Amarcord: Zambia, il sogno in fondo al mare
12 febbario 2012: la finale della Coppa d’Africa tra Zambia e Costa d’Avorio viene decisa ai calci di rigore da un errore dell’ivoriano Gervinho e dalla rete del difensore zambiano Sunzu che consegna alla propria nazionale il primo trofeo continentale della sua storia. E’ un trionfo, peraltro inaspettato, ma non è un successo come tutti gli altri, perchè alle spalle della nazionale zambiana c’è dell’altro, c’è una ricostruzione e una rinascita partita quasi vent’anni prima, dalle macerie di un gruppo che non c’è più.
Nel periodo delle Olimpiadi di Seul del 1988 il calcio africano è in evidente ascesa, ma la nazionale dello Zambia non è certo fra quelle di maggior spicco del continente nero. Ci sono un paio di buoni elementi, primo fra tutti l’attaccante Bwalya, ma nel complesso si tratta di una compagine di medio livello, nulla di preoccupante per l’Italia che quel 19 settembre affronta la formazione africana, soprannominata “proiettili di rame”. Sarà una mattanza azzurra, invece, perchè con una tripletta di Bwalya lo Zambia vince 4-0, travolgendo un’Italia composta da Pagliuca, Tassotti, Ciro Ferrara, Virdis, Carnevale, non calciatori di secondo piano gettati nella mischia un po’ a casaccio. Per la nazionale italiana, quella di Seul resta un’onta quasi proverbiale, tanto che alla prima giornata del campionato successivo (1988-89) dopo il 4-0 inflitto dal Milan alla Fiorentina, il giornalista Rai Gian Piero Galeazzi scherza con Virdis, autore di una tripletta: “Vista la partita di oggi, è più forte la Fiorentina o lo Zambia?”. Insomma, sembra quasi che il 4-0 alle Olimpiadi abbia più divertito che irritato l’Italia, da sempre indifferente alle prestazioni olimpiche della nazionale di calcio; a Lusaka, capitale dello stato africano, invece, c’è poco da ridere e l’obiettivo è un altro.
La nazionale, infatti, fallita la qualificazione a Italia ’90 e raggiunta la semifinale di Coppa d’Africa nello stesso anno, vuole riprovarci agguantando i mondiali americani del 1994 e strappando uno storico approdo alla fase finale del campionato del mondo, mai riuscito sinora. E l’impresa non sembra affatto impossibile, nonostante le favorite siano sempre le solite, le tre grandi del Nord Africa (Algeria, Marocco e Tunisia), il Camerun, la Nigeria ed il Senegal. Lo Zambia ha carattere, gioca bene e dispone di uno degli attaccanti migliori del continente, quel Kalusha Bwalya che peraltro milita in Europa nella squadra olandese del PSV Eindhoven. Il girone finale di qualificazione ad Usa ’94 comprende, oltre ai “proiettili di rame”, anche Marocco e Senegal, la vincente staccherà il biglietto per gli Stati Uniti. E’ un raggruppamento durissimo per lo Zambia, lo sanno bene gli stessi calciatori, ma l’entusiasmo è così alto che nessuno spegne l’illusione e il sogno di giocare per la prima volta la fase finale dei mondiali. Sono quasi tutti amici i calciatori dello Zambia, molti si conoscono fin da bambini, fin da quando giocavano scalzi nelle polverose strade trasformate in campi da calcio improvvisati, sognando un giorno di calcarne uno vero.
Alla qualificazione mondiale ci crede non solo la nazionale, ci crede un popolo intero, un paese povero ed affamato che ripone nel calcio una sorta di grande rivincita sociale, di evasione momentanea da una vita di stenti. Ma non si può sbagliare nulla in un girone composto da tre squadre e con un solo posto a disposizione; la trasferta di fine aprile 1993 in Senegal, primo impegno del mini torneo verso Usa ’94, sembra già uno spartiacque determinante, anche perchè i senegalesi hanno già esordito perdendo 1-0 in Marocco e con una seconda sconfitta potrebbero dire addio anticipatamente ai sogni di gloria. Lo Zambia vuole così puntare sui nervi tesi di un Senegal che non si può permettere altri errori e che sarà costretto a scoprirsi, esponendosi alle ripartenze e alla maggior tranquillità degli avversari. “Ce la possiamo fare”, dice il commissario tecnico Godfrey Chitalu che è anche uno degli ex calciatori più gloriosi dello Zambia, eletto per 5 volte calciatore zambiano dell’anno. Ci credono tanto a Lusaka alla vigilia di quel Senegal-Zambia, ci credono salendo le scalette dell’areo che li dovrà condurre a Dakar quel pomeriggio del 27 aprile 1993 che si trasformerà però in un atroce e maligno destino per un gruppo di ragazzi alla ricerca di gloria e felicità.
Il volo da Lusaka a Dakar si preannuncia lungo e faticoso: sono previste tre soste per il rifornimento, la prima in Congo, la seconda in Gabon e la terza in Costa d’Avorio. Il velivolo è un DCH-5 Buffalo, costruito in Canada ed attivo dal 1975, ma fermato per diversi anni a causa di noie a uno dei due motori che più volte viene riparato poichè difettoso. Gli ultimi controlli ed i voli di collaudo delle ultime settimane hanno però fatto riscontrare miglioramenti sull’affidabilità dell’aereo, ritenuto idoneo per trasportare la nazionale dello Zambia nel lungo viaggio verso il Senegal. Ma già dopo la prima sosta in Congo a Brazzaville, i piloti iniziano a sospettare che qualcosa in uno dei due motori non vada, qualcuno di loro ne parla anche con qualche collega in aeroporto: “Il motore di sinistra fa i capricci”. Tuttavia, il velivolo riparte e senza particolari affanni raggiunge il secondo scalo in Gabon dove vengono effettuati ancora controlli durante il rifornimento, perchè ai piloti qualcosa nel funzionamento di quel motore continua a non tornare, temono che possa spegnersi, il viaggio è ancora lungo, sono professionisti esperti ma hanno paura. I calciatori, nel frattempo, ridono e scherzano nel più tipico stile centro africano, qualcuno ha freddo e chiede delle coperte.
