Trump in Asia: quali scenari per gli equilibri globali?
Dal 5 al 12 novembre 2017 il Presidente statunitense Donald Trump ha visitato cinque paesi dell’Asia. Tre i temi del viaggio: l’impegno degli Stati Uniti verso i paesi della regione, la sicurezza in Asia orientale (soprattutto i test nucleari nordcoreani) e gli squilibri commerciali con la Cina (dopo la decisione della Casa Bianca di rivedere la Trans-Pacific Partnership)
Lo scorso 5 novembre è cominciato il lungo viaggio che ha portato il presidente Donald Trump in Asia e a visitare − tra gli altri − Giappone, Corea del Sud, Cina, Vietnam e Filippine.
Atterrato in Giappone, Trump è andato in Corea del Sud (Tokyo e Seul sono due alleati di ferro, entrambi oggetto delle minacce nucleari di Kim Jong-un) per poi proseguire verso la Cina (avversario strategico, soprattutto nel settore del commercio), il Vietnam e le Filippine, questi ultimi avamposti da sempre cruciali degli Stati Uniti nel Pacifico.
Obiettivo principale degli incontri è stato avviare le discussioni con gli attori regionali, la Russia e la Corea del Nord per un accordo dal duplice obiettivo: da un lato rassicurare Pechino sul fatto che unirsi per premere su Pyongyang non sconvolgerà gli equilibri regionali, dall’altro far comprendere a Pyongyang che non può continuare la sua politica di sviluppo parallelo economico e nucleare e che, diversamente, dovrebbe accettare misure di sostegno economico che facilitino l’integrazione del paese nell’economia globale, in cambio di concessioni sul programma nucleare così da evitare sanzioni internazionali.
Per sbloccare lo stallo in Corea del Nord, a Seul e Tokyo il presidente ha fornito rassicurazioni sulla volontà americana di difendere i due paesi da eventuali rappresaglie di Pyongyang (l’area metropolitana di Seul, capitale della Corea del Sud, sorge a 50 chilometri dal 38mo parallelo). Anche il Giappone conosce la reale pericolosità di Kim Jong-un: l’estate scorsa, l’isola di Hokkaido è stata sorvolata per ben due volte da missili nordcoreani.
A Pechino, Trump ha incontrato il presidente Xi Jinping, quest’ ultimo stretto tra un duplice dilemma: il rapporto con Washington, ostacolo all’ascesa geostrategica della Cina e il tacito sostegno a Pyongyang. Le relazioni commerciali tra le due economie più grandi del pianeta sono un tema caldo che va oltre le turbolenze sull’andamento dell’interscambio tra i due paesi. Dopo il ritiro unilaterale dal TPP, Trump è alla ricerca di alleati che contrastino l’ascesa della Cina colpevole secondo gli Stati Uniti, di protezionismo (testimoniato da circa tre decenni di avanzi commerciali contro gli elevati disavanzi americani). Tuttavia, far ricadere tale vantaggio sulla manipolazione da parte cinese del tasso di cambio per guadagnare competitività di prezzo appare oramai riduttivo dato che le esportazioni cinesi nel mondo sono aumentate anche per via del miglioramento qualitativo della produzione cinese in molti settori e della crescente dipendenza di molte imprese estere dalle fasi produttive realizzate in Cina. Oggi, a 15 anni dal suo ingresso nel World Trade Organization, la Cina chiede a Stati Uniti e all’Unione Europea lo status di economia di mercato, status che porrebbe fine al numero di azioni anti-dumping aperte a suo carico.
Saltata l’ipotesi di un incontro bilaterale, Trump ha avuto un breve faccia a faccia con Putin in Vietnam a margine del vertice Apec. Putin ha respinto nuovamente l’accusa di aver manipolato il voto di milioni di americani alle presidenziali del 2016 e il presidente Usa si è detto convinto della versione del Cremlino. Duri gli attacchi dell’intelligence americana (“Il presidente Trump appare intimidito da Putin, in pericolo la sicurezza nazionale” ha affermato l’ex capo della Cia Brennan) che hanno portato Trump a fare una marcia indietro: “Credo molto nelle nostre agenzie di intelligence”.
Il viaggio, se si esclude il vertice Asean al quale Trump ha presenziato durante la tappa a Manila (e in occasione del quale si è raccomandato con i paesi membri dell’Associazione dei Paesi del Sud-Est Asiatico: “Vogliamo che i nostri partner nella regione siano forti, indipendenti, prosperi e in controllo dei loro destini, e satelliti di nessuno”), ha confermato la preferenza del presidente Usa per i vertici bilaterali rispetto al multilateralismo nonché l’interesse principale della nuova amministrazione statunitense: la regione “Indo-Pacifico”. Mentre l’Europa ripiega sui propri problemi interni (economici, politici e sociali), la “nuova” attenzione rivolta dagli Stati Uniti al Pacifico rappresenta un chiaro segnale di come agli occhi di Washington, il rapporto con l’Europa non sia più prioritario.
(di Alessandra Esposito)