Amarcord: il Verona di Prandelli, un’oasi felice
Nella storia dell’Hellas Verona la prima ed irraggiungibile posizione nella classifica di gradimento dei tifosi va certamente attribuita alla squadra di Osvaldo Bagnoli, campione d’Italia nella stagione 1984-85 fra lo stupore e la meraviglia di tutti. Ma il popolo veronese è affezionato, e non poco, anche al Verona guidato da Cesare Prandelli che fra il 1998 e il 2000 ha scritto una pagina importante della storia gialloblu.
Il Verona che si appresta a vivere il campionato 1998-99 è accompagnato da un certo scetticismo, a tratti quasi da una piccola ostilità da parte dei sostenitori veronesi, delusi da due annate altamente negative, la prima (1996-97) con una retrocessione dalla serie A senza opporre quasi resistenza, la seconda (1997-98) partita con fasti ed ambizioni da primato e chiusa con un anonimo e misero settimo posto. La società scaligera affida la panchina ad un giovane rampante tecnico, Cesare Prandelli, reduce da un anno sfortunato a Lecce in serie A, chiuso con dimissioni e retrocessione della compagine pugliese ma anche con la sensazione che l’ex centrocampista di Atalanta e Juventus, diventato allenatore, abbia le caratteristiche giuste per far strada in panchina. Il nuovo Verona parte per la prima volta dopo tanti anni senza proclami e addirittura nelle griglie di partenza estive che giornali e televisioni si divertono a stilare, i veneti vengono posti in terza fila, dietro alle favoritissime Atalanta e Torino, ma anche dietro a Brescia, Genoa e Napoli. Ai gialloblu viene imputata l’assenza di un vero e proprio bomber, con il vecchio De Vitis ormai a fine carriera ed i vari Ghirardello e Cammarata che mai nella loro carriera hanno segnato più di una decina di gol; anche Prandelli, nonostante venga unanimemente considerato un talento fra gli allenatori, non sembra possedere l’esperienza adatta per guidare una squadra con ambizioni da promozione.
Parla poco il tecnico bresciano di Orzinuovi e forse la mancanza di quell’etichetta di favorito per il suo Verona potrà giocare a suo favore, con una piazza perennemente col fucile puntato ed uno stadio grande ma in cui in campo si sente ogni mugugno proveniente dagli spalti. Il pubblico veronese è esigente, considera la serie B un inferno ed è abituato al palcoscenico della serie A, alle sfide con le milanesi, con le romane e con la Juventus, ed il secondo anno di fila nella serie cadetta indispettisce l’intero popolo scaligero. L’esordio del Verona nel campionato 1998-99 fa però ricredere parecchi detrattori: la squadra di Prandelli debutta infatti il 6 settembre al Bentegodi contro il Pescara, travolto per 4-1 dalle reti di soli attaccanti: doppietta per De Vitis (alla faccia della carta d’identità) e sigilli di Aglietti e Cammarata; la strada è lunga, però, Prandelli lo sa bene ma la sua formazione la percorre senza intoppi vincendo anche la settimana dopo sull’insidioso campo di Lucca, espugnato grazie ad un’altra marcatura di De Vitis. Tutto facile? Neanche per idea, perché proprio quando le critiche sembrano sopite, eccole invece tornare a galla prepotentemente con le due settimane che potrebbero sconvolgere l’intera stagione: prima il clamoroso ko casalingo contro la Reggiana, passata addirittura al Bentegodi col punteggio di 5-2, poi gli scialbi 0-0 di Treviso e di Cremona che ringalluzziscono le tesi dei critici, subito pronti a scagliarsi contro l’inesperienza di Prandelli e l’inadeguatezza dell’organico.
