Amarcord: Nikos Anastopoulos, la divinità greca che non incantò Avellino
“E’ sceso dall’Olimpo il cannoniere dell’Avellino”. Titolava così La Gazzetta dello Sport nel giorno in cui in Irpinia sbarcava Nikos Anastopoulos, centravanti greco proveniente dall’Olympiakos Pireo e pagato 500 milioni di lire con contratto biennale, bomber della formazione ellenica e della nazionale. Di divino, però, la punta greca dimostrerà di possedere ben poco nella sua brevissima e sfortunata parentesi italiana.
Nell’estate del 1987 l’Avellino si appresta ad iniziare il suo decimo campionato consecutivo in serie A, un record per una società piccola ma organizzata come quella campana, ormai una realtà consolidata del calcio italiano, capace ogni anno di allestire organici all’altezza delle concorrenti per la lotta salvezza ed ottenere di conseguenza la permanenza nella massima serie. L’arrivo in Irpinia di Nikos Anastopoulos viene accolto con piacevole sorpresa dalla piazza avellinese: il centravanti ellenico (primo calciatore greco in Italia dopo 40 anni) è famosissimo in patria dove con la maglia dell’Olympiakos Pireo ha segnato caterve di gol, si è laureato capocannoniere del campionato per 4 volte in 5 anni (1983, 1984, 1986 e 1987) ed è un punto fermo della sua nazionale. Insomma ce n’è abbastanza per credere che i gol della decima salvezza di fila potrà segnarli lui. Anastopoulos si presenta ad Avellino con aria seria, educata ma anche autoritaria: classe 1958, 1 metro e 76 per 70 chili, capelli corti pettinati all’indietro e baffoni neri da classico uomo greco. Qualcuno lo paragona a Pietro Paolo Virdis, attaccante del Milan, uno dei migliori realizzatori italiani degli anni ottanta. La somiglianza, alla fine, si ridurrà ai soli baffi.
L’allenatore dell’Avellino è Luis Vinicio, in rosa non c’è più il gioiello della squadra, Angelo Alessio, ceduto alla Juventus, in attacco accanto al greco Anastopoulos c’è l’austriaco Walter Schachner, uno che i gol li fa veramente. Il 13 settembre 1987 inizia il campionato e la formazione irpina fa il colpo grosso battendo 2-1 il Torino e facendo presagire ad un’altra stagione ricca di soddisfazioni; Anastopoulos gioca dal primo minuto ma non incanta, anzi, appare lento e macchinoso, assolutamente avulso dal gioco di una squadra che viaggia a buoni ritmi. A fine partita, Vinicio lo difende: “Non aspettiamoci di vederlo subito in palla, deve capire i tempi e i ritmi del calcio italiano, ma ci farà vedere chi è”. Peccato per il calciatore che il tecnico brasiliano durerà ancora un mese: l’Avellino, infatti, perde quattro partite di fila contro Verona, Roma, Napoli e Fiorentina, troppo per pensare ad una conferma dell’allenatore, con i biancoverdi inchiodati a fondo classifica. La società esonera Vinicio e chiama Eugenio Bersellini, denominato il sergente di ferro per i suoi modi rudi ed intransigenti, a cui viene affidato il compito di rialzare una squadra con le gomme sgonfie.
L’avventura di Bersellini sulla panchina dell’Avellino inizia con un pareggio in casa contro il Cesena, quindi arrivano altre tre sconfitte contro Juventus, Sampdoria e Milan. E Anastopoulos? Anastopoulos continua a giocare, o meglio, continua ad essere mandato in campo, perchè giocare non è esattamente il termine che si può utilizzare guardando l’incredibile lentezza, indolenza ed apatia del centravanti greco che vaga per il campo un po’ a caso, quando l’Avellino non è in possesso di palla lui cammina, poi si ferma con le mani sui fianchi in attesa che i compagni riconquistino la sfera. Che sia indolente lo si capisce sin da subito, ma che il greco sia in pratica l’ombra di un calciatore non era minimamente concepibile quando il club irpino aveva speso ben 500 milioni di lire per strapparlo all’Olympiakos e ad una discreta concorrenza europea. Che Anastopoulos non fosse Van Basten era chiaro sin da subito, che però un centravanti in due mesi di campionato non producesse neanche lo straccio di un tiro era francamente inimmaginabile. Celebre la sfida del Comunale di Torino contro la Juventus, il 1 novembre 1987, quando Anastopoulos, schierato ancora in campo dall’inizio, sbaglia il possibile e l’impossibile, dagli stop ai contrasti, fino ad un clamoroso contropiede nel quale scatta verso la porta juventina con metri e metri di vantaggio su Sergio Brio che in un attimo lo recupera, lo supera e appoggia il pallone all’indietro a Tacconi. Chi era allo stadio quel giorno parla di un doppiaggio di Brio, stile Formula 1. Ma era calcio, purtroppo per l’Avellino.
