Goethe Institut: televisione, motore di integrazione europea anche in tempo di crisi
di Eloisa De Felice
Per chi facciamo TV? Come creare una televisione che sia di vero respiro europeo? Queste sono solo alcune delle hot questions che hanno animato il convegno dal titolo “TeleVISIONE|2” che si è svolto a Roma presso il Goethe Institut il 17 e il 18 novembre scorsi. E poi ancora: La TV può fare da tramite e da ponte tra culture? Come può aiutarle nel dialogare in modo non solo conoscitivo, ma anche costruttivo? Può rendersi motore d’integrazione intra ed extra comunitaria? Diverse le figure che si sono confrontate sul tema e in tavole rotonde: da giornalisti, di Rai 3 e Rai Education, animati dal desiderio di migliorare l’offerta di “Mamma Rai”, quali Markus Nikel e Bruna Bertani, ai produttori, fautori e creatori di programmi TV, di Sky e della TV tedesca, quali Beatrice Coletti e Gualtiero Zambonini e tanti altri, tra cui: Olaf Grunert e Davide Tosco.
Elke Schlote, dell’IZI, Istituto centrale per la tv educativa e per i ragazzi di Monaco, Germania, ha esposto all’uditorio alcuni recenti studi incentrati sul tema della “migrazione e diversità” e sulla “tv educativa”. Dai primi è apparso chiaro come la TV vada considerata un validissimo mezzo per rappresentare e presentare agli altri la diversità, la loro unicità e specialità culturale. Mentre in merito ai secondi, condotti sui bambini in età pre-scolare, ha evidenziato come le loro reazioni davanti alla TV possano essere estremamente positive e formative se gli viene presentata una realtà che non conoscono per nulla. Questi, così, si immedesimano nell’altro, che vedono nello schermo, traendone una esperienza per la loro stessa vita molto forte: capiscono che oltre alla loro realtà quotidiana ce ne sono molte altre, aprendo velocemente la mente e il cuore. In perfetto contrappunto, quindi, a quanti ritengono che, a priori, la TV fa sempre e solo male ai bambini, perché plagiante, questi nuovi studi sottolineano da un lato, certamente, ancora una volta, la potenza enorme di cui il media TV è portatore, ma dall’altro un aspetto forse non del tutto nuovo, ma quantomeno nuovo nella sua così chiara formulazione: quanta coscienza occorre nel realizzare i prodotti che vi vanno in onda, perché se realizzati a dovere possono essere qualcosa di estremamente positivo o meno per chi li fruisce, soprattutto, se in una fase di formazione della propria personalità e coscienza critica.
In un’ottica allargata, poi, che abbraccia tutto il pubblico della TV e non più solo i più piccoli, una grossa responsabilità, di imparzialità e veridicità, è emersa come chiave di lettura per una corretta interpretazione del lavoro dei giornalisti, mediatori della difficile attualità che viviamo. Ad esempio, quando si tratta un argomento di cronaca, quale un caso si stupro, questo va presentato come un atto disdicevole sempre e non in dipendenza alla nazionalità della vittima e dell’aggressore. Si pensi al caso dello stupro della Caffarella del febbraio 2009, che tanto fece parlare e scrivere su telegiornali e giornali, se confrontato alla violenza commessa da un italiano ai danni di una rumena meno di un anno prima, nel maggio 2008, quasi subito dimenticato. Uno stupro va raccontato all’opinione pubblica, perciò, non solo per il dovere di cronaca, che pure anima il lavoro giornalistico, ma anche come qualcosa di orribile sempre, perché lede la dignità dell’essere umano in quanto tale.
La TV, i servizi giornalistici e i programmi d’informazione, quindi, non possono e non devono farsi schiavi della politica e dei partiti, che hanno saputo o meno cavalcare il tema dell’immigrazione e dell’integrazione. Si pensi alla Lega Nord che della lotta all’immigrazione senza limiti ha fatto un suo cavallo di battaglia elettorale, si potrebbe dire, a reti unificate. Per non parlare del “silenzio stampa” e del distacco della Sinistra che appare quasi maldestramente distratta e lontana rispetto questi temi che, invece, le dovrebbero più propriamente e storicamente appartenere. La TV, quindi, non può e non deve sposare le contrastanti e momentanee necessità politiche, ma deve saper stare al passo con i bisogni delle persone. Così come dovrebbe saper cogliere il mutamento del modo di rapportarsi a certi temi anche, semplicemente, passando, ad esempio, da un titolo di un programma ad un altro più consono. “Un mondo a colori” diventa così “Crash”, esperienza giornalistica su Rai 3 presentata da Valeria Coiante.
Così, parlare, discutere, confrontarsi “con” e non “di”, sembrano gli impegni che la TV intende assumersi a livelli europeo, per crescere insieme e affrontare la crisi, economica e sociale, che imperversa. L’aspetto plurilinguistico, poi, che la TV può offrire ai suoi target, tramite, ad esempio, i sottotitoli, veramente poco diffusi in Italia, sono un modo per raggiungere un pubblico crescente di utenti stranieri che vivono e lavorano nel Bel Paese. Si tratta per noi e per loro di un’opportunità da percorrere e da sfruttare al meglio.
La TV, quindi, come spazio dove far circolare in modo positivo e propositivo qualcosa che vada oltre le cosiddette soft news, qualcosa che ci aiuti, tutti, a creare una vera opinione che possa dirsi personale per, poi, diventare pubblica e condivisa.
Well done Eloisa. I really enjoyed reading your article.