La svolta, però, anziché in negativo, il Verona la trova a suo favore: l’allenatore, in barba ai mugugni della piazza, va dritto per la sua strada e con le sue idee, tranquillizza lo spogliatoio e lo carica, lo motiva: ci criticano? Facciamogli vedere che si sbagliano. Dall’11 ottobre al 6 dicembre i gialloblu conoscono solo la parola vittoria: 8 successi di fila contro Reggina, Ravenna, Atalanta, Fidelis Andria e Cesena in casa, e contro Cosenza, Lecce e Brescia in trasferta; Verona-Cesena del 6 dicembre ’98, ultima delle 8 vittorie consecutive, mostra il carattere e la ferocia della compagine scaligera, messa in difficoltà dall’arcigno avversario, superato solo a metà ripresa da una zampata del difensore Natale Gonnella. Grazie a questo straripante filotto, la squadra di Prandelli acciuffa il primo posto della classifica e si candida come favorita numero 1 alla vittoria di un campionato partito in sordina e che si sta invece rivelando entusiasmante. Prandelli ha ormai il completo controllo del gruppo, è il leader dello spogliatoio ed è seguito da tutti i suoi ragazzi, il pupillo dei quali è Cristian Brocchi, tornante di centrocampo, tutto corsa e generosità, che orgogliosamente gioca col suo cognome non propriamente beneaugurante per un calciatore, indossando sotto la tenuta gialloblù una maglia con la scirtta “Brocchi si nasce, campioni si diventa“, riproposta anni dopo dallo stesso centrocampista all’indomani della vittoria in Coppa dei Campioni del Milan a Manchester contro la Juventus.
Il Verona chiude il girone d’andata al comando della classifica, nonostante le battute d’arresto di Torino e di Monza, quindi inizia il ritorno col pareggio di Pescara e il roboante 4-0 alla Lucchese, firmato da tre centrocampisti (Melis, Marasco e Brocchi) e dall’attaccante Guidoni. Dopo il 5-2 inflitto alla Cremonese ed i pareggi contro Reggina, Reggiana e Treviso, i veneti ottengono quella che a posteriori verrà considerata la fotografia dell’annata veronese, l’icona del campionato da primadonna della squadra di Prandelli; il 28 marzo 1999 il Verona gioca in casa del Ravenna, formazione ostica, esperta, divisa fra i margini della zona promozione e la metà della graduatoria. I romagnoli mettono subito alle corde la capolista passando anche in vantaggio al 10′ con la rete del regista Bergamo; il Verona pareggia con Foglio ad inizio ripresa, ma pochi minuti dopo ecco il nuovo vantaggio ravennate firmato da Dell’Anno che trasforma un calcio di rigore. Sembra finita, anche perché gli uomini di Prandelli faticano a riorganizzarsi e la giornata appare alquanto sfortunata; ma la fortuna, si sa, aiuta gli audaci ed il Verona audace lo è per davvero: fra l’83’ e l’85’, infatti, prima gli attaccanti gialloblu inducono il portiere Berti a buttarsi la palla da solo nella propria porta, poi Guidoni indovina l’angolo giusto per siglare la rete del definitivo 2-3 che manda in estasi il pubblico veronese e fa capire alle rivali come la promozione sia davvero vicina.
Il carattere, la forza, la sicurezza ed il gioco brioso e convincente adottato da Prandelli conducono il Verona verso il ritorno in serie A dopo due anni, frutto del 5-1 contro il Lecce (rivale per la promozione), prologo di un mese col freno a mano tirato che porta i veneti a perdere tre partite con Atalanta, Brescia e Cesena (le ultime due consecutivamente) senza però scalfire quel primato che diventa ufficiale il 6 giugno 1999 grazie al successo per 1-0 contro il Napoli, firmato da un bolide di Marasco dal limite dell’area e che certifica l’aritmetica promozione della formazione gialloblu. Lo stadio Bentegodi è in festa, il pubblico si riappacifica con società e squadra, il lavoro di Prandelli è apprezzato e stimato da una tifoseria e da una critica che riconoscono il valore assoluto (umano, caratteriale e tecnico) di un allenatore pronto per giocarsi le sue carte anche in serie A alla pari coi colleghi. Il Verona torna dunque in massima serie, un’altra categoria, da affrontare con un organico di valore perché senza esperienza difficilmente in A si sopravvive. L’estate del 1999 è così una ricerca forsennata alla costruzione di una rosa valida e competitiva per non vedersi sbriciolare fra le mani quel capolavoro costruito in un’annata da sogno.
