Diego, ora sai perché batteva il corazòn
Il 25 novembre 2020 rimarrà per sempre scolpito nella mente degli sportivi perché sarà in eterno il giorno che si è portato via Diego Armando Maradona, così come il 1 maggio 1994 sarà per sempre legato alla scomparsa di Ayrton Senna, tanto per citare un altro mito della propria disciplina. Maradona, Senna, Coppi, Valentino Rossi, Michael Jordan non sono semplicemente stati i più grandi campioni dei loro rispettivi sport, ma sono leggende immortali, riconosciute ed acclamate anche da chi è poco appassionato.
Maradona non è stato un santo in vita e non sarebbe giusto santificarlo adesso, e in fondo non lo vorrebbe neanche lui che in una delle sue ultime dichiarazioni ha candidamente affermato: “Chissà che giocatore sarei stato senza la cocaina“. Già, che giocatore sarebbe stato? Non può dirlo nessuno, ma forse la grandezza calcistica dell’argentino è stata proprio questa, giocare per anni al 60, 70% delle sue possibilità, soprattutto di quelle fisiche. Anni in cui Maradona si è allenato poco e male, mostrando stomaco e fianchi con la stessa fierezza con cui oggi Cristiano Ronaldo sfoggia i suoi invidiabili addominali, senza che ciò gli abbia però impedito di essere il miglior calciatore nella storia del calcio. Vizi, stravizi e uno stile di vita troppo alternativo lo hanno comunque consacrato come il più grande di sempre, perché basso, tarchiato e grassottello riusciva lo stesso a correre, dribblare e calciare come nessun altro. C’è stato pure chi in campo glielo ha detto: Hugo Gatti, eccentrico portiere argentino, ha provato a sbeffeggiarlo durante un Boca Juniors-Argentinos Juniors del 1980: “Non mi farai gol, ciccione“. Maradona risponde: “Te ne faccio 4, vuoi vedere?“. Risultato? Quaterna del Pibe de Oro e tutti a casa. In molti non hanno apprezzato lo stile di vita dell’ex campione, forse lui stesso andando avanti con l’età non sarà stato fiero di alcune brutte amicizie a Napoli, dei figli seminati un po’ qua e un po’ là, del consumo di alcol e droga, di un’esistenza portata sempre all’eccesso. Ma se ciò fa passare in secondo piano le gesta artistiche del campione, allora perché leggere ancora i romanzi di Hemingway o di Edgar Allan Poe?
La morale c’entra poco col pallone, forse l’unica critica dopo la morte di Maradona l’hanno azzeccata gli inglesi che hanno chiesto dove fosse il VAR durante Argentina-Inghilterra dei mondiali del 1986 quando la Mano de Diòs ucellò Shilton prima che il mondo assistesse a quello che è stato considerato il gol del secolo. Forse è quella partita l’emblema di 60 anni di Diego Armando Maradona, come quando nelle musicassette c’era il lato A e il lato B: da una parte l’aspetto oscuro, dall’altra il fenomeno assoluto. Qualcuno si sta stranendo per la possibile intitolazione dello stadio San Paolo di Napoli all’argentino, parlando delle spalle voltate alla città dopo il 1991, dei guai col fisco. Il punto è sempre lo stesso: nessuno vuole dedicare a Maradona il Palazzo di Giustizia, ma semplicemente lo stadio, quello stesso impianto in cui trent’anni fa anche tanti moralisti odierni festeggiavano per le gesta del campione che con il suo stile di vita dissennato ha distrutto in primis sé stesso, chiudendo precocemente la carriera e pregiudicando quella post campo, negandosi la possibilità di essere un grande allenatore e di non dover ricorrere ad interventi chirurgici, bypass gastrici e cure mirate per tenere a bada un fisico strapazzato fino alle estreme conseguenze. Maradona è stato questo, andava preso o lasciato così, probabilmente gli è stato perdonato anche troppo (come ammesso anche da Ottavio Bianchi, allenatore del Napoli nell’anno del primo scudetto), specie fuori dal campo, ma poi quando aveva la palla fra i piedi cosa gli si poteva contestare? Calci, botte, spinte, a Maradona importava poco cosa escogitassero per fermarlo, tanto il più forte era lui ed il resto contava zero.
Diego Armando Maradona è morto il 25 novembre, come il suo amico Fidel Castro e come un altro genio ribelle del pallone quale George Best, uno che ha scialacquato soldi e fama per correre dietro alle belle donne e all’alcol, una parabola in fondo simile a quella di Maradona ma che nell’immaginario di tutti rimane più poetica: Best il bello e dannato che in fondo faceva divertire, Maradona il brutto e maleducato. Due stelle immense che brillano nel firmamento calcistico, entrambe vittime di un’esistenza portata troppo al di fuori dei binari e finita col deragliare prima del tempo. Ma se è vero che di ogni artista rimarranno per sempre le gesta a ricordarci di loro, basterà chiudere gli occhi per farci tornare in mente tutto ciò che conosciamo a memoria da decenni: dal palleggio con ballo ritmato durante il riscaldamento prima di Stoccarda-Napoli alla tripletta contro la Lazio nel 1985 con tre gol pescati dal nulla, dagli scudetti ai mondiali del 1986, dall’urlo rabbioso dopo il gol alla Grecia ad Usa ’94 alla scivolata in mezzo alle pozzanghere quando il commissario tecnico Maradona conduce la sua Argentina a Sudafrica 2010 dopo un’estenuante partita al cardiopalma contro il Perù. C’è tanto altro nella travagliata vita di Diego Armando Maradona, tanto di brutto, di controverso, di nocivo, nulla che possa essere preso da esempio per le nuove generazioni, nulla di giustificabile, senza però che ciò scalfisca la leggendaria carriera del più grande calciatore di tutti i tempi. E viceversa.
Maradona ha sempre diviso le platee, un po’ per colpe e un po’ per genio, come quando prima della semifinale di Italia ’90 a Napoli fra Italia ed Argentina provò a tirare dalla sua parte qualche tifoso partenopeo dicendo: “L’Italia si ricorda di Napoli soltanto adesso, penso che i napoletani veri sappiano per chi tifare“. E molti napoletani si ritrovarono a tifare non per l’Italia e neppure per l’Argentina, ma semplicemente per lui che con mezza dichiarazione era riuscito a mettere in crisi chi aveva già il tricolore dipinto sulle guance. Ma, al di là di come la si voglia pensare, Diego Armando Maradona è stato probabilmente l’interprete più iconico del calcio, l’unico ad unire intere generazioni di bambini che ancora oggi quando giocano a pallone sotto casa dicono al più bravo: “Ma chi sei, Maradona?”.
di Marco Milan