Saviano scandalizza il web: “Vendere i beni confiscati alla mafia”

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di Emiliana De Santis

Botta e risposta. Normalmente qualcuno fa un’affermazione e qualcun altro la conferma o la smentisce. Lo scrittore Roberto Saviano, invece, ha fatto tutto da solo. Dopo aver scritto in un post sulla sua pagina Facebook: “I beni confiscati alla mafia vanno venduti subito. Non importa se la mafia li riacquista, lo Stato troverà il modo di sequestrarli di nuovo”, ne scrive un altro con cui tenta di rimediare alla gaffe in diretta social: “E’ urgente che questo Governo si occupi di mafie [..] come priorità economica. Bisogna aggredire il loro tesoro [..]” Numerosissime le critiche, soprattutto dai fan, che non hanno capito né digerito la proposta e in commenti al vetriolo hanno tolto il piedistallo sotto l’idolo del loro eroe.

LEGGE 109 DEL 1996. Metà degli anni ’90. Il coraggioso Don Luigi Ciotti raccoglie con la sua Libera Terra un milione di firme da presentare in Parlamento per la discussione di un testo di legge che preveda la confisca alla mafia di ville, terreni e industrie. Nasce nel 1996 la 109, creatura fragile e bellissima di un’architettura legislativa basata sul valore della persona. La sua non è una vita facile poiché non è facile in Italia giungere alla fine di un processo, provare le accuse e condannare i colpevoli. La sua storia è scritta con il sangue e con l’orgoglio di chi vuole rinascere, dimostrare che la mafia esiste ma non è una realtà contingente e inevitabile. Naturalmente osteggiata dai boss, poco gradita alla politica, nel corso degli anni ha subito diverse modifiche come l’emendamento che consente la vendita dei beni all’asta, approvato nonostante la straordinaria mobilitazione popolare. Integrazioni a volte positive quale è la possibilità di riutilizzare a fini sociali anche gli immobili sottoposti a ipoteca bancaria, che costituiscono poi una buona parte del totale. A passo di pinguino, uno in avanti e due indietro, sono nati l’Agenzia nazionale per i beni confiscati, con sede centrale a Reggio Calabria e il Codice Antimafia – controversa normativa di matrice pidiellina. Ultima l’iniziativa è del Presidente della Confindustria siciliana, Antonello Montante, per accelerare e concretizzare il riutilizzo dei beni confiscati.

TUTTI CONTRO SAVIANO. Tre anni or sono, lo scrittore aveva firmato un importante appello di Libera Terra contro la vendita dei beni confiscati proposta dagli ex ministri Roberto Maroni e  Giulio Tremonti. Ora sembra orientato verso tutt’altra idea, sposando la linea dell’attuale ministro degli Interni, Anna Maria Cancellieri. La questione non è tanto bizzarra, e potrebbe essere il segnale di una plausibile discesa in campo di Saviano, lanciata e smentita da più parti. Vendendo o mettendo all’asta un patrimonio che ammonta a 11.152 beni, esteso dalla Sicilia fino alla Lombardia, lo Stato incasserebbe una somma non trascurabile se valutata sul metro della crisi che attraversiamo. La critica riguarda pertanto la superficialità del post piuttosto che il post stesso: il nocciolo del problema è che, pur volendo organizzare un bando di gara o un procedura di appalto, nulla vieterebbe alla mafia di riacquistare il bene confiscato tramite un prestanome, annullando anni di indagini e prove acquisite. La risposta più severa alle parole di Saviano viene dal Presidente della Commissione per i beni confiscati della Regione Campania, Antonio Amato, che non usa mezzi termini: “Sui beni confiscati Saviano si sbaglia”. Le sue argomentazioni poggiano sul complesso iter necessario per sequestrare un bene e, in particolare, sull’utilità sociale degli stessi. In un’ottica di corto respiro, di fatti, possono anche risultare inefficienti ma nel più ampio quadro della lotta per la legalità, hanno un potenziale simbolico e sociale enorme. Le cooperative, i campi estivi, i centri di accoglienza e le piccole manifatture d’eccellenza sorte su queste sfortunate proprietà sono oggi il cuore di un progetto che mette al centro i giovani e la loro volontà di opporsi al fenomeno mafioso in posti dove questo fenomeno costituisce la triste normalità della vita che arranca e dello Stato che non esiste, coperto dal velo silente e compiacente del volto corrotto della politica. La 109 ha bisogno di modifiche e revisioni, non è a pieno regime e forse non lo sarà mai, manca spesso l’obiettivo e non utilizza la confisca in modo adeguato. Però è un passo in avanti in un paese dove fino alla metà degli anni ’80 non esisteva nemmeno il reato di associazione mafiosa.

Pio La Torre, Cesare Terranova, Gaetano Costa, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Una battaglia immensa, una guerra in corso. Come l’Imperatore di Kafka “[..] Gli uomini nobili e belli non si sottraggono alla lotta per paura dei malintesi, della freddezza e delle menzogne intellettuali e, pur sapendo già in partenza di non avere alcun potere, soccombono, ma sconfitti smascherano il vincitore”. Pensare prima di scrivere.

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