Il malcontento e le lamentele veronesi ricominciano alla chiusura del calciomercato estivo: il Verona, stando a quanto si legge sui giornali, si è solo parzialmente rinforzato per affrontare la serie A e la salvezza appare una chimera per i ragazzi di Prandelli. Sulle rive dell’Adige sbarcano il giovane portiere francese Frey (in prestito dall’Inter), l’esperto difensore Luigi Apolloni (ex colonna del Parma di Scala), gli sconosciuti stranieri Seric (terzino croato), Laursen (stopper danese), Spehar (centravanti croato proveniente dal Monaco), oltre al brasiliano Adailton che era stato acquistato dal Parma trovando in Emilia poca fortuna. Il blocco dell’anno precedente (Gonnella, Brocchi, Marasco, Melis e Cammarata) a cui si unisce il talento discontinuo di Domenico Morfeo (che arriverà in autunno dal Cagliari), pongono il Verona come una delle candidate alla retrocessione, alla pari di un’altra neopromossa come la Reggina (esordiente assoluta in A) e del Piacenza. Sarà in grado Prandelli di stupire tutti e ribaltare i pronostici anche stavolta? I tifosi se lo augurano e, nonostante i timori per una campagna acquisti da punto interrogativo con tante incognite, la fiducia in un allenatore ormai nel cuore dei veronesi sembra prevalere sullo scetticismo.
Il debutto è però da dimenticare: il 29 agosto il Verona scende in campo a San Siro contro l’Inter davanti a 67.000 spettatori, 3.000 dei quali giunti dal Veneto; è la giornata dell’esordio interista di Christian Vieri, pagato poche settimane prima ben 90 miliardi di lire da Moratti alla Lazio, e smanioso di mettersi in mostra. Il centravanti nerazzurro realizza una tripletta che vale il 3-0 finale e che mette a nudo pecche difensive enormi della difesa scaligera, tagliata a fette dai movimenti della punta di Lippi. Ben venga che alla seconda giornata il Verona ospiti un’altra matricola come il Lecce, battuto 2-0 al Bentegodi dai gol di Marasco ed Aglietti che risollevano momentaneamente l’umore del popolo gialloblu, ancora intento a capire se quella squadra possa figurare almeno dignitosamente in uno dei campionati italiani più forti e competitivi nella storia della serie A. Le successive tre settimane sono però da incubo per i veneti, battuti prima 4-1 a Firenze, poi 1-0 in casa dal Bari, quindi 3-0 a Parma; una sola vittoria e 4 sconfitte nelle prime 5 giornate di campionato, 3 gol all’attivo e ben 11 al passivo, numeri da incubo per un Verona che appare molle, impacciato e quasi intimidito da quel mostro gigante chiamato serie A. La difesa è un colabrodo, il centrocampo inesperto e l’attacco anemico: cosa si può fare per salvare la squadra?
Verona-Perugia del 17 ottobre diventa così un viatico fondamentale per i gialloblu e per il tecnico che rischierebbe seriamente l’esonero in caso di nuova sconfitta contro gli umbri, tanto che sulla sua testa aleggiano già i nomi di Giuseppe Materazzi e di Francesco Oddo, allenatori con anni di esperienza in massima serie. La gara è tirata, il Verona ne avverte il peso ma si rivela in grado di prendersi ogni responsabilità del caso vincendo per 2-0, trovando la seconda vittoria stagionale che salva la panchina di Prandelli e restituisce fiducia e brio alla tifoseria, anche se la gioia dura poco perché già una settimana più tardi gli scaligeri cadono in casa della Lazio 4-0. I veronesi chiudono il girone d’andata all’ultimo posto, collezionando altre 4 sconfitte contro Torino, Piacenza, Juventus e Roma, ma trovando un punto di svolta nell’ultima gara dell’anno solare, vinta 1-0 nel derby fra disperati del Bentegodi contro il Venezia, grazie ad un calcio di rigore di Adailton nel secondo tempo. Prandelli vuole ripartire da quel successo di carattere e personalità, anche se il girone di ritorno comincia male: prima la sconfitta in rimonta contro l’Inter (1-2), poi quella di Lecce alla 19.ma giornata il 20 gennaio che sembra tagliare le gambe ai veneti ma che sarà invece l’ultima di un campionato che da lì in avanti si trasforma in una marcia trionfale per la compagine di Cesare Prandelli.