Intorno alle 22:45, con quasi due ore di ritardo sulla tabella di marcia prevista, il DCH-5 Buffalo si alza nuovamente in volo, prossima tappa la capitale ivoriana Abidjan dove però quell’aereo non giungerà mai. Il Gabon si vede ancora dai finestrini dell’aeroplano, anche se in pochi sono affacciati, è tardi, la maggior parte della nazionale zambiana sta chiudendo gli occhi, cullata dal rumore fioco e costante del velivolo, stanca per un viaggio che si sta rivelando interminabile. Pochi minuti dopo il decollo, però, quel motore che secondo i piloti faceva i capricci si pianta all’improvviso prendendo fuoco: niente panico, l’equipaggio sa cosa fare, basta spegnerlo e farlo cadere, in Costa d’Avorio ci si può arrivare anche con un propulsore solo. Ma a tradire i 30 passeggeri dell’aereo è la stanchezza del primo pilota, appena rientrato da un volo di ritorno dalle Mauritius e probabilmente assonnato; il conducente sbaglia a selezionare il motore e spegne quello di destra, l’unico funzionante, quello a cui le speranze di una nazione intera erano a quel punto aggrappate. L’errore è enorme, lo sa anche lui un paio di secondi dopo, quando vede il propulsore smettere di girare. E’ la fine.
Il DCH-5 perde immediatamente potenza, ormai non c’è niente che i piloti possano fare per mantenerlo in aria. Sotto di loro c’è la costa del Gabon che si avvicina sempre di più mentre l’aereo precipita volteggiando su sè stesso in un turbine di fuoco impazzito. Forse qualche passeggero si sveglia, qualcuno comprende cosa sta per accadere, ma probabilmente nessuno fa in tempo ad accorgersi che il mare sta per inghiottire loro e il sogno di un popolo. L’aereo che trasportava la nazionale zambiana si inabissa nell’oceano a meno di 500 metri dalle spiagge del Gabon, senza che il mare restituisca superstiti: muoiono tutti e 18 i calciatori presenti, l’allenatore e i suoi due collaboratori, il medico sociale, il presidente della Federazione Calcistica Zambiana, un dirigente federale, un giornalista inviato a seguito della partita ed i 5 membri dell’equipaggio. 30 vittime di un disastro che riporta alla mente le tragedie del Grande Torino e del Manchester United. La notizia si sparge velocemente in tutta l’Africa e nello Zambia in particolare, la gente esce dalle case, si ritrova in piazza, si prende per mano, come se la condivisione di quell’enorme dolore possa cancellare un destino ormai compiuto.
Le parole più toccanti sono quelle degli unici due scampati al disastro, il simbolo Bwalya che avrebbe raggiunto i compagni privatamente in Senegal poichè impegnato con il PSV Eindhoven ed il difensore Charlie Musonda che pure gioca in Europa nei belgi dell’Anderlecht e che a Dakar non era andato perchè infortunato: “Abbiamo perso i nostri amici – dicono in lacrime i due calciatori – abbiamo perso tutti i nostri amici, non abbiamo più nessuno”. Anche il presidente della nazione, Frederick Chiluba, non riesce a trattenere l’emozione, nonostante mantenga il piglio del leader: “Chiedo allo Zambia di rimanere calmo – afferma dopo essere tornato in tutta fretta da un viaggio politico in Rwanda – chiedo al mio popolo di mantenere l’equilibrio e la compostezza. Viviamo solo di calcio, è una tragedia enorme per tutti noi”. La Federazione vorrebbe ritirare la nazionale dalle qualificazioni ai mondiali, ma l’orgoglio è più forte della morte: in pochissimo tempo viene organizzata una nuova squadra che a luglio batte il Marocco e ad agosto pareggia in Senegal, in quella partita che si disputa con tanta tristezza a soli 4 mesi dal disastro di Libreville. La sconfitta in Marocco all’ultima giornata dopo il 4-0 di Lusaka sul Senegal, priva lo Zambia di una qualificazione ai mondiali che sarebbe stata clamorosa ma meritata, ma lascia che tutto il mondo applauda quella nazione orgogliosa e sfortunata. I contrasti politici fra Zambia e Gabon, poi, manterranno tanto mistero sulle cause del disastro fino al 2003, quando rapporti più distesi scoperchieranno la verità sulla sciagura di dieci anni prima.
Lo Zambia arriverà secondo alla Coppa d’Africa del 1994, stupendo ancora tutti, perchè quei ragazzi arruolati frettolosamente e guidati in campo da Bwalya e Musonda incarnano lo spirito dei loro vecchi compagni, sepolti nei pressi dell’Independence Stadium di Losaka in quello che verrà battezzato come “Il Cimitero degli Eroi”. Il 12 febbraio 2012 la nazionale zambiana batte ai calci di rigore la Costa d’Avorio e vince per la prima volta la Coppa d’Africa che incorona gli eredi di quel gruppo caduto in mare quasi vent’anni prima. Quell’edizione della manifestazione si disputa proprio in Gabon, laddove quella nazionale era scomparsa; destino, corsi e ricorsi della storia, coincidenze, fate voi: è bello, però, pensare che lo Zambia del 2012 sia stato accompagnato e protetto da quello del 1994, il cui sogno si interruppe a pochi chilometri dal teatro di quel trionfo.
di Marco Milan