La Champions League in pillole. Ecco le quattro che fanno sognare l’Europa

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di Cristiano Checchi 

CHAMPIONSLa due giorni di Champions è finita, tutto è scritto, tutto è pronto per la prossima portata. Le semifinali sono servite, le magnifiche quattro d’Europa, Chelsea, Real Madrid, Atletico Madrid e Bayern Monaco, pronte a darsi battaglia per prendersi la finale di Lisbona. Ma è presto per pensare al prossimo atto, c’è ancora un po’ di tempo per soffermarsi su quello che è stato.

Smoking bianco contro tuta da operaio, gioco di fino contro grinta e furore atletico. Appunto, l’Atletico, da sempre costretto a subire trionfi dell’altra parte di Madrid. La storia è cambiata e contro i “nemici” catalani del Barca neanche tre legni hanno fermato i colchoneros. Il gol di Koke è bastato per raggiungere la semifinale dopo 40, lunghissimi, anni d’attesa. Basterebbe questo per scrivere un libro. Però, a proposito di semifinali e guardando un attimo a casa nostra, questa sera la Juventus scenderà in campo per giocarsi l’accesso in quella di Europa League. Diego e Tiago Mendes, invece, giocheranno la semifinale di Champions League, uno strano scherzo del destino che vede l’Atletico far sognare anche grazie a chi in Italia ha fatto più che altro disperare tifosi e dirigenza per soldi spesi. Diego non è titolare ma quel gol al Camp Nou basterà ai tifosi biancorossi per molti anni, a Torino lo ricordano per una doppietta alla Roma e un rigore sparato al cielo in quel di Bari. Tiago, invece, è uscito dalla sfida contro Xavi-Iniesta-Bousquet (Europeo-Mondiale-Europeo) con la palma di uno dei migliori in campo, mentre in Italia è uscito quasi sempre subissato dai fischi e poco conta il tunnel subito da Neymar, non è stato il primo e non sarà l’ultimo. Una beffa, un destino bizzarro che lega Italia e questa Champions League. Non è il caso di Mourinho e Ancelotti, loro in Italia hanno avuto la gloria cercata, mentre chissà se Diego Pablo Simeone tornerà su una panchina italiana. Era il 2011, in cinque mesi di campionato salvò il Catania con tanto di record di punti. Alla fine fu rescissione consensuale, tanti saluti all’Italia, che non gli risparmiò critiche per un gioco non esaltante, ma che quell’estate accoglieva a braccia aperte Luis Enrique. Il Barca, dal canto suo, nonostante più di 600 passaggi riusciti, ha mancato l’appuntamento dopo sei semifinali di fila, il fioretto si è definitivamente piegato alla spada. Dicevano si allenasse da sola questa squadra, ma forse proprio così non è stato. Dopo l’esperienza di Tito Vilanova, condita comunque da tanti problemi (dovuti anche alla malattia dello sfortunato allenatore) quest’anno il Tata Martino si ritrova appeso a un filo: finale da giocare e corsa a tre da vincere in Liga, insomma o tutto o niente, con la Champions comunque sul piatto delle valutazioni finali. Lo scorso anno l’uscita dalla Coppa fu più traumatica, è vero, il Bayern annientò sotto una valanga di gol la corazzata blaugrana, ma paradossalmente quella di ieri sera apre maggiori interrogativi sul futuro. Quel futuro che invece è rimasto roseo per chi il giocattolo Barcellona l’aveva costruito. Il Bayern di Pep Guardiola non è un piccolo Barcellona, come in tanti temevano, l’impronta è simile ma questa squadra è in grado di vincere anche con i gol dell’ariete d’area di rigore (che al Camp Nou non vedono dai tempi di Ibra e che lo stesso Pep ha pericolosamente espiantato dal DNA del Barcellona). Mandzukic, decisivo sia all’andata sia al ritorno, ha ridato serenità dopo il gol di Evra, prima dei soliti gol di Muller e Robben. Quello che impressiona però di questa squadra è la fame di vittorie, mai sazia nonostante tutto quello vinto lo scorso anno e quanto già vinto fino ad ora. In tanti  non hanno visto di buon occhio il cambio di rotta, a questo punto però questo Bayern parte ancora un gradino sopra tutte le altre, alla fine potrà anche non vincere ma la strada per il futuro non sembra ricca di ostacoli. Di più di quanto fatto, invece, il “povero” Manchester United proprio non poteva fare. Il gol di Evra sembrava dare il via a un miracolo però troppo difficile da compiersi, e così nella nottata l’hashtag #outmoyes è tornato di nuovo caldissimo, infiammato dalla delusione dei tifosi. Impossibile riuscire a sostituire come se nulla fosse un certo Sir Alex Ferguson, il tifoso non può dimenticare quanto compiuto dal manager scozzese, forse però dovrebbe ricordare anche i sette anni senza trofei trascorsi con Sir Alex in panchina, ma il calcio non ha memoria storica e per Moyes probabilmente non se ne aspetteranno nemmeno due.

