Un’associazione e il suo sogno: realizzare una casa famiglia per il Dopo di Noi

0 0
Read Time3 Minute, 50 Second

di Sabrina Ferri

Quali genitori riuscirebbero a vivere serenamente sapendo che, un domani, suo figlio potrebbe trovarsi in difficoltà? Nessuno. Eppure molti di loro, nonostante la paura, l’incertezza, il dolore, riescono ancora a sorridere. Lo devono fare per quei figli che la società ha etichettato come disabili, devono sforzarsi di essere la roccaforte di quei bambini, ragazzi e poi adulti che la vita ha concepito come “diversi”. Basta guardarsi attorno, basta saper ascoltare per accorgersi di quanti padri e madri costituiscano lo specchio dei propri figli disabili. Sono i familiari a prendersene cura, sono loro spesso ad assisterli nei bisogni e nelle attività quotidiane. Ma cosa accade quando il genitore viene a mancare? Il “dopo di noi”, il futuro di disabili fisici e mentali dopo la morte dei genitori, diventa lo spauracchio più grande. Emerge così il timore di un futuro incerto, il terrore che, un giorno, il proprio figlio possa restare solo, abbandonato a se stesso.  

Quello del “dopo di noi”, in Italia, è un tema ricorrente, anche se non tutti sono a conoscenza della sua importanza. Il problema di cosa ne sia dei disabili dopo la morte dei genitori si impone all’attenzione delle istituzioni soltanto alla fine degli anni ’90 con la l. 162/1998 la quale avanza un primo cenno ai servizi per disabili gravi che rimangono privi del sostegno familiare. Ma è la finanziaria del 2001 a stanziare finanziamenti per supportare un programma di interventi, svolto da associazioni del volontariato e del non profit, per la cura e l’assistenza di questi soggetti.  

Tuttavia, ad oggi, nonostante la proposta di legge presentata da Livia Turco, per lo stanziamento di un fondo da 150 milioni di euro prelevato del tutto dal “tesoretto” dei giochi d’azzardo e volto all’assistenza dei disabili dopo la morte dei genitori, sia stata approvata, dopo uno stop di oltre un anno, in Commissione Affari Sociali, la questione del “dopo di noi” resta ancora un problema aperto. Le case famiglia per l’accoglienza di ragazzi con deficit fisici e mentali scarseggiano e, il più delle volte, giovani e adulti non autosufficienti vengono inseriti in grandi strutture socio-assistenziali per anziani. Inoltre, come se non bastasse, da mesi ormai il dibattito politico sul tema sembra essersi affievolito.  

Per contro non bisogna, ad ogni modo, dimenticare l’impegno di molte associazioni che, nel loro piccolo, hanno trovato un senso nel “dopo di noi”. C’è chi ha costruito della case famiglia, c’è chi, giorno dopo giorno, ha permesso a tanti disabili di ritornare alla vita.  

La Casa di Pulcinella Claudio de Santis  è una di queste realtà, un’associazione di volontariato, nata a Roma nel 1998 come O.N.L.U.S., dove da anni uomini e donne si confrontano con la “diversità” intesa come ricchezza sociale e come ulteriore punto di vista da cui vedere e capire il mondo. Oltre 50 volontari si occupano di organizzare pomeriggi di giochi, attività scolastiche, attività manuali, laboratori teatrali e gite con l’obiettivo di promuovere l’integrazione, abbattere le barriere dell’indifferenza e del pregiudizio nei confronti dei portatori di handicap, promuovere la possibilità di una vita indipendente ed autogestita per i disabili tramite la costituzione e la gestione di case alloggio, con il progetto  il dopo di Noi durante Noi .  

Perché La Casa di Pulcinella ha un sogno: realizzare il dopo di Noi, durante il Noi ovvero dar vita ad una casa famiglia per i disabili rimasti soli. Il presidente dell’associazione, Aziz Soussi, sostiene che, a tal proposito, quest’anno è stato «attivato un corso di formazione per i volontari che si propone di fornire strumenti operativi per definire una strategia che tenga conto in modo specifico delle caratteristiche della nostra  organizzazione e del suo ambiente di riferimento al fine di poter realizzare il progetto  Il dopo di Noi, Durante Noi, ossia una casa famiglia per i nostri amici disabili».  

In quest’ottica il trust, con il quale è possibile destinare un patrimonio in favore di un soggetto incapace di gestirlo in prima persona e che è gestito da un “trustee”, una persona (ma anche un’associazione o un ente) che amministra i beni nell’interesse esclusivo del soggetto debole, si rivela « strumento in grado di soddisfare pienamente questa nostra esigenza». Conclude Aziz Soussi che proprio questo strumento permetterebbe di «fissare regole onde poter programmare la successione a favore del proprio congiunto affinché sia destinato ed impiegato un certo patrimonio nel suo esclusivo interesse; assicurare al proprio figlio una continuità di affetti e relazioni sociali,  realizzare per il proprio figlio disabile un progetto di vita completo e coerente con le proprie aspettative, e prevedere, in considerazione della finalità di questo tipo di trust, agevolazioni fiscali».

 

 

 

Happy
Happy
0 %
Sad
Sad
0 %
Excited
Excited
0 %
Sleppy
Sleppy
0 %
Angry
Angry
0 %
Surprise
Surprise
0 %

Average Rating

5 Star
0%
4 Star
0%
3 Star
0%
2 Star
0%
1 Star
0%

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *