Una città sull’acqua: Hammarby, la realtà ecosostenibile di Stoccolma
di Sabrina Innocenti
Sempre più attenzione è riservata oggi alle tematiche dell’eco-sostenibilità, dell’emissione zero e del risparmio energetico, in ogni campo dello sviluppo tecnologico. C’è però in Europa una città che di questa politica ne ha fatto uno stile di vita: Stoccolma. La capitale svedese è, infatti, la punta di diamante per quanto concerne la tutela dell’ambiente e non a caso è stata insignita nel 2010 del titolo di European Green Capital. Non sorprende quindi trovare proprio in questa città uno dei quartieri più all’avanguardia per le tematiche dell’eco-sostenibilità.
Hammarby Sjöstad– Quella che oggi è divenuta un’autentica città verde sull’acqua era in precedenza adibita a zona produttiva. La svolta è segnata da due eventi: il primo passo per la realizzazione del nuovo quartiere ecologico si verifica nel 1990, quando l’area viene definita dal Piano Regolatore zona di recupero ed espansione residenziale, il secondo input nasce dalla candidatura della capitale per le Olimpiadi del 2004. La possibilità di ospitare le Olimpiadi passa, ma il progetto per Hammarby non si ferma: nel 1995/’96 inizia la pianificazione e nel 1997 vengono avviati i lavori, che vedranno la conclusione definitiva nel 2013.
Il modello Hammarby – Hammarby nasce con l’obiettivo di ridurre di almeno il 50% l’impatto ambientale registrato negli anni ’90. Le principali azioni che vengono poste in atto sono quelle volte alla riduzione del traffico veicolare privato, tramite un sistema efficiente di bus e tram, che non solo riducono il carico di inquinanti provocati dal mezzo su gomma, ma, essendo alimentati da biofuel, sono a loro volta dei mezzi ecologici. Oltre al servizio di trasporto pubblico viene realizzato un servizio di car sharing, che incoraggia gli abitanti del quartiere a lasciare parcheggiato il proprio mezzo, parcheggi tra l’altro realizzati in quantità insufficiente, in confronto al gran numero di parcheggi per bici posti all’interno delle corti degli edifici.
Sin dall’inizio dei lavori, inoltre, le compagnie erogatrici dei servizi a rete vengono subito coinvolte nel progetto per raggiungere gli standard prefissati. Ed è forse proprio qui che si riscontra una delle grandi novità che hanno caratterizzato il successo di quest’isola verde. Il quartiere viene pensato come un modello a ciclo chiuso di tutte le risorse. Nulla nel quartiere viene sprecato, ma tutto trova una sua forma di riuso. Viene riutilizzata l’acqua così come i rifiuti solidi. La prima, uscendo dagli edifici, viene indirizzate a una centrale di trattamento che ne ricava biogas, per le cucine o i veicoli usati per il trasporto locale, componenti organici per fertilizzare il terreno o produrre energia termica, acqua pulita riscaldata che viene rimessa negli impianti di teleriscaldamento. Il trattamento e la raccolta degli RSU sono assolutamente innovativi. La raccolta viene effettuata tramite tubazioni pneumatiche interrate che collegano gli edifici ai centri di smaltimento (vedi foto). Lungo le strade o all’ingresso degli edifici si possono notare questi particolari raccoglitori, che separano a monte il tipo di rifiuto e lo indirizzano agli impianti di riciclaggio, se ne è possibile un riuso, oppure viene utilizzato per produrre energia termica ed elettrica per il quartiere o per realizzare fertilizzanti biologici per coltivazioni no food.
Tutti gli edifici sono provvisti di pannelli solari e tetti giardino, utilizzati per il trattamento dell’acqua piovana, insieme ai canali che percorrono il quartiere, a funzione sia estetica che biologica. Anche gli edifici sono stati realizzati con materiali sostenibili, quali vetro, legno, metallo e pietra.
Svezia vs Italia – Com’è stato possibile realizzare una simile realtà? Perché ai nostri occhi risulta un’impresa ai limiti della fantascienza? Il segreto del successo di Hammarby è stata sicuramente la forte regia pubblica che sottendeva l’intervento, con poteri concreti e azione costante nel tempo, così come la grande interrelazione tra mezzi pubblici e privati. Ed è proprio questo, probabilmente, il nodo dolente per l’Italia. L’edilizia pubblica è in crisi da tempo e difficilmente si riuscirebbero a trovare i fondi per realizzare qualcosa di simile, inoltre una vera e propria collaborazione tra pubblico e privato, come quella che in molti stati europei ha ormai preso piede, è per il momento lontana. Sorgono qua e là nelle nostre città nuovi edifici a impatto zero, qualche realtà ecosostenibile anche qui è presente, come l’intervento nelle aree ex-Falck a Milano, ma lo standard svedese, vuoi per motivi economici, vuoi per ragioni culturali, sembra ancora troppo lontano.