L’Ilva, Taranto e le menti annebbiate dei tarantini

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di Pierfrancesco Demilito

Se non avessi conosciuto Paola D’Andria, la presidente della sezione Ail di Taranto, la mattinata trascorsa ieri in Piazza Montecitorio tra i tarantini, giunti nella Capitale in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale sulla legge Salva Ilva, sarebbe stata difficile da digerire. Lo dico da tarantino e senza peli sulla lingua.

Non mi aspettavo di trovare in piazza una moltitudine, ma l’impatto è stato comunque desolante. Ad occhio sembrano una cinquantina, non di più, chiacchierando un po’ apprendo che non sono riusciti a riempire neanche un autobus granturismo, da Taranto sono partiti in 46. Per carità, onore a loro, ma purtroppo fa più rumore l’assenza di tanti che la loro presenza. Una delegazione così misera numericamente, giunta in rappresentanza di una città con poco meno di duecentomila abitanti, evidenzia un disinteresse diffuso tra i cittadini o perlomeno un certo disimpegno. A Roma non c’erano neanche Alessandro Marescotti e Fabio Matacchiera, volti ormai simbolo della protesta ambientalista tarantina. Alcuni manifestanti mi dicono che il primo è assente per poter raccontare la giornata di protesta e le decisioni della Corte su Facebook (da Taranto). Su Matacchiera meno notizie, ma parrebbe afono, non sarà uveite ma anche i cali di voce non scherzano.

Ma il dramma non sono certo le assenze eccellenti. La cosa che mi è apparsa drammatica è la percezione, alquanto diffusa in quella piazza, che le assenze non facessero rumore e che i numeri avessero poco valore. E in tanti mi sbattevano in faccia l’alta partecipazione della manifestazione tenutasi a Taranto la domenica precedente. Erano cinquemila. Qualche mese fa avevano sfilato in ventimila, ma neanche questo numero mi fa effetto. Purtroppo ho buona memoria e ricordo una partita di calcio del Campionato Nazionale Dilettanti, giocata a Taranto nel 2000: la squadra jonica incontrava il Rutigliano e allo stadio erano in 25.000. Il ricordo di quella partita mi conferma che la cittadinanza ha altre priorità.

Forse ha ragione Paola D’Andria quando dice che “i fumi dell’Ilva in questi anni hanno annebbiato le menti”. Averla incontrata ha contribuito a farmi sentire meno alieno in mezzo ai miei concittadini. Anche lei, come me, aveva notato il disimpegno della città e la cosa la preoccupava, eccome. Nei suoi occhi ho trovato la forza di chi combatte da una vita, da prima di tanti altri, ma anche una triste venatura di rassegnazione. Una venatura che si è quasi accentuata quando le ho chiesto del prossimo referendum consultivo che attende la città. Lo sa bene che quella consultazione rischia di diventare il suicidio di una battaglia.

Il quorum è lontanissimo, dovrebbero votare almeno 80.000 persone e i numeri delle scorse manifestazioni tarantine non lasciano buone speranze. Il 14 aprile prossimo l’affluenza alle urne potrebbe palesare la spaccatura della città. E dal giorno dopo sarebbe ancora più difficile richiedere sulla vicenda un’attenzione nazionale. Quella tarantina stenta ancora a diventare una vicenda cittadina.

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