Basket. Sassari e la storia di uno storico scudetto
Nel basket, ed in generale nello sport, troppo facilmente si sentenzia su qualcuno o qualcosa: quel giocatore non è in grado di portarti alla vittoria, quell’allenatore non ha la capacità di evolvere la squadra a certi livelli, quella squadra non vincerà mai giocando in un certo modo. La maggior parte di questi verdetti sono luoghi comuni, che Sassari ha saputo superare vincendo tutto in Italia (Supercoppa-Coppa Italia-Scudetto) con una pallacanestro che è bersaglio di critiche da sei anni a questa parte.
Come tutte le belle storie, anche quella di Sassari parte da lontano, precisamente dal 2009, anno in cui Meo Sacchetti approda in Sardegna. Da quel momento è stato un percorso di costante ascesa, dalla promozione fino ai playoff ed alla vittoria della Coppia nella scorsa stagione. Mancava l’ultimo e più importante step, arrivato forse con il gioco meno spettacolare ed estremo dei sei anni “sacchettiani”, ma che si è rivelato tremendamente efficace. La stagione, pur condita con Supercoppa e Coppa Italia, non è stata tra le più fluide per Sassari: cammino piuttosto altalenante sia in Europa, con eliminazioni dall’Eurolega prima e dall’Eurocup poi, sia in regular season, chiusa in modo claudicante al quinto posto, con una striscia di cinque sconfitte consecutive proprio alle porte dei playoff. La gara della svolta, a detta dello stesso coach della Dinamo, è stata gara 2 contro Trento nei quarti di finale playoff. Sotto 0-1 e in una serie al meglio delle cinque, se Sassari avesse perso anche la seconda gara (la quarta in totale contro Trento considerando i due match di stagione regolare) sarebbe crollata mentalmente e l’avventura si sarebbe conclusa lì. Invece tre vittorie di fila e passaggio alle semifinali.
Qui ci troviamo di fronte all’ennesimo luogo comune: Sassari può dare fastidio a Milano nella gara secca, ma in una serie di sette partite non ha speranze. Anche se non avesse raccolto quel rimbalzo in attacco che poi ha permesso il raggiungimento dell’overtime in gara 7 e la conseguente vittoria, avremmo fatto lo stesso discorso. Pur passando nel giro di un anno dalle straordinarie letture dei fratelli Diener al talento individuale di Logan e Dyson, Sassari è riuscita a costruirsi un’identità tutta sua, un equilibrio composto di tanti alti quanti bassi che però ha funzionato contro la monodimensionale corazzata di Milano.
Infine c’era da scongiurare l’ultimo luogo comune: un squadra che costruisce le proprie fortune col tiro da tre punti non vincerà mai. A parte che l’insegnamento dei Golden State Warriors proprio non è servito a nulla (“è la rivincita di D’Antoni” ha detto ad anello conquistato Alvin Gentry, ex assistente dei Warriors e neo head coach dei Pelicans), Sassari ha dimostrato, soprattutto durante la post-season, di non essere una squadra dipendente dal tiro da tre punti. Basta un dato: il Banco di Sardegna ha tirato, nella avvincente serie contro Reggio Emilia con il 27,8% da tre punti, ovvero la peggiore prestazione dall’arco di una squadra campione in finale. Nonostante tutto, Sassari è campione d’Italia. Questa sì che è una sentenza inoppugnabile.
di Emanuele Granelli