’Europa, oltre ad avere un progetto tecnico già ampiamente definito con vittorie e trofei schiaffati in una bacheca tirata su dal nulla. Eppure in tanti storcono il naso di fronte a quella provincia piccola, a quella città con poche luci la sera, poca vita notturna, pochi locali alla moda e in cui tutti sanno tutto di tutti, calciatori compresi. Nel frattempo, però, la vita va avanti e va avanti pure il calcio: il Parma, nonostante tutto, tira su campioni del calibro di Buffon, lanciato in serie A 16 anni e diventato in brevissimo tempo portiere titolare della Nazionale, di Thuram, fortissimo e statuario difensore francese, di Cannavaro, strappato ad un Napoli in crisi economica e affermatosi come uno dei migliori stopper d’Europa, per non parlare di Hernan Crespo e di Enrico Chiesa, calciatori che scelgono Parma con la convinzione di aver sposato un progetto vincente. E il Parma vince: nel 1999 conquista la Coppa Uefa e la Coppa Italia, in estate si porta a casa anche la Supercoppa Italiana, ma la gioia non è ancora totale perchè i tifosi e la dirigenza vogliono di più, vogliono lo scudetto, un traguardo che in Emilia continua a sfuggire.

Nell’estate del 2001, i ducali operano un’autentica rivoluzione: vengono ceduti Buffon e Thuram alla Juventus, un doppio colpo che il Parma vuole ammortizzare reinvestendo il ricavato con un’altra doppietta sensazionale, ovvero strappare alla Fiorentina sia il portiere Francesco Toldo che il fantasista portoghese Manuel Rui Costa, entrambi in uscita da Firenze e dal disastro finanziario di Vittorio Cecchi Gori. Rui Costa è da almeno due anni un obiettivo del Parma, ma la Fiorentina era finora sempre riuscita a convincere il suo numero 10 a restare in Toscana, respingendo al mittente le lusinghe e i miliardi dei Tanzi. Stavolta trattenere il portoghese è impossibile: il Parma scende in campo con prepotenza, è Stefano Tanzi in persona a condurre la trattativa, inserendo nel pacchetto pure Toldo, l’ideale sostituto di Buffon. La Fiorentina, dal canto suo, non può che ringraziare e benedire Tanzi e la sua valigia piena di soldi, quegli stessi soldi che stanno portando i viola al fallimento e che garantirebbero alle loro esangui casse un po’ di ossigeno; attorno al nome di Rui Costa e Toldo, è chiaro, non c’è solo il Parma, in più il dissesto economico della Fiorentina fa svolazzare parecchi avvoltoi sopra la carcassa agonizzante dei gigliati, ma Tanzi è convinto e determinato, per lui non si tratta di una partita a poker, per lui conta l’offerta, è sicuro che di fronte ai suoi rialzi nessuno sarà in grado di rilanciare, anche se, giusto un anno prima, tale discorso non aveva fatto presa sul centravanti cileno della Lazio Marcelo Salas che aveva detto no ai gialloblu perchè, a suo dire, Parma era fredda e umida, salvo poi andare alla Juventus accettando il clima torinese che pure proprio tropicale non è. Il presidente del Parma offre 80 miliardi di lire per il cartellino di Rui Costa e 40 di stipendio; il Milan, lanciatosi nell’affare, propone meno di 80 miliardi e si ferma a 32 di ingaggio al calciatore. La Fiorentina si accorda col Parma che, oltre a Rui Costa, prenderebbe anche Toldo per 50 miliardi, una manna dal cielo, anzi dall’Emilia, che a Firenze accoglierebbero più di una borraccia d’acqua nel deserto. Anche stavolta, però, sulla linea del traguardo qualcosa si inceppa: Rui Costa ha perplessità, preferirebbe il Milan al Parma ed aspetta un rilancio dei rossoneri; Adriano Galliani ottiene l’ok da Silvio Berlusconi e alza l’offerta: 85 miliardi alla Fiorentina, mentre lo stipendio del calciatore resta di 32. A Rui Costa sta bene, dice no al Parma che prova a rilanciare, arriva ad offrirgli un ingaggio di 50 miliardi, ma lui dice ancora no, vuole solo il Milan.