La pazienza di Bersellini sta per terminare, anche perchè l’Avellino continua ad essere ultimo in classifica e la salvezza inizia ad essere un miraggio per la formazione campana. L’allenatore non sopporta i comportamenti di Anastopoulos, troppo pigro per i suoi gusti, ma soprattutto inconcludente in campo dove di tiri e azioni pericolose non se ne vedono, di gol men che meno. Il sergente di ferro va a lamentarsi col presidente: “Ma chi avete comprato?”. La dirigenza gli implora pazienza e fiducia: “Mister, lo abbiamo pagato 500 milioni, dovrà pur valere più di questo”. Ma le giornate passano e la situazione non cambia, anzi, se possibile peggiora: l’attaccante greco non ne azzecca una e finisce stabilmente in panchina, del resto Bersellini non può perdere tempo con chi non gli dà fiducia e con chi non si sacrifica per la causa del gruppo, tanto più che tutte queste qualità decantate in estate non vengono confermate da un calciatore che sembra paralizzato in campo, mai in grado di ritagliarsi spazi pericolosi. Qualcuno suggerisce all’allenatore di mettere il greco fuori rosa, ma il tecnico si limita a lasciarlo in panchina, forse sperando così di stimolare l’orgoglio di un centravanti che in carriera aveva sinora segnato quasi 200 gol.
L’Avellino retrocede mestamente in serie B dopo dieci anni di stoica resistenza in A, mentre Anastopoulos vive l’onta di diventare una sorta di macchietta, di figura allegorica del campionato italiano: ad Avellino qualcuno lo chiama ‘O Baffone’, nei bar sghignazzano pensando ai titoli dei giornali estivi, “Dal Partenone al Partenio”, giocando con le parole del simbolo architettonico ateniese e del nome dello stadio di Avellino. Cosa può esserci di peggio di un campionato chiuso con appena 15 presenze e nessun gol, la retrocessione della squadra e l’etichetta di bidone cucita addosso? Strano ma vero, Nikos Anastopoulos è riuscito ad andare oltre: ultima giornata, per fortuna degli avellinesi, la squadra di Bersellini, già retrocessa, gioca a San Siro contro l’Inter e il tecnico, forse anche per ripicca nei confronti della società, schiera il greco nuovamente dal primo minuto; la partita è soporifera, lo stadio è arrabbiato perchè lo scudetto sta finendo nelle mani dei rivali del Milan e di fronte c’è l’Avellino già in serie B. Sembra la partita adatta per la malinconia e la mestizia, tanto che Anastopoulos sembra sguazzarci benissimo: al minuto 10 del secondo tempo si fa buttare fuori dall’arbitro dopo un fallo e un conseguente battibecco col direttore di gara. A far gol in Italia non ha imparato, a dire le parolacce evidentemente sì. Colmo dei colmi, l’attaccante ellenico inizia a guardarsi intorno perchè non si ricorda dove sia l’uscita per gli spogliatoi, imbocca una via a casaccio e la sbaglia, suscitando l’ilarità del pubblico presente. Forse è un po’ questa la fotografia dell’annata tragicomica di Anastopoulos in Italia.
Il calciatore si becca tre giornate di squalifica che ovviamente in serie A non sconterà mai, chiudendo la sua esperienza con 16 presenze e neanche una rete all’attivo. Tante promesse, nessuna mantenuta, quella vena realizzativa mostrata in Grecia e mai minimamente ammirata in Italia. La leggenda, poi, inizia a prendere il sopravvento sulla realtà e su Anastopoulos circolano storielle che con la mitologia greca hanno poco a che vedere, come quella secondo cui, scaricato dall’Avellino, sia tornato in Grecia in pedalò. In realtà, l’attaccante, dopo il disastro italiano, torna effettivamente in patria, prima al Panionios e poi al vecchio amore Olympiakos, dove realizzerà ancora qualche gol fino al ritiro e all’inizio di una discreta carriera di allenatore. Diventato uno dei simboli e degli emblemi del bidone di serie A anni ottanta, Nikos Anastopoulos fa sorridere ancora oggi gli appassionati di Avellino nonostante una stagione inguardabile, alimentando di anno in anno molteplici leggende metropolitane. Quantomeno la discesa dall’Olimpo non è stata del tutto inutile.
di Marco Milan
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articolo interessante, però l’ultima partita inter-avellino non fu giocata con l’avellino già retrocesso, anzi proprio in quella partita l’avellino si stava giocando la possibilità di restare in serie A, e la partita non fu soporifera, tutt’altro anche perchè l’inter si giocava la possibilità di andare in coppa uefa. tutte e due le squadre dovevano vincere, e nonostante il livello tecnico davvero basso, la partita fu avvincente
alberto