La città del futuro è smart, gli amministratori forse

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di Pietro Falco

Con una velocità sempre maggiore ci siamo costruiti attorno un’impalcatura di supporti intelligenti tutti con l’obiettivo di renderci la vita più semplice, dalle smart card con i nostri dati, la nostra firma digitale passando ai cellulari di ultima generazione, questi apparati smart sono entrati di prepotenza nelle nostre vite a volte rendendoci forse un po’ dumb come dimostra qualche tuffo in mare con l’auto per seguire il navigatore satellitare.

Lasciamo però da parte gli scherzi e passiamo a quello che oggi giorno sembra essere la nuova frontiera della tecnologia; il moltiplicarsi delle connessioni individuali alla rete, il sempre crescente bisogno di un’ informazione breve e veloce, della condivisione di molti aspetti della nostra vita ha generato un significativo cambiamento dei comportamenti sociali e di conseguenza delle necessità del tessuto sociale.

L’animale metropolitano ormai cammina a testa china con lo sguardo sullo schermo del suo supporto digitale, affamato di input e allo stesso tempo disinvolto con gli output vive la città attraverso strade invisibili. Il net citizen però è un cittadino a tutti gli effetti e come tale ha bisogno di infrastrutture che gli consentano di muoversi agevolmente. Sta nascendo proprio in quest’ottica in tutta Europa una nuova concezione di città, è la smart city, una città intelligente dove non abiteranno solo i cittadini con i loro profili ma anche gli uffici pubblici, i mezzi di trasporto l’ecosostenibilità e servizi di vario genere, utili tutti a rendere l’esperienza del vivere cittadino un’esperienza semplificata, economica e friendly.

L’italiano Carlo Ratti che conduce il Sensable city Lab del Mit di Boston ha tenuto la settimana scorsa, una conferenza a Milano per spiegare come alcune amministrazioni cittadine sparse per il mondo stiano marciando in questa direzione ed anche in Italia, proprio in periodo di elezioni amministrative non mancano nei programmi dei candidati sindaco i capitoli ed i riferimenti legati alla trasformazione in smart cities dei nostri campanili. Navigando nella selva delle promesse elettorali si fa il pieno di formule come “2.0” o “ecocompatibilità” ma in pochi sembrano aver colto in pieno l’opportunità che le nuove tecnologie sono in grado di offrire e si ha la solita impressione che sia la dialettica degli spin doctor a farla da padrone.

Un caso particolare è quello dei due principali contendenti genovesi: nei due programmi è ben riconoscibile il gap in senso di nuove frontiere fra le due culture politiche. Doria (centrosinistra) punta molto su economie della conoscenza e green revolution mentreVinai (centrodestra) parte e mantiene la barra su famiglia, sicurezza e inclusione, un po’ scollegato quindi dalla trasformazione in atto nella società soprattutto in una città multiculturale come il capoluogo ligure.

La carta della città intelligente, come già detto la si gioca un po’ ovunque; in testa come ovvio che sia, i grillini, figli della politica fatta in rete, dimostrano grande attaccamento per l’interconnessione delle tematiche ambientali alle ristrutturazioni urbane tutto sotto il cappello della tecnologia più avanzata ma pur avendo nobili obiettivi mancano l’appuntamento con l’incubo peggiore per gli amministratori di qualsiasi colore: il patto di stabilità. Per le proposte messe in campo dai giovani e meno giovani del Movimento 5 stelle ci vogliono comunque ingenti risorse e nonostante i bandi di Governo e Unione europea che premieranno i progetti migliori, i bilanci delle casse cittadine dovranno fare i conti con altre priorità.

Fortunatamente nessuno ha pensato che la smart city fosse un nuovo modello d’auto facile da parcheggiare in città, quindi possiamo concludere dicendo che ad oggi il dibattito si sta, bene o male, arricchendo di nuovi elementi, vedremo a Settembre se questa sarà un’evoluzione di qualità.

 

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