LONDRA 2012 – Atleti olimpici indipendenti: i senza nazione alle Olimpiadi
di Cristiano Checchi
Sono scesi sulla pista dello stadio Olimpico di Londra, con uno spirito diverso dagli altri. Ci hanno fatto divertire perché nei loro occhi si leggeva la gioia di essere lì, contro ogni ostacolo, con la felicità di vivere un momento che ogni atleta vorrebbe vivere almeno una volta nella vita. Sono scesi in pista non avendo una bandiera da portare, non avendo, solo sulla carta, nessuno da rappresentare, l’hanno fatto con la forza di gridare “ci siamo anche noi”. Le possibilità di vincere una medaglia sono pochissime, quasi nulle, ma anche solo l’esser stati presenti vale forse quanto una medaglia.
Chi sono – Liemarvin Bonevacia nell’atletica (400m), il judoka Reginald de Windt, la velista Philipine van Aanholt e il maratoneta Guon Marial partecipano a queste Olimpiadi sotto la bandiera del CIO (Comitato Olimpico Internazionale). Non è la prima volta che succede nella storia, accadde già nel 1992 a Barcellona con gli atleti dell’ex Jugoslavia e nel 2000, a Sidney, con quelli di Timor Est. I primi tre sono atleti dell’isola di Curaçao, ma concorrono come indipendenti in seguito alla dissoluzione del comitato olimpico delle Antille Olandesi. La burocrazia gli stava per impedire di vivere il sogno olimpico, ma la loro protesta, aiutata dai precedenti storici già citati gli ha permesso di esserci. E quella sfilata se la sono goduta, hanno divertito il pubblico con balli, canti e finte partenze di una finta gara di velocità. Esserci rappresentava per loro una vittoria. Sono Independent Olympic atlete, atleti olimpici indipendenti, indipendenti da tutto e tutti, dipendenti solo dalla voglia di vivere lo sport e di vivere le loro Olimpiadi.
Guan Marial – Diversa, e più traumatica, è la storia del maratoneta Marial. Lui alla cerimonia non c’era, ci sarà però all’atto conclusivo il 12 agosto, giorno della maratona. Anche per lui la speranza della medaglia è minima, ma la sua storia è senza dubbio uno delle storie olimpiche più belle. Se per gli atleti delle Antille il problema è stato non avere più un paese rappresentato, quello di Marial è di avere un paese, quello del Sud Sudan, ancora troppo giovane. Il Sud Sudan è indipendente dal Sudan, grazie alle elezioni di un anno fa, ma senza un comitato olimpico i giochi per Marial rischiavano di restare un miraggio. La possibilità era quella di gareggiare sotto la bandiera del Sudan. Ma l’ipotesi, Marial, non l’ha neanche presa in considerazione. Costretto a scappare dal suo paese quando aveva solo 8 anni, ha perso quasi tutta la sua famiglia per una guerra durata 39 anni. È cresciuto in America, e ottenuto il tempo per andare a Londra, ma senza nazionalità statunitense, ha declinato così l’invito a gareggiare per il Sudan: “Ho perso la mia famiglia, i miei parenti, e due milioni di persone sono morte in Sud Sudan. Per me rappresentare il Sudan come se nulla fosse sarebbe prima di tutto un tradimento, oltre che una mancanza di rispetto per la mia gente che è morta per la libertà”. Alla fine tutto si è sistemato dopo 9 mesi d’attesa è arrivato l’ok del CIO a gareggiare come atleta indipendente, sognando magari di entrare il 12 agosto per primo in quello stadio dove l’altra sera, nella cerimonia d’apertura, lui non c’era.
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