Sardegna, raggiunto il quorum per i 10 Referendum. Vittoria dei Sì
di Elena Angiargiu
Una domenica di attesa per un quorum raggiunto in extremis. Il 6 maggio, nel giorno delle elezioni amministrative nella penisola, oltre 525.000 sardi hanno risposto all’appello del Movimento referendario esprimendo il loro “Sì” ai 10 Referendum per cambiare la Sardegna, da molti ribattezzati “anti-casta”. Decisive le ultime tre ore di voto per il raggiungimento del quorum, vera incognita di tutta la giornata elettorale: affluenza al 35,5%, due punti in più della soglia del 33,3% dei votanti fissata per la validità della consultazione.
I QUESITI – Numerosi i temi proposti dai 10 quesiti: dalla riduzione dei costi della politica, all’abolizione delle Province, alla partecipazione diretta dei cittadini nelle scelte amministrative, istituzionali ed elettorali. Al centro della consultazione soprattutto i quesiti per l’abrogazione delle 4 nuove Province, istituite nel 2001 e operative dal 2005. Nodo controverso, già oggetto di un referendum nel 2003. Allora il quorum si fermò al 15,7% e la scarsa partecipazione fu letta come una tacita approvazione popolare verso i nuovi enti intermedi. Altro cavallo di battaglia dei promotori, il quesito abrogativo sul taglio delle indennità dei consiglieri regionali.
Con i 5 quesiti consultivi si chiedeva la cancellazione delle 4 Province storiche, l’elezione diretta del presidente della Regione, l’eliminazione dei cda di enti e agenzie regionali, l’elezione di un’Assemblea Costituente per la riscrittura dello Statuto sardo, la riduzione da 80 a 50 del numero dei consiglieri regionali.
I RISULTATI – Netta la vittoria dei Sì, con una media regionale del 96,89% per tutti i quesiti. L’affluenza più alta si è registrata nel Medio Campidano (42,5%), una delle province a rischio, seguita da Cagliari (38,14%) e Sassari (37,24%). A Nuoro e Oristano la percentuale di votanti si è attestata rispettivamente al 34,75% e al 33,10%. Al di sotto del quorum, le 3 nuove province di Carbonia-Iglesias (31,53%), Ogliastra (28,75%) e Olbia-Tempio (26,85%).
Il 97% degli elettori ha votato “Sì” all’abrogazione delle nuove province. Più cauti, i sardi, sulla proposta di abolire anche le province storiche (67%). Più del 98% si è espresso a favore della riduzione dei componenti del Consiglio regionale, oltre il 97% per il taglio delle indennità. Stessa percentuale di consensi per il quesito sull’abolizione dei consiglieri di amministrazione. Appena più basse, ma ugualmente significative, le percentuali a favore dell’elezione diretta del presidente della Regione attraverso le primarie (96,85%) e di un’Assemblea Costituente per il nuovo Statuto eletta direttamente dai cittadini sardi (94,42%).
LE REAZIONI – Soddisfatto il Movimento referendario: «L’ora del cambiamento è arrivata. Da parte di tutti i partiti adesso è necessaria subito una riflessione». All’indomani del voto, i referendari chiamano in causa le forze politiche che – ad eccezione dei Riformatori, promotori del referendum insieme a centinaia di sindaci e consiglieri comunali, e del governatore Cappellacci, apertamente schieratosi a favore dei quesiti – sono rimaste ai margini del dibattito referendario. In prima fila, a chiedere risposte immediate ai partiti sul futuro degli enti abrogati l’Unione delle Province sarde, pronta a contestare l’esito del voto dopo l’accesa battaglia anti-referendum condotta nei mesi scorsi.
SCENARIO POST-REFERENDUM – Riflettori puntati sul destino delle province. In campo diverse ipotesi, dal commissariamento ad un riordino complessivo, tutte accomunate dall’improrogabile necessità di una riforma istituzionale, per la quale la Regione ha deciso di avvalersi del parere di “amministrativisti e costituzionalisti”. Che ne sarà del personale degli enti, dei progetti e degli appalti già avviati, degli amministratori, della ripartizione di funzioni e servizi (è il caso delle Asl) o ancora della ridefinizione dei confini territoriali? Sono solo alcuni degli interrogativi più pressanti con i quali la classe politica dovrà fare presto i conti per attuare la chiara volontà dei sardi venuta fuori dalle urne.