Amarcord: la storia del Magico Gonzalez, l’irriverente fuoriclasse del calcio di El Salvador
Chi sa che Jorge Alberto Gonazelz Barillas è stato paragonato a Diego Armando Maradona, diventandone poi anche grande amico? E chi sa che Jorge Alberto Gonzalez Barillas è ad oggi il simbolo sportivo dell’El Salvador, idolatrato come una divinità? Ma soprattutto, chi conosce la storia di Jorge Alberto Gonzalez Barillas, detto El Magico?
Nato a San Salvador, la capitale di El Salvador, il 13 marzo 1958, Gonzalez dimostra sin da subito due caratteristiche ben precise: uno smisurato talento calcistico ed un carattere riottoso e ribelle. E sin da subito l’intera nazione si accorge che in quel ragazzino c’è veramente qualcosa di speciale e che ora anche El Salvador può coltivare un campioncino in erba; durante una partita fra la squadra locale dell’Antel ed il Deportivo de Aguila nel 1976, Gonzalez fa ammattire gli avversari, corre, dribbla, inventa giocate impossibili, a tal punto da eccitare il commentatore televisivo dell’epoca che inizia ad urlare “El Mago, el mago“, appellativo che assieme a quello di Magico gli rimarrà in eterno. Gonzalez è troppo bravo per rimanere a giocare in El Salvador e viene scelto dal Cadice, formazione di medio basso livello della Liga Spagnola che lo elegge immediatamente a idolo per le doti tecniche ed inizia anche a scoprirne quelle turbolente fuori dal campo: l’attaccante sudamericano incappa spesso e volentieri in squalifiche, oltre a beccarsi salatissime multe. Il gentil sesso, poi, è una debolezza a cui Gonzalez non sa resistere: si sposerà ed avrà un figlio, ma seminerà amanti ed altri eredi in Spagna e negli Stati Uniti.
Nel 1984, dopo la retrocessione del Cadice in serie B, il salvadoregno viene invitato ad una tourneè estiva dal Barcellona che ha in organico un altro numero 10 niente male, Diego Armando Maradona. I due in campo sembrano nati per giocare insieme, si capiscono al volo, duettano, lasciano di stucco il pubblico, qualcuno azzarda addirittura a dire che Gonzalez sia anche più bravo dell’argentino. Ma uscito dal rettangolo verde, il talento sudamericano è un’altra persona e il Barcellona non si fida di lui: in albergo, al suono improvviso dell’allarme antincendio, la dirigenza catalana insieme al personale di sicurezza fa evacuare l’intero edificio; l’unico a rimanersene in stanza tranquillo e beato a riposare è proprio El Magico: “Cosa scendevo a fare, era evidente che non ci fosse alcun incendio”, risponderà il calciatore successivamente. No, un irriverente (e pure irresponsabile) simile non può giocare a Barcellona e soprattutto non può prendere il posto di Maradona, in procinto di passare al Napoli. Gonzalez finisce così al Valladolid in prestito, sempre in Spagna, dove rende poco e male, prima di tornarsene al Cadice dove impone varie clausole nei suoi contratti, la più celebre delle quali prevede un premio di 700 dollari a partita. Ma il talento del salvadoregno fa passare in secondo piano tutto il resto, le sue bizze, le sue avventure amorose, il suo carattere ribelle; se il Cadice figura dignitosamente nel campionato spagnolo fra serie A e B, gran parte del merito è del numero 10 sudamericano, uno dei fuoriclasse migliori dell’intera Liga iberica.
Pigro, irrequieto, discontinuo: il Magico Gonzalez gioca a pallone come se stesse insieme agli amici il sabato pomeriggio o il lunedì sera, a lui interessa poco l’andamento della squadra e le restrizioni tattiche, lui prende la palla e ci fa più o meno ciò che vuole. Le cronache dell’epoca raccontano di un personaggio ossessionato dalle donne e dalla pigrizia: allenamenti saltati per colpa di un’amica di troppo o più semplicemente per non aver messo o sentito la sveglia. Un compagno di squadra, fra il serio ed il faceto, gli invia sotto casa la banda cittadina che fa talmente tanto baccano da svegliare Gonzalez che all’arrivo al campo dirà: “Sia chiaro che mi sono svegliato ed alzato soltanto perchè la musica era di mio gradimento”. Ma a Cadice è così: la città gli lascia fare tutto, gli erge addirittura una statua e riempie tutte le domeniche il piccolo stadio Ramon de la Carranza, quasi esclusivamente per assistere alle sue magie. Già nel 1983 contro il Barcellona nel Trofeo de la Carranza, Gonzalez era stato più o meno santificato dal popolo di Cadice: arrivato in ritardo alla partita e prelevato a forza da un paio di dirigenti del club, il calciatore entra a partita in corso col Barça in vantaggio per 3-0; due gol e due assist per il 4-3 finale e l’epica rimonta contro i totem di Spagna. Gonzalez rimane a Cadice fino al 1991 declinando ogni proposta alternativa: nemmeno i milioni di franchi offerti dal Paris Saint Germain smuovono il sudamericano: “A Parigi non ci vado – risponde El Magico – è una città troppo dispersiva e non ho voglia di imparare il francese”. Cadice gli calza a pennello, gli permette di giocare come piace a lui, gli consente di dormire a suo piacimento, come quando lo ripescano accoccolato in un angolo di una discoteca cittadina dopo aver sbevazzato, ballato ed essersi appartato con un paio di ragazze.
Il ritorno in patria ed il ritiro a 42 anni suonati chiudono la strampalata e sconclusionata carriera di un calciatore che avrebbe potuto primeggiare in Europa e nel mondo e che si è invece accontentato di vivacchiare, facendo il calciatore quasi per hobby. E, tanto per confermare la sua indole anticonformista, Gonzalez sceglie per la sua seconda vita di fare il tassista, guidando con bermuda e ciabatte, perchè gli scarpini da calcio gli avevano dato fastidio ai piedi per oltre vent’anni. Lo disse lui, del resto: ““Riconosco che non sono un santo, che mi piace la notte e che la voglia di sbronzarmi non me la toglie neanche mia madre. So che sono un irresponsabile e un pessimo professionista, e che probabilmente sto sprecando l’opportunità della mia vita. Lo so, però ho una follia nella testa: non mi piace considerare il calcio come un lavoro. Se lo facessi, non sarei più io. Io gioco solo per divertirmi”. Basterebbe forse solo questa dichiarazione per definire un personaggio a suo modo leggendario. Oggi lo stadio di San Salvador porta il suo nome, nonostante El Magico Gonzalez sia ancora vivo, vegeto e più pigro che mai.
di Marco Milan