Roma, “Indian Highway”: l’arte contemporanea in mostra al Maxxi

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di  Laura Guadalupi

Corridoio stretto tra pareti alte, labirintiche. Suoni indecifrabili. In lontananza, oltre la curva, qualcosa brilla. Lo spazio espositivo è permeato dal forte odore d’incenso, costante olfattiva del viaggio nell’Indian Highway, la rassegna sull’arte indiana contemporanea in mostra fino al 29 gennaio 2012 al museo Maxxi di Roma.

La visita è un’immersione nell’India di oggi attraverso gli occhi, le orecchie e le narici di alcuni dei suoi artisti più rappresentativi, che al pubblico offrono installazioni acustiche e video, sculture, disegni, fotografie. Indian Highway non è solo metafora di viaggio, è essa stessa un viaggio. Si tratta infatti di un’esposizione itinerante che è partita nel 2009 dalla Serpentine Gallery di Londra e si concluderà nel 2013 a Nuova Delhi. In ogni tappa la mostra si rimodella con opere pensate apposta per l’occasione. Al Maxxi si contano 30 artisti e 60 opere, tra cui 4 installazioni site specific ideate per il museo romano.

A bordo di un’ipotetica jeep in corsa su questa autostrada indiana, i paesaggi che incontriamo raccontano dello sviluppo tecnologico e del boom economico che la terra di Gandhi ha vissuto a partire dagli anni Novanta. Le opere lungo il percorso ci parlano dell’abbandono delle periferie per le città (sezione “Metropoli Deflagranti”), ma anche di temi come la guerra tra India e Pakistan, le lotte religiose, il senso di labilità dei confini nazionali (sezione “Identità e Storie dell’India”). La mostra si pone come punto d’incontro tra Oriente e Occidente, tra cultura tradizionale e contemporanea. Quest’ultimo legame è evidente in particolare nella sezione “Tradizione Contemporanea”, in cui vengono rielaborate le antiche forme espressive della cultura indiana quali miniature e ceramica.

I rapidi cambiamenti economici, sociali e culturali dell’ultimo ventennio hanno portato l’India ad assumere una centralità crescente anche sul piano artistico. L’arte è testimone estetica dello sviluppo della regione asiatica e, spesso, grande accusatrice delle storture connesse a un progresso tanto accelerato.

In Recupero bagagli di Jitish Kallat l’effetto bidimensionale creato dalle figure in primo piano sullo sfondo chiaro ricorda i cartelloni pubblicitari delle nostre città, con la differenza che qui non si pubblicizza un prodotto, ma si denunciano povertà e disuguaglianza. Protagoniste sono le fasce più deboli della popolazione: senzatetto, migranti, venditori ambulanti diventano emblema delle contraddizioni insite nelle megalopoli indiane schiacciate dal consumismo.

Proseguendo più avanti lungo lo stretto corridoio, la nostra jeep è attratta dallo scintillio intravisto all’inizio, che può essere ora messo a fuoco. Si tratta di Togliti le scarpe e lavati le mani, un’imponente struttura lunga 27 metri con stoviglie, bicchieri, pentole in acciaio inox, ovvero utensili da cucina che per l’artista Subodh Gupta alludono al pranzo degli operai e simboleggiano un’India dove il passato contadino convive con le aspirazioni dell’emergente middle class proiettata al futuro.

D’acciaio è anche l’opera di Valay Shende, Transito, un camion a grandezza naturale carico di operai nel tragitto quotidiano verso il cantiere di lavoro. Gli sguardi persi nel vuoto degli uomini stridono con le immagini di ricche metropoli contemporanee trasmesse dagli specchietti retrovisori del camion. I loro occhi fissi raccontano in silenzio il lato oscuro della caotica espansione urbana del paese. Sviluppo ipertrofico che viene denunciato anche da Hema Upadhyay e dal suo 8 Feet x 12 Feet, una stanza sovraffollata di case e palazzi in miniatura realizzati con oggetti di recupero come pezzi di automobili e fogli di alluminio. Come l’acciaio e l’alluminio, torna il color argento a illuminare i tetti delle piccole abitazioni, lucenti come le lamiere delle bidonville.

Sempre in alluminio sono i barattoli dove gli impiegati conservano i pasti preparati in casa. Bose Krishnamachari li utilizza in Fantasma/transmemoria per posizionare al loro interno degli schermi con interviste agli abitanti di Mumbai, mentre apposite cuffie permettono di ascoltarne le voci intrecciarsi al caos metropolitano di sottofondo.

Il cammino del simbolico viaggio on the road per l’autostrada indiana lascia l’argento di città globalizzate e prosegue lungo i sentieri della storia e della tradizione contemporanea. Qui altri materiali, altri colori e altre forme cattureranno l’attenzione del viaggiatore, al quale non sveleremo ulteriori dettagli per non spegnere la voglia di partire.

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