Scuola più breve e tecnologica. L’auspicato lascito di Profumo
di Emiliana De Santis
È tempo di bilanci, anzi, di comandamenti. Dieci per l’esattezza, come quelli indicati dal Ministro Profumo nell’Atto di Indirizzo 2013, il suo testamento lavorativo, lasciato in eredità a chi prenderà il delicato ufficio di amministrare la formazione in un momento in cui l’Italia ne ha bisogno più che mai. Proseguire sulla strada dell’innovazione, tecnologica in particolare, definire un sistema di valutazione nazionale e parificare i nostri titoli con il resto dell’Europa. Ma soprattutto ridurre da cinque a quattro gli anni di scuola secondaria superiore, come proposto tempo fa da Berlinguer.
Profumo ha sottolineato la necessità di “adeguare la durata dei percorsi di istruzione agli standard europei” ovvero “superare la maggior durata del corso di studi in Italia procedendo alla relativa riduzione di un anno”. Perché diminuire non significa necessariamente sacrificare né abbassare il livello culturale dei nostri ragazzi, che non brillano certo per preparazione di fronte ai colleghi comunitari. Un efficace ripensamento dell’intero sistema scolastico, unito alla razionalizzazione dei tempi, potrebbe anzi essere volano di modernizzazione e quantomeno metterebbe gli studenti italiani sullo stesso piano dei concorrenti continentali che si approcciano al mercato del lavoro molto prima – e quindi anche con maggior coraggio e prospettive – di quanto non accada da noi. Il tutto per liberare inoltre “risorse disponibili per il miglioramento della qualità e della quantità dell’offerta formativa, ampliando anche i servizi di istruzione e formazione”. Spazio dunque alla specializzazione già dalla scuola secondaria, alla formazione tecnica e alla connessione con il mondo produttivo, italiano ed europeo.
Eppure il ministro ha tenuto a sottolineare che questo intervento, pur importantissimo, non è il solo obiettivo verso cui il suo successore dovrà tendere. Gli servirà certo un mandato solido, duraturo, forse anche più coraggioso: è questa la vera utopia. I nodi principali riguardano lo svecchiamento sia delle strutture sia del corpo docente, con una potente opera di riqualificazione professionale e strutturazione dei concorsi di accesso, la prosecuzione delle riforme in campo digitale, di cui il plico telematico per le tracce della maturità,le lavagne interattive e le iscrizioni on-line sono stati solo un accenno. E poi ampliare il programma Erasmus, incoraggiando la mobilità, promuovere il merito nell’assegnazione delle borse di studio ed aumentare il ricorso ai prestiti d’onore, completare l’attuazione del sistema nazionale di valutazione. In tal senso va vista l’approvazione del Regolamento che istituisce e disciplina il Sistema Nazionale di Valutazione delle scuole pubbliche e delle istituzioni formative accreditate dalle Regioni. L’Italia si è allineata così agli altri Paesi Europei sul versante della valutazione dei sistemi formativi pubblici, rispondendo agli impegni assunti nel 2011 con l’Unione europea, in vista della programmazione dei fondi strutturali 2014/2020.
Ed ancora combattere la dispersione scolastica, sostenendo il recupero delle aree scolastiche più compromesse con l’obiettivo di abbattere fino a 10 punti percentuali il tasso di early school leavers, drammatico in regioni come la Campania, la diffusione della lingua inglese e la standardizzazione delle qualifiche. Insomma un percorso non facile, reso arduo dalla recessione e dalla mancanza di fondi, ma soprattutto dalla scarsa attenzione che la politica dei grandi annunci pone alle giovani generazioni e al futuro che per loro rischia di non arrivare mai.