I Tanzi si arrendono, comprendono che i soldi per una società come il Parma non bastano, che i calciatori preferiscono guadagnare meno a Milano o a Roma, piuttosto che trasferirsi in Emilia. Il progetto parmense inizia a scricchiolare e la picconata definitiva la abbatte Francesco Toldo: incassato il rifiuto di Rui Costa, infatti, la dirigenza emiliana non molla il portierone veneto per il quale la proposta fatta alla Fiorentina (50 miliardi) rimane immutata: i viola accettano, la cessione è pressochè definita, ma anche stavolta il meccanismo si inceppa e Toldo ci ripensa; il portiere inizialmente chiede tempo per valutare altre eventuali offerte, poi punta i piedi, sa che su di lui c’è l’interesse di Barcellona ed Inter, comincia a fare muro, a parare i colpi delle dirigenze di Fiorentina e Parma come di solito fa con i tiri degli attaccanti avversari, alla fine crea una spaccatura insanabile con gli emiliani affermando che avrebbe accettato qualsiasi destinazione fuorchè il Parma. La famiglia Tanzi ripone un’altra volta le mazzette di danaro nella borsa, stavolta con meno filosofia, tanto che il cavalier Calisto afferma tra i denti: “Non ci ha fatto piacere il comportamento di Toldo e Rui Costa”. A Parma non vuole andare nessuno, perfino il comico Gene Gnocchi, tifosissimo gialloblu, ha per una volta poca voglia di fare battute: “Sono deluso – afferma – i calciatori preferiscono un sesto, settimo posto con Milan e Inter, ad un quarto col Parma. Mediaticamente il Parma conta quanto una provinciale qualunque, nemmeno le coppe europee vinte hanno aumentato stima e blasone, eppure a Parma la qualità della vita è eccellente, ma probabilmente i calciatori sono ormai dei divi e preferiscono la pressione e la mondanità di Milano o di Roma alla tranquillità della provincia emiliana”.

La storia miliardaria del Parma finisce qui: la famiglia Tanzi capisce che quello scudetto tanto sognato rimarrà una chimera e che i grandi campioni non accetteranno mai la piccola Parma anche a fronte di offerte economicamente più vantaggiose di altre. In Emilia nel 2001 sbarcano Frey e Marchionni, ottimi calciatori, ma inseriti in un contesto ridimensionato, oltre che accolti da un pubblico e da una città che aveva sperato ed accarezzato altro. Il 9 settembre 2001 alla seconda giornata di campionato va in scena Parma-Inter: il calendario si diverte a far sfidare subito i ducali e Toldo, il grande oppositore della triste estate parmense; il portiere interista è subissato di fischi, ululati ed insulti per tutta la gara; l’intero stadio Tardini gli rinfaccia il no, lui non reagisce e si limita ad incassare nel finale il 2-2 che esalta la voglia di vendetta del popolo gialloblu. Non finirà così l’agonia del Parma, però, che a novembre del 2001 esonera Renzo Ulivieri e si accorda con Carlo Ancelotti che dovrà solo presentarsi in sede per firmare il contratto e tornare a Parma dopo tre anni; ma nello stesso momento il Milan solleva dall’incarico l’allenatore turco Fatih Terim e Silvio Berlusconi ordina a Galliani una sola cosa: “Riporti a Milano Carlo Ancelotti”. L’amministratore delegato rossonero risponde timidamente: “Presidente, a quest’ora Ancelotti avrà già firmato col Parma”. Ma Berlusconi non si lascia intimidire: “Lo chiami al telefono, se non ha firmato lo convinca a tornare da noi”. Galliani esegue, contatta Ancelotti mentre sta viaggiando verso Parma, lo invoglia e alla fine lo convince: il tecnico emiliano fa inversione di marcia e torna a casa, a Reggiolo, dove dà appuntamento allo stesso Galliani. La signora Ancelotti prepara un tagliere di salumi e formaggi, una beffa nella beffa per il Parma, perchè Carlo Ancelotti firma col Milan in un’oasi di gusto tutta emiliana.

Si scuserà, Ancelotti, con i Tanzi e con il popolo del Parma, dirà che ha prevlaso il cuore rossonero e la riconoscenza verso Silvio Berlusconi che nel 1987 lo aveva ingaggiato al Milan nonostante i suoi problemi con le ginocchia ed una carriera da calciatore a rischio. Incasserà il Parma, ancora una volta, colpi su colpi, no su no, come un pugile, peggio di Woody Allen nei suoi film in cui ogni appuntamento con una donna finiva con un flop. Ci aveva creduto il Parma, convinto che bastasse avere tanti soldi per girare un film di successo con i migliori attori a disposizione; ma la vita non è un film e il calcio men che meno: Parma si è scontrata con colossi storici, stadi e maglie che trasudavano storia e leggenda in ogni angolo, si è scontrata con metropoli che grazie ad una vita più movimentata hanno scavalcato il progetto tecnico e finanziario dei ducali. Strano eppur vero, perchè sarà pure leggenda, ma si narra che il rifiuto di Fabio Capello verso il Parma sia stato dettato anche da un giro in macchina del tecnico friulano nelle vie del centro emiliano, terminato con una secca frase: “Queste strade sono troppo strette, questa città è troppo piccola, io non mi ci troverò mai”. Stretta e piccola, neanche fosse una scarpa, eppure Parma è stata trattata proprio così, come una vecchia scarpa usata che si getta via, come una raccolta di rifiuti. E si che a Parma la parola rifiuti ha assunto troppo spesso una doppia valenza.

di Marco Milan

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