Difficile dire cosa accada negli spogliatoi dello stadio Via del Mare, fatto sta che il Verona, dato ormai per spacciato da quasi tutta Italia, cambia improvvisamente marcia, diventa una squadra solida, concreta e coraggiosa, sembra quasi di rivedere quella dell’anno prima in serie B. I pareggi contro Fiorentina e Bari lasciano ai veneti l’amaro in bocca per l’iniziale vantaggio sprecato, tutt’altro discorso per la gara in cui davvero cambia tutto, ovvero quella contro il Parma al Bentegodi del 20 febbraio 2000. Gli emiliani guidati in panchina dal veronese doc Alberto Malesani, sono in corsa per il quarto posto ma sono delusi perché con l’organico costruito dalla famiglia Tanzi le attese erano di poter combattere anche per lo scudetto; la rete di Brocchi al 2′ porta in vantaggio il Verona, poi Stanic, Fuser e Crespo conducono il Parma sul 3-1 già al 23′ e per i padroni di casa sembra finita. Nella ripresa, però, il Verona entra in campo con una furia mai vista, accorcia subito le distanze con Morfeo ed al 53′ è già sul 3-3 col gol di Colucci; all’81’, infine, ecco il 4-3 firmato da Melis che permette alla squadra di Prandelli di schizzare in classifica a ridosso della zona salvezza, grazie ad un successo insperato, rocambolesco ma fortemente voluto, firmato da 4 centrocampisti, alla faccia di chi voleva la mediana scaligera come una delle più deboli del campionato.
Pirotecnico anche il 3-3 in casa del Milan, acciuffato dalle reti di Apolloni, Laursen e Cammarata quando i rossoneri campioni d’Italia in carica erano prima sul 2-0 e poi sul 3-2. Il successo della settimana successiva contro la Lazio (1-0, rete di Morfeo nella ripresa), unito agli 0-0 di Perugia e contro il Bologna e soprattutto al 3-0 inflitto a domicilio al Torino grazie alla doppietta di Cammarata, scopertosi bomber all’improvviso dopo aver scalzato l’inconcludente Spehar dal ruolo di punta titolare, confermano i progressi di un Verona ormai lanciato verso la salvezza, attento in difesa, roccioso a centrocampo e micidiale in attacco, guidato sapientemente da un allenatore che si sta rivelando un fuoriclasse nella gestione dei momenti complicati. Contro il Piacenza e a Cagliari arrivano altre due vittorie per 1-0 che portano a 4 il numero di successi di fila per i veneti, ormai salvi ma pronti ancora a stupire e a farlo nel modo più inatteso. Il 30 aprile, dopo i 2-2 consecutivi contro Udinese e Venezia, il Verona ospita la capolista Juventus che si sta difendendo dall’attacco di una Lazio in piena rimonta; i bianconeri di Ancelotti faticano a causa del caldo e di un avversario in forma, con la testa libera e le gambe a mille: è la grande giornata di Fabrizio Cammarata che con un’altra doppietta (al 45′ e al 57′) stende la Juve, regala al Bentegodi una domenica da urlo, piazza alla squadra di Prandelli l’appellativo di “ammazzagrandi” e getta i bianconeri in una pericolosa condizione che li porterà a perdere clamorosamente lo scudetto all’ultima giornata. Il Verona chiude il campionato 1999-2000 con i pareggi di Reggio Calabria e fra le mura amiche contro la Roma in un 2-2 nel quale va ancora in rete Cammarata (capocannoniere della squadra con 9 centri) e che permette ai gialloblu di piazzarsi al nono posto finale con 43 punti, 7 in più rispetto alla zona retrocessione e col record di 15 risultati utili consecutivi dalla seconda all’ultima giornata di ritorno.
Cesare Prandelli si congeda da Verona pochi giorni dopo, consapevole che più di quanto fatto non si potesse ottenere da una piazza riconoscente ed affezionata a quel tecnico giovane e preparato che proprio all’ombra dell’Arena ha trovato il trampolino di lancio della sua carriera, giunta fino alla guida della Nazionale. Di quel Verona bello, solido e spensierato resta il ricordo di una squadra nata nello scetticismo ed arrivata a vette inattese, non certo lo scudetto dell’85 ma abbastanza per entrare nel cuore dell’intero popolo veronese e nell’olimpo delle grandi realtà calcistiche italiane.
di Marco Milan
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