Basterebbe il mercoledì di Champions per scrivere infinite storie di calcio, ma fortuna vuole che si siano giocati soltanto i quarti e così martedì sera era stato il turno delle altre due conoscenze del nostro calcio (che fa da spettatore ma che almeno può vantare amicizie di lusso) farsi valere. È tornato il Chelsea, di nuovo tra le prime quattro d’Europa ed è tornato ovviamente lui, Josè Mourinho, perennemente tra i quattro allenatori d’Europa. È tornata la sua corsa a braccia aperte, che tutte le altre volte ha significato vittoria. Era il 2004, negli ottavi di finale il gol di Costinha su errore di Howard diede il via al mito: il Porto pareggia all’ultimo secondo mandando a casa il Manchester United andando poi a vincere la Champions. Stessa corsa ripetuta nel gelo di Kiev, dove l’Inter ribaltò una partita che altrimenti l’avrebbe mandata fuori dal girone, ma non poteva accadere, quello doveva essere l’anno del triplete. E adesso? Adesso ci risiamo, è di nuovo il suo momento, il gol di Demba Ba a ribaltare il 3-1 incassato al Parco dei Principi vale l’ennesima corsa sfrenata, l’ennesimo sorriso beffardo contro chi troppo presto aveva esultato per un’eliminazione non ancora scritta. Le sue mosse, fortunate o no (come ammesso in un rarissimo momento di umiltà, chissà se poi pensato realmente), lo hanno ripagato. Prima Schürrle, poi il senegalese hanno fatto tornare lo special one il personaggio di una volta, lontano da quello depresso e accerchiato visto a Madrid. Il Chelsea non parte favorito ma gli stimoli e uno così in panchina fanno molto e chissà che il destino, rappresentato dall’urna di Nyon, non voglia regalarci un incontro che sarebbe da brividi. Chissà, infatti, come tornerebbe Mourinho al Bernabeu, con quale grinta e cattiveria preparerebbe la sfida, dopo lo show fatto il giorno del suo ritorno al Camp Nou forse a Madrid non hanno tutta questa voglia di scoprirlo. Proprio il Real Madrid è quindi la quarta del reame, la quarta delle più forti che è di nuovo pronta a giocarsi una semifinale con quell’ossessione della decima che difficilmente lascerà tranquilli Ronaldo e compagni. Tra tutte era quella con il ritorno sulla carta più facile, la voglia di rivincita con il Dortmund avrebbe dovuto spingere le merengues a vendicare, dopo averne già fatti tre in casa, i quattro gol incassati lo scorso anno. Alla fine rivincita è stata, ma con il brivido. I coraggiosi e, nonostante la sconfitta, tremendamente belli, ragazzi di Klopp hanno dato vita a una serata da sogno risvegliata soltanto dai guantoni di Iker Casillas (resta sempre più un mistero la folle alternanza in campionato). Ancellotti è tornato quindi a casa con un mesto 2-0 che comunque gli è bastato per evitare di dover consegnare la sua panchina anzitempo. Si pensava di poter assistere a un Real diverso, invece no, quella fragilità palesata lo scorso anno nei momenti decisivi è tornata a far tremare Florentino Perez, intenzionato a riportare quella Coppa che manca dal 2002. I blancos sono i favoriti insieme al Bayern Monaco, ma tanto, se non tutto, dipenderà dallo stato di forma di Cr7. Anche le grandi squadre hanno quindi quel piccolo grande problema di dipendenza, non è stato così per i cugini dell’Atletico, vittoriosi senza Diego Costa e Arda Turan… che valga di nuovo la regola che alla fine a esultare è sempre chi elimina il Barcellona?

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