Amarcord: il grande inganno di Pellicanò a Caniggia
Può un calciatore essere ricordato più per episodi controversi in campo che per le proprie prodezze? Difficile ma possibile, per maggiori informazioni potete citofonare a casa di Giuseppe Pellicanò, portiere di lunga carriera fra la fine degli anni settanta e la metà dei novanta, protagonista di un aneddoto che ancora oggi fa scalpore.
Giuseppe Pellicanò nasce a Reggio Calabria il 24 marzo 1954 e di ruolo è un portiere. Assomiglia fisicamente a Ricky Albertosi, un po’ ne ricorda le movenze ed un po’ perché ha una lieve stempiatura e i baffetti, e poi perché la sua trafila inizia dal settore giovanile della Fiorentina, squadra che lo forma e poi lo presta in giro per la Toscana a farsi le ossa, prima alla Rondinella (la seconda squadra di Firenze), poi al Montecatini e poi all’Empoli. Nel 1981, Pellicanò fa tappa ad Arezzo, sempre in Toscana, ma stavolta mette radici perché con gli amaranto giocherà fino al 1985, prima in serie C1 e poi in B, conducendoli alla promozione fra i cadetti nel 1982. E proprio ad Arezzo, Pellicanò si prende le prime pagine dei giornali non per un rigore parato o per un’uscita decisiva al 90′, bensì per una prodezza tutt’altro che sportiva: il 9 dicembre 1984, infatti, mentre l’Arezzo sta perdendo 3-1 a Cagliari, il portiere si accorge che un avversario (Poli) sta soffocando dopo aver inavvertitamente inghiottito la gomma da masticare che si era appena cacciato in bocca. Pellicanò non aspetta neanche l’arrivo dei medici, si catapulta sul collega già mezzo cianotico mentre intanto il gioco prosegue e il Cagliari segna senza portiere avversario.
Pellicanò subisce gol dopo aver lasciato la porta sguarnita, ma salva la vita ad un altro uomo, gesto che gli vale un dono da parte della confraternita della Misericordia di Cortona (AR), la quale dipinge e regala al portiere un quadro raffigurante il bel gesto compiuto e che, peraltro, è stato pure criticato dall’ambiente aretino perché per colpa sua l’Arezzo ha preso gol. L’anno successivo, comunque, Pellicanò si trasferisce al Bari ed esordisce in serie A e dove rimane fino al 1988 quando lo richiama la Fiorentina per fare da vice e da chioccia al giovane e talentuoso Marco Landucci, oggi allenatore in seconda di Massimiliano Allegri. E così, il 26 febbraio 1989 ad Ascoli, Giuseppe Pellicanò, ormai trentacinquenne, riesce ad esordire con la maglia viola che in passato aveva indossato solamente per le foto ufficiali, senza mai debuttare in prima squadra. La sua carriera volge ormai al termine, l’estremo difensore calabrese è soddisfatto del ruolo che la Fiorentina gli ha riservato, sa che Landucci è destinato ad una brillante vita sportiva e gli dispensa dritte e consigli senza covare alcuna invidia o gelosia. Ma Pellicanò ha in serbo ancora un jolly per legare il suo nome alla leggenda e lo scopre domenica 14 maggio 1989.
In un pomeriggio caldissimo, infatti, si gioca Fiorentina-Verona, valida per la 28° giornata del campionato 88-89. Pellicanò è in campo a sostituire Landucci, il Verona ha segnato con Berthold dopo 8 minuti, la Fiorentina pareggia con Roberto Baggio ad inizio ripresa. Poi accade l’imponderabile: Claudio Caniggia, che gioca nel Verona ed è al suo primo anno in Italia, elude il fuorigioco e scatta dritto verso la porta viola trovandosi a tu per tu con Pellicanò che sa di essere in controtempo, è consapevole di non riuscire a fermare l’argentino, così si ferma di colpo e alza le braccia, poi sussurra all’attaccante: “Occhio che hanno fischiato fuorigioco, se tiri ti ammoniscono“. Caniggia ci casca, si ferma e non tira, cincischia, in realtà non c’è nessun fuorigioco, ma ormai ha perso l’attimo fuggente e l’azione è sfumata. E’ un inganno clamoroso, Pellicanò ha giocato il tutto per tutto, non proprio legalmente, ha usato il bluff da poker, ha scelto di rischiare e ha vinto. La partita finirà 1-1, nelle cronache l’episodio verrà citato marginalmente e si parlerà solo di grande opportunità sprecata dal Verona, mentre la verità verrà fuori solo in seguito.
Giuseppe Pellicanò lascerà la Fiorentina proprio nell’estate del 1989, tornerà ad Arezzo dove chiuderà la carriera nel 1995. A lui sono legati due ricordi particolari, nelle figurine era il classico dodicesimo, la riserva del portiere titolare, come Bodini della Juventus, Nuciari della Sampdoria, Di Fusco del Napoli e del Torino, Pinato del Milan e dell’Atalanta. Nel mito, però, restano quei guanti che salvano dal soffocamento un avversario e quei baffetti sogghignanti che ingannano una volpe come Claudio Caniggia. La celebrità, del resto, può arrivare anche nei modi più bizzarri.
di Marco Milan